Nazione: Francia
Anno: 1955
Durata: 26'


In una piccola camera d'albergo, una donna è in attesa. Spia i rumori sul pianerottolo, telefona a un bar per avere notizie di Emile, il suo amante, riceve una telefonata dalla sorella di questi e risponde che Emile è nella vasca e non vuol essere disturbato. Emile torna, si mette a suo agio, si stende sul letto a leggere il giornale. Lei comincia a raccontargli della sua stanchezza, della sua gelosia, della sua collera; lo rimprovera di esserle infedele, minaccia di tradirlo, di lasciarlo.
Suona il telefono. È un'amichetta di Emile, che non prende la comunicazione. Piena di riconoscenza, la donna lo ringrazia, fa per abbracciarlo: lui sta dormendo.
Lui si alza, si veste. Lei tenta di trattenerlo, minaccia di uccidersi. Lui esce senza aver detto una parola, mentre lei gli dichiara la sua completa sottomissione, promettendo di aspettarlo.

("Cinéma", n. 271, 1981)


È un film fatto con pochissime scene, e molto lunghe. Mi piaceva il teatro, ma non mi ponevo problemi di teatro: volevo dirigere degli attori, fare una sequenza da grande film, vedere se ero capace di girare in studio. È come quando si inizia un nuovo mestiere: si hanno ossessioni e desideri. lo volevo sapere come me la sarei cavata. (…)
II film era fatto, per così dire, sull'idea della sofferenza, come una preghiera, ed avevo l'impressione che anche il più piccolo movimento della macchina da presa avrebbe provocato una specie di frattura all'interno di questa litania. Volevo rendere questa impressione di dolcezza che si può trovare in un lancinante dolore. Una dolcezza fatta soltanto di linee diritte, senza nessuna curva. Anche l'ambientazione stessa era geometrica; gli unici movimenti avvenivano in profondit` o lateralmente, e non Cera alcuna diagonale. Addirittura avevo fatto bloccare le leve della macchina da presa… Ma il sipario che si alza, il primo piano, la situazione teatrale erano soltanto un mezzo per entrare nel film; non si può parlare di "teatro al cinema". Dal momento in cui si ha una macchina che proietta delle immagini, non si può più parlare di teatro, si tratta di cinema. Il teatro era uno dei mezzi di realizzazione del film, per nulla privilegiato rispetto agli altri.

J. Demy
("Cahiers du Cinéma", n. 155, 1964)


Mi piacciono soltanto i film che somigliano ai loro autori. Con Jacques Demy s'impiega mezz'ora a fare il giro di Place de Etoile in automobile. Si impiegher` dunque mezz'ora per vedere uno zoccolaio fabbricare uno zoccolo e mezz'ora per accorgerci, insieme con una donna, che per il suo amante essa è del tutto indifferente. Sfortunatamente esiste una violenta prevenzione contro la lentezza. Chi non ama Ordet dice per esempio che è un film lento.
E lo dicono di Le bel indifférent. Hanno evidentemente torto, per due motivi.
Primo, Le bel indifférent non è poi un film così lento. Somiglia piuttosto a quelle auto sportive costrette, data la formidabile potenza del motore, a girare in prima in citt`. E un film che sale in crescendo e senza crollare fino a un punto estremo di tensione, dove si immobilizza come il tachimetro di un bolide quando sfreccia a 240 all'ora.
Secondo, un film non è buono o cattivo per il fatto d'essere rapido o lento. Il valore di Due soldi di speranza, per esempio, non dipende dalla sua rapidit` (apparente: è un film in cui non succede nulla), ma dall'esattezza della sua rapidit`. Così come il valore di Ordet non dipende dalla sua lentezza (apparente: è un film in cui avvengono un'infinit` di cose) ma dall'esattezza di questa lentezza.
La qualit` prima del film di Jacques Demy è proprio quella di essere per prima cosa di un'esattezza straordinaria. Conclusione: A rimando a questo punto alla "fotografia del mese" del nostro numero dell'aprile scorso, quello che porta in copertina un'inquadratura di Mon oncle, film che Le bel indifférent supera largamente, sia per quanto riguarda la bellezza del colore che quella della scenografia. Impossibile infatti dire meglio dell'amico Rohmer perché il film non poteva, non doveva essere che tale. Tutti conosciamo lo spunto del celebre sketch di Cocteau: una donna parla per tentare di trattenere un amante che non la sta a sentire. Il monologo costituiva un partito preso teatrale. Demy aveva logicamente il dovere di insistere nel partito preso, di insistere nella teatralit`. Perché dopo questa traversata delle apparenze, egli ritrova il cinema come Orfeo trova Euridice oltre che, per l'occasione, Cocteau. Bisognava anche, non dimentichiamolo, rimanere fedeli all'autore di La voix humaine. Demy ha avuto la grande intelligenza di sentire che doveva esserlo, che non poteva non assumere nella regia un partito preso contrario a quello degli Enfants terribles. L'errore sarebbe stato appunto il voler imitare le intonazioni di Nicole Stéphane nel film di Melville. È cosi che, a forza di sentire la voce di Jeanne Allard snocciolare recto tono il suo testo inimitabile, ho pensato improvvisamente a questa riflessione di Malraux: "Un giorno ho scritto un romanzo di un uomo che ascoltava il suono della propria voce, e l'ho intitolato La condition humaine".

J-L. Godard
(Il cinema è il cinema, Garzanti, Milano 1981)

Biografia

regista

Jacques Demy

FILMOGRAFIA

LE BEL INDIFFÉRENT (1955); LE SABOTIER DE VAL DE LOIRE (1955); LOLA ( 1960); LA BAIE DES ANGES (1962); LES PARAPLUIES DE CHERBOURG (1963)

Cast

& Credits

Regia: Jacques Demy.
Soggetto: dallo sketch che Jean Cocteau scrisse per Edith Piaf.
Fotografia:Marcel Fradetal.
Scenografia: Bernard Evein.
Montaggio: Denide de Casabianca.
Musica: Maurice Jarre.
Interpreti: Jeanne Allard.
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