2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Antoine et Colette (in "L'amour à vingt ans")

Antoine and Colette (in "Love at Twenty")
di François Truffaut
Nazione: Francia
Anno: 1963
Durata: 28'


Antoine Doinel (il protagonista de Les quatre cents coups) è ormai diciottenne. Durante un concerto alle "Jeunesses Musicales" s'innamora follemente di una giovane studentessa. Per poterla vedere di continuo, va ad abitare di fronte alla ragazza, ma più lui crede di avvicinarsi a lei, più lei si allontana.

T. Tucciarelli
(François Truffaut, La Casa Usher, Firenze 1981)


Qualche tempo fa, una domenica mattina, la televisione trasmette, nel programma "La séquence du spectateur", una scena tratta da Baisers volés in cui compaiono Jean-Pierre Léaud e Delphine Seyrig. La sera del giorno dopo entro in un bistrot in cui non avevo mai messo piede, a Saint-Lazare, e il padrone mi dice: "Ma io vi riconosco… vi ho visto ieri alla televisione". Ora, non sono evidentemente io quello che il proprietario ha visto alla televisione, ma Jean-Pierre Léaud, nella parte di Antoine Doinel. Chiedo un caffè "ristretto", il padrone me lo porta e, fattosi più vicino, mi scruta più attentamente e aggiunge: "Quel film l'avete girato gi` un po' di tempo fa, vero? Eravate più giovane…"
Racconto questa storia perché mostra assai bene l'ambiguit` (e nello stesso tempo l'ubiquit`!) di Antoine Doinel, questo personaggio immaginario che deriva dalla sintesi di due persone reali, Jean-Pierre Léaud e io.
Nel settembre del 1958 avevo messo un annuncio sul "France-Soir" per trovare un ragazzo di tredici anni per la parte principale di Les quatre cents coups. Avevo appena finito di scrivere il soggetto di questo film con il mio amico Marcel Moussy e l'idea che ci aveva ispirati durante tutto il lavoro era di tratteggiare una cronaca del tredicesimo anno di vita, considerato non con commossa nostalgia ma, al contrario, come "un brutto momento da superare" :
Si presentarono una sessantina di ragazzini e a ciascuno di loro feci un provino in 16mm; mi limitavo a porre delle domande molto semplici, poiché il mio scopo era quello di trovare una rassomiglianza più morale che fisica con il ragazzo che io credevo di essere stato. Jean-Pierre Léaud spiccava nettamente nel gruppo e dopo qualche "eliminatoria" decisi di dargli la parte di Antoine Doinel. Gli altri ragazzi non si erano scomodati invano perché sono stati trattenuti una settimana per girare le numerose scene di classe distribuite nel film.
Jean-Pierre Léaud, che allora aveva quattordici anni, era meno sornione di Antoine Doinel, che fa sempre tutto di nascosto, che finge sempre sottomissione per fare alla fine sempre di testa sua. Jean-Pierre era, come Doinel, solitario, asociale e al limite della ribellione, ma aveva, in quanto adolescente. una salute migliore e si mostrava spesso sfrontato. Al momento del primo provino, davanti alla macchina da presa, egli dir`: "Sembra che stiate cercando un tizio beffardo, allora sono venuto". Jean-Pierre, al contrario di Doinel, leggeva assai poco, possedeva senza dubbio una sua vita interiore, dei pensieri segreti, ma era gi` un figlio dell'audiovisivo, cioè avrebbe rubato più volentieri i dischi di Ray Charles che i libri della Pléiade. Dove avevo trovato il nome di Antoine Doinel? Dapprima ho pensato a un nome che all'orecchio mi piaceva molto, quello di Etienne Loinod, collaboratore dei "Cahiers du Cinéma" (in realt` lo pseudonimo anagrammato di Jacques Doniol Valcroze). Ho creduto veramente di aver inventato il nome di Antoine Doinel fino al giorno in cui qualcuno mi ha fatto notare che avevo semplicemente preso in prestito quello della segretaria di Jean Renoir, Ginette Doinel!
È proprio Jean Renoir che mi ha insegnato che l'attore che interpreta un personaggio e più importante di questo personaggio o, se si preferisce, che bisogna sempre sacrificare l'astratto per il concreto. Non bisogna dunque stupirsi se, fin dal primo giorno delle riprese di Les quatre cents coups, Antoine Doinel si è allontanato da me per avvicinarsi a Jean-Pierre. Sullo schermo, Antoine Doinel è diventato più coraggioso del previsto e talmente dotato di un'apparente buona fede che il pubblico gli ha perdonato tutto. al punto che i genitori e gli altri personaggi adulti, di cui Marcel Moussy e io avevamo voluto addolcire il comportamento, alla fine sullo schermo sono quasi sembrati odiosi.
Negli altri film del cielo Doinel, ho aggiustato il tiro tenendo conto dello straordinario fenomeno di simpatia che Jean-Pierre Léaud suscita sempre nel pubblico. (…)

F. Truffaut
(Les avventures d'Antoine Doinel, Mercure de France, 1970)



Se il cinema di Truffaut vuol essere atto d'amore, è prima di tutto oblio di sé, rifiuto di compiacersi. Come non sentire che quest'arte dell'ellissi, dell'accelerazione, della ripresa, della sincope, è una fuga in avanti, esattamente il contrario d'un ritorno a sé. Antoine non è Truffaut né un protagonista che indugi a raccontarsi: è un impaziente, come il pianista, Jules, Jim e Catherine. Lungi dal cercarsi negli occhi d'una ragazza, fa di tutto per perdervisi. E ciò che è vero per i personaggi, lo è per il narratore: lungi dal compiacersi nel suo racconto, fa di tutto per annegarvi - si direbbe quasi nello stesso tempo per bruciarvi dentro -, ma forse la parola più giusta è quella che designa un fenomeno di evaporazione accelerata e che ha anche delle risonanze morali: si direbbe che fa di tutto per sublimarvisi.
Questo termine di trasformazione indica tutto il contrario d'un compiacimento in se stesso, tutto il contrario dell'autobiografia classica. Perché ciò che cerca Proust alla fine del "Tempo perduto" è l'immobilit` del tempo ritrovato, la corona - in senso musicale - dell'opera d'arte, che mette in ordine il disordine della vita, l'immagine perfetta dell'artista-dio nella sua creazione. Ciò che cerca Truffaut nella carrellata che fugge nelle lontananze con Antoine alla fine dei Quatre cent coups, nella porta che si richiude su Colette e la strappa ad Antoine, è il movimento stesso della vita: crisi, rottura, slancio sempre ripreso.
È in questo senso, si dir`, che l'arte si contrappone alla vita. Si, nella misura in cui ogni arte tende a pietrificare le cose, a irrigidirle nel loro essere compiuto. Il movimento è sempre stato segno d'imperfezione. È interessante notare, a questo riguardo, che il cammino di Truffaut, contrariamente a quello della maggior parte degli artisti che si sforzano per l'immobilit`, va dalla pietrificazione al movimento o, se si preferisce, dall'arte alla vita. E a partire dalla musica che Antoine s'invaghisce di Colette, come a partire da una statua Jules e Jim s'erano invaghiti d'una vivissima Catherine. In questo il modo di procedere di Truffaut resta quello d'un critico: l'opera è per lui punto di partenza, non vita. Ed è possibile che L'Amour ` vingt ans apra la strada a un cinema-confessione - quindi, per Truffaut, a un cinema-critica -, cinema in prima persona che il suo autore aveva profeticamente annunciato.
Per quanto modesta, quest'ambizione darebbe innanzitutto i frutti della sua stessa modestia. Questo cinema che s'attacca alla vita incontra almeno il tempo. Antoine si muove, dunque Antoine porta il segno del tempo. E il problema che ogni film di Truffaut riprende senza perifrasi - e questo più degli altri, perché in un cortometraggio il tempo è essenziale. C'è qui una citazione dei Quatre cent coups che si è pigramente interpretata come una civetteria d'autore. Ma potrebbe ben essere una chiave del film, un punto di riferimento per misurarne la dimensione. Il giovane Antoine dei Quatre cent coups non è più. Così, l'Antoine che ha notato Colette alla sala Pleyel non sar` più alla fine del film. Questo ricordo di Antoine è anche un film.
Di secondo grado, la citazione introduce quello che si potrebbe chiamare il distacco dalla finzione. Ricordo e film nel film, essa è, a questo doppio titolo, il segno della vita irrigidita, gi` morta. Gli appassionati di psicanalisi non esiteranno ad osservare che, in questa scena dei Quatre cent coups, ci viene mostrato un cavallo impagliato: la vita pietrificata. A in rapporto a tutte questa pietrificazioni - della memoria o dell'arte - che l'opera di Truffaut prende il suo slancio. E questo momento felice dell'infanzia di Antoine si congiunger`, nel ritmo stesso della vita, col bagliore del primo volto di Colette, con lo stupore del primo suono della sua voce, col gesto intravisto, femminile, adorato, di portare la collana alle labbra ascoltando un concerto. Ecco i punti fissi, veri, attorno a cui si tesse la durata di Antoine, che diviene la nostra durata (e sottolineiamo en passant la giustezza dell'interpretazione), momenti perfetti in cui la vita si confonde con l'arte. Truffaut, tuttavia, si sottrae al loro fascino.
Si può chiamare pudore o rifiuto di intenerirsi, questa fretta di lasciare i punti forti, questa bellezza subita e rifiutata, questo slancio che si nega per rinascere da un ricordo e svanire di nuovo. Per Truffaut la bellezza del film è nella pulsazione di questo movimento quasi astratto, nella traccia, fedelmente incisa, della vita che scorre. Pulsazione che è la pulsazione stessa dell'adolescenza, sensazione d'un passaggio, dalla durata al tempo reale, dall'io sognante all'altro, vero e sconcertante, passaggio dall'arte alla vita, passaggio la cui esplorazione è anche un'arte. (…)

J. Collet
("Cahiers du Cinéma", n. 135, 1962)

Biografia

regista

François Truffaut

François Truffaut (Parigi, Francia, 1932 - Neuilly-sur-Seine, Francia, 1984), dopo studi irregolari, vari mestieri e un breve periodo in riformatorio, nel 1953 è stato invitato da André Bazin a collaborare ai «Cahiers du cinéma». Ha realizzato alcuni cortometraggi, poi nel 1959 con l’esordio I 400 colpi si è imposto tra i protagonisti della nouvelle vague insieme ai colleghi Chabrol, Godard, Rivette e Rohmer. Ha quindi dato vita a una lunga e variegata filmografia, con cui è diventato uno dei registi più famosi e influenti della storia del cinema. 

FILMOGRAFIA

Les quatre cents coups (I 400 colpi, 1959), Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960), Jules et Jim (Jules e Jim, 1962), Fahrenheit 451 (id., 1966), La mariée était en noir (La sposa in nero, 1968), La sirène du Mississipi (La mia droga si chiama Julie, 1969), La nuit américaine (Effetto notte, 1973), L’histoire d’Adèle H. (Adele H., una storia d’amore, 1975), L’homme qui aimait les femmes (L’uomo che amava le donne, 1977), La chambre verte (La camera verde, 1978), Le dernier métro (L’ultimo metrò, 1980), Vivement dimanche! (Finalmente domenica!, 1983).

Cast

& Credits

Regia, soggetto e sceneggiatura: François Truffaut.
Fotografia: Raoul Coutard.
Montaggio: Claudine Bouché.
Musica: Georges Delerue.
Interpreti e personaggi: Jean-Pierre Léaud (Antoine Doinel), Marie-France Pisier (Colette), Patrick Auffray (René), François Darbon (il padre di Colette), Rosy Varte (la madre di Colette), Jean-François Adam (Albert Tazzi).
Produzione: Pierre Roustang per Ulysse Production/Unitel.
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