Nazione: Italia, Jugoslavia
Anno: 1966
Durata: 102'


Lenka vive insieme al fratellino cieco Mischa nella campagna jugoslava, durante l'occupazione nazista. La madre dei due è morta e il padre Ratko è prigioniero in un campo di concentramento, ma ufficialmente è creduto morto. Lenka nasconde al fratellino gli orrori che li circondano, lo accudisce e riesce anche a incontrarsi furtivamente con il giovane Ivan, un partigiano che la ragazza ama. Il padre, evaso, ritorna al paese, ma è subito costretto a nascondersi. Ivan lo raggiunge per consegnargli dei documenti falsi, ma viene avvistato da alcune SS. Per distrarre l'attenzione dei soldati, Ratko esce allo scoperto. Salva la vita di Ivan, ma perde la sua sotto i colpi delle mitragliatrici. Ivan ferito si nasconde nella soffitta. Sopraggiungono poi i nazisti per deportare i due fratelli: Lenka raccoglie silenziosamente i suoi effetti e si fa portar via senza protestare. Sul treno blindato descrive a Misha un fantastico e invisibile paesaggio, cullandolo nell'illusione di quel viaggio in città tante volte promessogli.

Biografia

regista

Nelo Risi

FILMOGRAFIA

1961: Le ragazze madri (episodio di Le italiane e l'amore). 1966: Andremo in città. 1969: Diario di una schizofrenica. 1970: Ondata di calore; Documenti su Giuseppe Pinelli oppure Dedicato a Pinelli (episodio). 1971: Una stagione all'inferno. 1973: La colonna infame. 1975: Le città del mondo (per la TV). 1976: La traversata (per la TV), Nossignore (per la TV). 1978: Idillio. L'infinito di Giacomo Leopardi (per la TV).

Dichiarazione

regista

Volendo precorrere la critica potrei anche chiedermi perché ho fatto Andremo in città dopo quasi vent'anni di documentarismo e più di un quinquennio di attività televisiva. Le ragioni le posso ritrovare in me stesso; e nel fatto di vivere con Edith Bruck. La mia poesia affonda le radici nel reale, dalla realtà ho sempre tratto i miei spunti per i lavori cinematografici e televisivi. Dai primi documentari in Grecia nel 1948 (non la Grecia mitica, ma una terra distrutta dall'occupazione e sconvolta dalla reazione monarchica) a Il delitto Matteotti e I fratelli Rosselli, fino alla riduzione televisiva del Voltagabbana e a questo Andremo in città, mi sono sempre attenuto alla cronaca dei nostri anni, appena trasfigurata dalla fantasia. In questo senso mi considero un realista, ma non posso accettare di essere considerato "un neorealista in ritardo" come qualcuno ha detto a proposito del mio film. Forse perché gli sfondi sono la guerra e l'occupazione tedesca e le deportazioni? Sono temi fuori moda? Ma quanti film di guerra si fanno ancora ogni anno nel mondo? E noi viviamo forse in un tempo di pace?
A me piace nominare le cose, chiamarle col loro nome, e dai fatti trarre una morale o suggerirla. Sono un lombardo, la mia educazione è laica e illuminista; del Manzoni preferisco la "Colonna infame" ai "Promessi sposi" e mi trovo a rileggere con maggior passione il Parini che non il Foscolo. Sicuramente sono dotato di scarsa immaginazione e la mia natura è più riflessiva che creativa. Questo per dire da dove vengo e che cosa ho avuto in animo di fare. Dunque ho voluto fare una cronaca, ma ripensata a vent'anni di distanza, col distacco che richiede la meditazione e non la passione dei fatti vissuti quotidianamente, nell'attimo in cui si svolgono. Un modo pacificato di parlare dei disastri della guerra, sentiti attraverso lo schermo della favola. E qui mi è venuta incontro Edith Bruck, col suo narrare ilare e doloroso, con un'innocenza che noi latini sembriamo avere perduta. C'è nel racconto originale un'aria chagalliana o del Babel casalingo dei "Racconti di Odessa", con un gusto del pittoresco riscattato dalle due maledizioni dell'infanzia della scrittrice: la miseria e il fatto di appartenere a una "razza". Ma il lievitare dei motivi popolari nobilita quella povera civiltà contadina, come la grazia della favola trasforma la realtà minuta e grigia in un mondo estroso e iridescente. Certo era quasi impossibile rispettare il candore del racconto senza cadere nel patetico, eppure di una cosa io sono sicuro: che il film non indulge mai verso i buoni sentimenti ma fa uso del sentimento senza scadere nel sentimentale.
Insomma ho tentato di fare un film pulito, che va giudicato per quello che vale senza attribuirgli mode e scuole. Perché se avessi voluto fare un lavoro da furbo non avevo che da guardarmi intorno per capire la squallida lezione di tanto cinema nostrano. Ho cercato di far rivivere i luoghi e la gente secondo la mia educazione di documentarista senza indulgere alla bella immagine; così il taglio del racconto e delle scene vogliono che l'azione sia più suggerita che sviluppata, e il respiro sotterraneo della storia trova il suo ritmo naturale nella scansione del montaggio. I protagonisti, per finire, la ragazza e il fratellino cieco, e quel fidanzato un po' goffo, li ho voluti esattamente così: acerbi e incerti come tutti gli adolescenti, per niente attori professionisti, anzi svestiti di ogni consumata abilita da parere quasi veri, come tratti di peso dalla vita.

(Franca Faldini e Goffredo Fofi, a cura di, L'avventurosa storia del cinema italiano 1960-1969, op. cit., pp. 408-409).

Cast

& Credits

Regia: Nelo Risi.
Soggetto: dal romanzo omonimo di Edith Bruck.
Riduzione: Fabio Carpi, Vasco Pratolini.
Sceneggiatura: Edith Bruck, Nelo Risi, Jerzy Stawinski, Cesare Zavattini.
Fotografia: Tonino Delli Colli.
Scenografia e costumi: Franco Fontana, Dragaljub Ivcov, Branko Catovic.
Montaggio: Giacinto Solito.
Musica: Ivan Vandor.
Interpreti e personaggi: Geraldine Chaplin (Lenka), Nino Castelmiovo (Ivan), Federico (Miscia), Stefania Carreddu (Eva), Aca Gavric (il padre di Lenka), Simic Slavko (il dottore), Giovanni Scratuglia, Mirko Milisavljevic, Milan Panic.
Produzione: Franco Cancellieri per la Aica Cinematografica, in collaborazione con la Avala Film (Belgrado) e la Romor Film.
Distribuzione: regionale.
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