Nazione: Francia
Anno: 1967
Durata: 81'


Delusa dalla vita cittadina, Brigitte diventa contrabbandiera in una regione di montagna. Un giovane doganiere l'arresta, e poi ne fa la sua amante. Dall'altro lato della frontiera, questo stesso doganiere si fa sedurre da un'altra contrabbandiera, Francesca. I due paesi sono in guerra. I tre personaggi conducono una vita avventurosa e movimentata. Su un versante, i doganieri danno loro la caccia, sull'altro il Sindacato dei contrabbandieri, del quale essi vivono ai margini. Firmata la pace e spostata la frontiera, i tre anarchici ritornano in citt`. Dopo un certo tempo, la loro vita da impiegati li annoia e li disgusta. Allora tornano sulla montagna: l'avventura e il contrabbando riprendono. In mezzo alla natura, Brigitte cade nelle braccia del suo giovane doganiere.

A.Cd.
("Image et Son", n. 230-231, 1969)

Cahiers: Considera Les contrebandières un film pessimista?
Moullet: No, per nulla. Lo considero ottimista, ma basato su dati che, effettivamente, possono essere presi come pessimisti. Infatti il film distrugge qualcosa: un'illusione a cui si è abituati. Ma dietro l'illusione, si ritrova la verit`. E la verit`, in sé non è pessimista. Inoltre, esiste un certo piacere nel distruggere le illusioni. E il piacere è ottimista. È vero che ci sono dei piaceri che non sono duraturi, ma questo è uno di quelli che persistono: infatti ci sono davvero un mucchio di illusioni da far crollare, ed è un piacere vedere che, mentre esse vengono distrutte, prende forma qualcosa che è caratterizzato dall'assenza di elementi negativi.
Cahiers: "Pessimista" era senz'altro un termine infelice. Diciamo allora che i suoi film vogliono essere demistificanti e demitizzanti. Del resto non sono film fini a se stessi. Si aprono sempre a qualcos'altro, ed è apartire dalfilm che diventa possibile qualcosa di diverso dal film stesso.
Moullet: La risposta è necessariamente contraddittoria, poiché, del resto, Les contrabandières è un film in forma circolare, che si suppone contenga quasi tutto; tuttavia non è meno vero che un film è soltanto una direzione, che viene prolungata dallo spettatore.
Mi piace che il film sembri qualcosa che ha una continuazione, di cui lo spettatore percepisce soltanto alcuni frammenti. Per fare un confronto: i film dozzinali sono un po' come quelle barriere che si vedono nel Pacifico: se si guarda sott'acqua, non c'è assolutamente nulla. Ebbene, vorrei fare dei film che, al contrario, diano l'idea che danno le rocce, di cui si suppongono i prolungamenti sott'acqua, e che anche diano la possibilit` di verificare che questi prolungamenti ci sono, come, quando c'è la bassa marea si verifica tutto quel che la roccia doveva ancora far vedere.
Un film, perciò, deve dare l'impressione di avere un seguito, anche al di fuori dell'impressione che lo spettatore ne ha ricevuto.

L. Moullet
("Cahiers du CIndma", n. 216, 1969)


Moullet dice che il suo film, rispetto al cinema moderno, è un "bastardo". Senza dubbio vi è in lui una certa cattiva coscienza nell'aver volto a proprio profitto, all'unico fine di realizzare un'impresa di pura sovversione, le scoperte dei registi la cui opera si delinea sempre più come un'opera, con una firma ogni giorno sempre più evidente, le scoperte di un cinema il cui coefficiente di aberrazione, utilizzato finora per il suo potere sconvolgente e rivelatore (chi è oggi più sconvolgente di Bresson o di Godard?), sta diventando via via sempre più debole, proprio in coloro che l'avevano portato al massimo grado. Nell'opera di Moullet, questo coefficiente di aberrazione si ritrova come rafforzato, in virtù di quel che egli definisce il suo "essere un bastardo", che è in effetti una sorta di tradimento: di tutta l'arte del cinema moderno, egli ha preso soltanto i "trucchi" più poveri, la distanza, le inquadrature evidenti, il rifiuto di ogni movimento (che vorrebbe in realt` eliminare) che non sia descrittivo; la libert` di contro alla finzione, la messa in questione del soggetto, nonostante siano evidenti nei suoi film, sono per lui soltanto i mezzi di ciò che egli stesso si rifiuta di chiamare "creazione", e che noi di fatto non consideriamo tale.
Moullet si serve del cinema moderno e di quello passato come un bricoleur del suo armamentario. E la sua opera ha qualcosa del puro bricolage: innanzitutto perché essa somiglia ai film (alle opere) degli altri moderni quasi come somiglierebbe all'originale la copia di una bicicletta messa insieme, con pezzi spaiati, da un primitivo che ne ignori l'uso…
Ma Moullet è un volpone, e conosce i rischi del bricolage: se è consapevole del fatto che non può ottenere la spontaneit` e l'originalit`, se non attraverso l'opera degli altri, sa anche che niente denunzia maggiormente la personalit` del bricoleur, o del falsario, quanto lo scarto tra la sua opera e il modello.
Egli è riuscito a venir bene a capo di questa dissennata scommessa: prendere in prestito dagli altri solo quel che vi è di meno personale (dalle inquadrature alla "storia" stessa) e metterlo insieme nel modo più impersonale possibile. Nessuna sintassi è più distante della sua da quella, così ricca, del cinema moderno, che ci parla ogni giorno di più dell'uomo e del suo linguaggio: ridotta alle minime esigenze della "narrazione", attraverso di essa si dice nient'altro che il "racconto".
All'interno di questa cornice, né troppo discreta, né troppo vistosa, si gioca un meccanismo di sovversione, completamente libero dalle "attuali apparenze". E proprio grazie al bricolage: quello dei personaggi, che prendono i ciotoli per dei piatti e le automotrici per delle automobili; quello del regista, che filma un canotto che discende un torrente delle Alte Alpi ed arriva al porto di Boulogne-sur-Mer, e non si sa bene in quali scene i personaggi facciano delle persone in vacanza o gli attori. (…)
Forse in Les contrebandières ci sono le primizie di una critica completamente nuova, estranea all'odierna critica discorsiva; essa non procede più attraverso un'analisi in cui la struttura dell'oggetto si confonde sempre un po' con la sintassi del regista, o il discorso del mondo è assoggettato a quello del cinematografo.
Il fatto più curioso è che non facendo più poggiare la sua critica sulla sintassi stessa del mondo, ma, si potrebbe dire, sui suoi paradigmi aberranti, che appunta, come per caso, alle intersezioni della finzione, del luogo comune e della realt` quotidiana, il film di Moullet sottolinea in profondit` una quantit` di linee, di percorsi che si incrociano, si sovrappongono, si contraddicono, che sono al tempo stesso i tragitti della finzione, le vie del mondo che egli descrive e le catene sintagmatiche di una molteplicit` di discorsi impliciti, senza i quali non sarebbe possibile la messa in atto di termini incompatibili che disegnano tutti insieme la partitura in cui possono fantasticamente sovrapporsi.
Forse è il caso di vedervi il sintomo più felice di una riconversione, iniziata dal più singolare dei suoi registi, di un cinema moderno, che tendendo sempre più a svilupparsi come una partitura, finora ha trascurato, come se facessero parte del suo aspetto "tragico", le inevitabili incompatibilit`, ridondanze, di ordine paradigmatico, generate dal suo discorso, e non ha preteso di conciliarle in un improbabile metalinguaggio.
II fatto che tali aberranti sovrapposizioni sembrino essere la molla costante della sua fantasia, fa del film di Moullet una critica che, attraverso il mondo che prende in considerazione, realizza un cinema che pensa se stesso, grazie alla sovrabbondanza dei "messaggi" che sovrappone al suo discorso. La scena della lavatura dei piatti, con la serie dei detersivi usati, con il sapone sporcato dai piatti, che a sua volta deve essere lavato, critica mirabilmente un discorso sociale sempre più paralizzato dall'abbondanza dei suoi paradigmi.
Andando un po' (troppo) oltre, A si può leggere quella di un discorso cinematografico che gli viene somigliando sempre più, ma che lo critica sempre meno.

J.P. Oudart
("Cahiers du Cinima" n. 208, 1969)


Una meravigliosa utilizzazione degli ambienti naturali delle Alpi meridionali, ben conosciute ed amate da Luc Moullet: ammassi di rocce, dirupi, cascate, torrenti, gole. L'abbagliante luce del sole del sud. Luc Moullet dirige la macchina da presa in questi luoghi con estrema leggerezza, seguendo le avventure dei suoi Contrebandières, rese sia con piani mobili molto lunghi, sia con piani ravvicinati fissi. Detto in altre parole, con una tecnica leggera e libera quanto il racconto e la regia.
Si tratta in realt` di una farsa, che vorrebbe essere una favola sulla vita moderna. Infatti, malgrado le dichiarazioni di Luc Moullet e dei suoi partigiani, penso che questo piccolo film non si debba prendere sul serio. Mi auguro, per quel che mi riguarda, che girando Les contrebandières si siano divertiti come degli adolescenti che mettono in burla la societ` in cui vivono. Effettivamente, con un modo un po' strampalato e una assoluta superficialit`, senza alcun approfondimento, il film evoca l'assurdo del modo di vivere impiegatizio, la stupidit` della guerra, il gusto della vita in libert` e dell'avventura, la difficolt` di sottrarsi ai condizionamenti sociali.
Tutto questo con l'umorismo canzonatorio degli chansonnièrs. Sarebbe bene che Luc Moullet fosse consapevole di questa sua originalit`, che gli è connaturata, e che non pensasse di essere un filosofo. Quanto alle sue qualit` di regista, esse testimoniano un sicuro talento. Questo significa che, quando se ne parla, si deve moderare il proprio entusiasmo e non gridare al genio.

A.Cd.
("Image et Son", n. 230-231, 1969)

Biografia

regista

Luc Moullet

FILMOGRAFIA

BRIGITTE ET BRIGITTE (1966); LES CONTREBANDIÈRES (1967)

Cast

& Credits

Regia, sceneggiatura e dialoghi: Luc Moullet.
Fotografia: Philippe Théaudière.
Montaggio: Cécile Decugis.
Musica: Ahmed Zahar Derradji.
Interpreti e personaggi: Françoise Vatel (Brigitte), Monique Thiriet (Francesca), Johnny Monteilhet (il ragazzo), Luc Moullet, Paul Louis Martin, Bernard Cazassus, Gérard Tanguy, Patrik Huber, Albert Juross.
Produzione: Moullet.
Distribuzione: Cinémas Associés.
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