Nazione: Francia
Anno: 1959
Durata: 87'


Michel Poiccard (Belmondo) ruba una macchina al vecchio porto di Marsiglia, con la complicit` di un bel sorriso. Da solo, lascia la citt` e va a tutta birra verso Parigi. Ama il rischio e non esita a sorpassare anche sui dossi. Due poliziotti in moto si mettono ad inseguirlo. Uno di loro riesce a raggiungerlo. Poiccard lo uccide. Ricercato dalla polizia, la sua foto è sulla prima pagina dei giornali della sera. A Parigi, raggiunge la sua amica Patricia, una giovane americana che vende il "New York Herald Tribune" sugli Champs Elysées. Parallelamente Michel cerca di incontrare una persona che gli deve dei soldi… Hotel, metrò, boulevards, automobili, sono i luoghi dove si svolge Fazione del film prima del grande duetto amoroso nella camera di Patricia. Riconosciuto da un passante, Michel è costretto a rifugiarsi da un suo amico fotografo. All'alba, Patricia telefona alla polizia, poi torna per dire a Michel di scappare. Lui rifiuta di andarsene, la polizia arriva e lo fa fuori. "È uno schifo" conclude Belmondo. Un poliziotto traduce a Patricia: "Lei fa schifo". Ma allora, che cos'è "che fa schifo?".

J.. Warren, R. Lefèvre
("Image et Son", n. 176-177, 1964).


I nostri primi film sono stati soltanto dei film di "cinéphiles". Ci si può servire anche di ciò che si è visto al cinema, per fare deliberatamente dei riferimenti. è stato soprattutto il mio caso. Ragionavo in funzione di atteggiamenti puramente cinematografici. Facevo alcune inquadrature in rapporto ad altre che conoscevo, di Preminger, di Cukor, eccetera. D'altronde, il personaggio di Jean Seberg è il seguito di quello di Bonjour tristesse. Avrei potuto prendere l'ultima inquadratura di quel film e dissolvere su una didascalia: "Tre anni dopo…" È il mio gusto della citazione, che ho sempre conservato. (…)
Quello che desideravo fare era partire da una storia convenzionale e rifare, ma in maniera diversa, tutto il cinema che era gi` stato fatto. Volevo anche dare l'impressione di scoprire o di sentire i procedimenti del cinema per la prima volta. L'apertura a iride serviva a far vedere che era permesso ritornare alle origini del cinema e la dissolvenza incrociata dava l'impressione d'essere stata appena inventata. Mancano altri procedimenti tecnici anche per reazione contro un certo cinema, ma non bisogna farne una regola. Ci sono film in cui essi sono necessari: a volte se ne dovrebbero fan di più. Si racconta una storia a questo proposito: Decoin va a trovare la sua montatrice a Billancourt e le dice: "Ho visto A bout de souffle: d'ora in poi, niente più raccordi!"
Abbiamo preso la macchina da presa in mano semplicemente per andare più svelti. Non mi potevo permettere un materiale normale che avrebbe allungato le riprese di tre settimane. Ma neppure questo dev'essere una regola: il metodo di ripresa deve accordarsi con il soggetto del film.
Solo, non si fa mai esattamente ciò che si credeva di fare. A volte, capita perfino di fare il contrario. Almeno a me. Nello stesso tempo, rivendico tutto quello che ho fatto. Mi sono dunque accorto, dopo un po' di tempo, che A bout de souffle non era affatto quel che credevo io. Credevo di aver fatto un film realistico, come per esempio Criminale di turno di Richard Quine; invece non si trattava affatto di questo. Per prima cosa, non possedevo il bagaglio tecnico sufficiente e mi è capitato di sbagliare; inoltre, mi sono reso conto di non essere fatto per questo genere di film. Ci sono molte cose che mi piacerebbe fare e che non riesco a fare. Per esempio, le inquadrature di auto che sfrecciano di notte, come in La tête contre les murs. Vorrei anche fare, come Fritz Lang, inquadrature che siano straordinarie di per sé, ma non ci riesco. Dunque faccio altre cose. Amo enormemente A bout de souffle, di cui per un certo periodo mi sono vergognato; ma lo situo dove va situato: sulla linea di Alice nel paese delle meraviglie. Io, invece, credevo che fosse sulla linea di Scarface.

J.-L. Godard
(Il cinema è il cinema, Garzanti, Milano 1981).


Si è molto parlato delle tecniche della Nouvelle Vague senza potere di fatto definire quello che esse avevano di rivoluzionario. Con A bout de souffle, si può parlare di una tecnica per lo meno insolita. Questo film viene girato in quattro settimane (un film normale ne richiede almeno otto). Solamente tre attori sono professionisti: Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg e Claude Mansard. Tutti gli altri ruoli sono ricoperti dalla équipe tecnica del film, dagli impiegati alla produzione, persino dai produttori e dagli addetti stampa. Non è stato scritto nessun dialogo. Sono stati tutti improvvisati al momento. Tutto è girato in esterni e interni autentici.
Infine, e soprattutto, la cinepresa è stata costantemente tenuta in mano. Non è mai stata montata su di un supporto - anche per le scene di interni, dove sarebbe stato non solo possibile, ma anche più pratico. Non è stato effettuato nessun travelling su rotaia, ma solo con mezzi occasionali, come la scala mobile del Quick Elysées, o un furgoncino delle poste con praticati due fori, dentro il quale erano nascosti cinepresa e operatore, e che guidava Godard in persona.
Quel che c'è di nuovo, non è questa tecnica da dilettante, ma il fatto che essa venga utilizzata volontariamente da un regista che ha perfettamente i mezzi per girare in condizioni più confortevoli.

Françoise Truffaut, perché Jean-Luc Godard ha scelto questa tecnica ?
Per delle ragioni di stile e perché questa rapidit` è connaturata alla sua personalit`. Godard gira come uno scrive. Ha realizzato ciascuno dei suoi cortometraggi in 24 ore. Possiede una facilit` straordinaria. E dato che tenere in mano una macchina da presa è un esercizio piuttosto faticoso, anche l'operatore vuol fare in fretta. Il risultato è di una grazia e di un'eleganza stupefacenti. Tutto è bello in questo film. La fotografia, molto americana, è simile a quella di Petit fugitif (girato in condizioni analoghe), al limite della sovraesposizione e nello stile di "Life". Inoltre questa tecnica permette a Godard di dare libero corso alle sue facolt` inventive. E a Godard viene in mente almeno un'idea per sequenza. Così ha telefonato per sapere in quale esatto momento venivano accesi i lampioni sugli Champs Elysées quel certo giorno. Allora ha sistemato la macchina da presa a una finestra di "Les Cahiers du Cinéma" e ha ripreso Belmondo che camminava tra i passanti nell'istante preciso in cui si accendevano le luci. Ed è anche riuscito a far vedere una frase del giornale luminoso della stazione Saint-Lazare, che dice: "il laccio si stringe intorno al ladro d'auto…". E riprende nello stesso tempo sia il giornale luminoso sia la macchina di Belmondo, mentre passa davanti alla stazione. Il giorno della visita di Eisenhower, Godard è riuscito a prendere, di straforo, nella medesima scena, Jean Seberg, Belmondo, Eisenhower e de Gaulle. In quello stesso giorno, ha ripreso parecchi agenti di polizia e ha usato queste riprese qua e l` nel film. La testa di Godard formicola di idee. Vedere delle scene con persone accalcate è sempre abbastanza noioso, invece qui è stupendo, perché egli non gira mai due volte la stessa scena, e quando lo fa è perché non si tratta più, in realt`, della stessa scena. È tutta una serie di trovate.

F. Truffaut
("Radio Cinéma Television", 4 ottobre 1960)


Quali sono le novit` di A bout de souffle? Innanzitutto la concezione dei personaggi. Nel dipingerli Godard non ha mai seguito una linea molto precisa, ma piuttosto una serie di direzioni contraddittorie, e questo consapevolmente. Godard è un creatore d'istinto e, più che seguire la logica propriamente detta (alla quale è stato fedele nelle sue prime e timide prove, ma che è ormai troppo pigro per seguire, e credo anche non vi trovi alcun interesse), segue la logica del suo istinto.
Ecco perché Godard non sa sempre per quale motivo un certo personaggio fa questo o quello. Ma se ci riflette un po', ne scoprir` sempre il perché. Naturalmente è chiaro che, dato un certo comportamento, anche contraddittorio, si può sempre riuscire a spiegarlo. Ma in Godard le cose stanno in modo diverso: tutto è connesso grazie soprattutto all'accumulazione dei piccoli particolari, per la semplice ragione che Godard ha immaginato tutto con naturalezza, prendendo se stesso come soggetto. La psicologia, più libera, quasi invisibile, è perciò più efficace. (…)
Patricia denunzier` Michel un po' perché l'ama, un po'per il gusto della novit`, e Michel vorr` costituirsi alla polizia per avere lui l'ultima parola: il mutare del comportamento, ai nostri giorni, può determinare talvolta un sovvertimento completo della psicologia tradizionale e il suo esatto contrario. Una delle conseguenze di questo perpetuo turbinio è la tentazione della messa in scena, cosa che è normale rintracciare in tutti i grandi film, dal momento che gli autori ne sono tutti i "metteurs en scène". Affascinati dalla vertigine del loro comportamento, i nostri personaggi si allontanano da loro stessi e recitano con se stessi, per vedere che cosa ne verr` fuori: nell'ultima scena, per somma ironia, Michel , mentre sta morendo, ripete una delle sue mimiche comiche favorite, e Patricia gli risponde. Lo scioglimento della vicenda è al tempo stesso ottimista e straziante, straziante a causa dell'intrusione del comico nel cuore della tragedia.

L. Moullet
("Cahiers du Cinéma ", n. 106, 1960)

Biografia

regista

Jean-Luc Godard

Jean-Luc Godard (Parigi, 1930) è tra i protagonisti assoluti della nouvelle vague, prima come critico militante dei «Cahiers du Cinéma» negli anni ’50, poi come regista fin dall’esordio con Fino all’ultimo respiro (1960). Godard si è imposto in quasi 50 anni di carriera come uno dei più radicali e rigorosi innovatori del linguaggio cinematografico. 

FILMOGRAFIA

À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro, 1960), Une Femme est une femme (La donna è donna, 1961), Vivre sa vie (Questa è la mia vita, 1962), Le Mépris (Il disprezzo, 1963), Une Femme mariée (Una donna sposata, 1964), Pierrot le fou (Il bandito delle undici, 1965), Made in USA (Una storia americana, 1966), La Chinoise (La cinese, 1967), Lotte in Italia (1971), Tout va bien (Crepa padrone, tutto va bene, 1972), Numéro deux (1975), Ici et ailleurs (1976), Comment ça va? (1978), Sauve qui peut (la vie) (Si salvi chi può-La vita, 1980), Passion (id., 1982), Prénom Carmen (id., 1983), Je vous salue, Marie (id., 1985), Soigne ta droite (Cura la tua destra, 1987), Histoire(s) du cinéma (TV, 1989-1998), Nouvelle vague (id., 1990), Hélas pour moi (1993), For Ever Mozart (1996), Éloge de l’amour (2001), Notre Musique (2004), Prières pour Refusniks I-II (2004) , Film socialisme (2010), Adieu au langage (Addio al linguaggio, 2014).

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Jean-Luc Godard.
Soggetto: François Truffaut.
Supervisione tecnica: Claude Chabrol.
Aiuto regia: Pierre Rissient.
Fotografia: Raoul Coutard.
Montaggio: Cécile Decugis, Lila Herman.
Musica: Martial Solal e Mozart (Concerto per clarinetto e orchestra K 622 e Sinfonia n. 40 K 550).
Suono: Jacques Maumont.
Interpreti e personaggi: Jean-Paul Belmondo (Michel Poiccard alias Laszlo Kovács), Jean Seberg (Patricia Franchini), Daniel Boulanger (ispettore di polizia), Jean-Pierre Melville (Parvulesco), Liliane Robin (Minouche), Henri-Jacques Huet (Antonio Berruti), Van Doude (il giornalista), Claude Mansard (Claudius Mansard), Michel Fabre (poliziotto), Jean-Lue Godard (un informatore), Jean Domarchi (un ubriaco), Richard Balducci (Tolmatchoc), Roger Hanin (Carl Zombach), Jean-Luis Richard (un giornalista), André S. Labarthe (intervistatore), Jacques Siclier, Michel Mourlet, Jean Douchet, Philippe de Broca, Guido Orlando, Jacques Serguine, Virginie Ullmann, Emile Villion, José Bénazéraf, Raymond Ravambaz (Jacques Lourcelles).
Produzione: Georges de Beauregard per la Société Nouvelle de Cinéma, Parigi.
Distribuzione italiana: Euro International Films.
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