Nazione: Francia
Anno: 1954
Durata: 36'


Les maitres fous è uno studio sui riti religiosi adottati da certe comunit` negre trapiantate nelle grandi citt` dell'Africa europeizzata.

E.F.: Les maitres fous è uno dei tuoi film più notevoli. Ha sconvolto gran parte del mondo etnograficofrancese, e anche i normali spettatori.
JR: Nel 1955, tornato a Parigi, presentai il film al Musée de l'Homme, dove fu respinto con estrema violenza dagli etnologi, che lo giudicavano "intollerabile", e dagli amici africani che lo giudicavano "razzista". Poi fu vietato in Gran Bretagna e in Costa d'Oro dalle autorit` britanniche per "crudelt` verso un animale" e "oltraggio alla Regina".

E.F.: La sua influenza è stata rivendicata da uomini di teatro come J. Genet, che s'è ispirato adesso per i suoi drammi Les Bonnes e Les Nègres, e come Peter Brook, che s'è servito di quest'esempio per mostrare ai suoi attori cosa può essere l'esplosione dell'irrazionale nel corpo dell'uomo.
JR: Il titolo di questo film, Les maitres fous, è un gioco di parole che traduce ad un tempo la parola "Hauka" (padrone del vento, padrone della follia) e la situazione coloniale in cui i Padroni (gli Europei) sono folli. Venticinque anni dopo è diventato in Africa un film classico; nel Niger gira i circuiti educativi ed è considerato un film anticolonialista… Con questo film violavo molti divieti. Ma non ho potuto proiettarlo agli stessi "Hauka", benché fossero stati loro a chiedermi di girarlo per farlo vedere nei loro rituali. Les maitres fous è stato girato tre anni prima dell'indipendenza del Ghana.

J. Rouch
(AA. VV. Jean Rouch, Ministère des Affaires Etrangères, Paris 1981)


Il nucleo di Les maitres fous è costituito dal resoconto cinematografico delle pratiche di una setta religiosa, gli Hauka, emigrata dal Niger francese ad Accra, capitale della Costa d'Oro. Questi Hauka, infatti, sono dei Neri originari delle rive del Mar Rosso, da cui furono condotti via nel 1927 da pellegrini della Mecca. La violenza delle loro manifestazioni li fece espellere dal Niger e verso il 1935 andarono a finire nel Ghana, dopo una deviazione in Nigeria e nel Dahomey. L`, ci dice Jean Rouch, il loro culto si sviluppò rapidamente, restando però limitato agli immigrati nigeriani.
Il culto ha in comune con molti altri culti africani il fatto di essere essenzialmente costituito di danze di possessione durante le quali, progressivamente, i partecipanti entrano in un'altra dimensione, in una sorta di trance in cui il soggetto si presume sia posseduto dalle divinit` o dallo spirito invocato. Questo classico processo, del resto filmato in molte altre circostanze da Jean Rouch, non avrebbe niente di particolarmente originale salvo il suo perdurare in uno stato africano indipendente e relativamente evoluto, se non consentisse di assistere non tanto alla sopravvivenza di una pratica quanto alla nascita di un culto. Non basta, perché questo culto nascente, il cui rituale incerto viene fissato di cerimonia in cerimonia, questo culto ha per geni e dei non più quelli della foresta o delle acque, del fuoco o della pioggia, ma i miti della potenza colonialista visti attraverso l'esperienza dei Neri. Vale a dire il "governatore", il "medico", la "moglie del medico", il "macchinista della ferrovia", o, tenetevi forte, il "caporale di guardia", e ne dimentico alcuni e non dei minori.
Così, per tutta una domenica, in qualche punto nella radura della foresta, questi Neri che, durante la settimana sono tranquilli operai dei cantieri del Ghana, allegri, apparentemente molto ben inseriti nel loro ambiente tecnico e sociale, questi uomini dunque, si radunano per abbandonarsi per ore a uno spossante gesti colare al termine del quale ciascuno, gli occhi fuori dalle orbite, la bava alla bocca, con un tremito alle mani come in una crisi isterica, avr` la soddisfazione di identificarsi con il generale o con il caporale di guardia.
Inizia allora una specie di commedia dell'arte della possessione, in cui ciascuno si abbandona secondo la sua iniziativa, a condizione di impersonare sempre il suo personaggio e di trattare conseguentemente quelli interpretati dagli altri. Alla fine si sacrificher` un cane, di cui si berr` il sangue sull'altare del sacrificio, prima di farlo cuocere per ottenere un brodo da offrire agli amici che non hanno potuto intervenire.
Il giorno dopo Jean Rouch ritrover` i posseduti di ieri distesi e tranquilli sull'abituale luogo di lavoro.
Ancora una volta Les maitres fous sarebbe gi` di per sé un documento di rara qualit` perché filmato con abilit` e realismo straordinari, se i suoi aspetti eccezionali non conferissero improvvisamente, a questo strano fenomeno, tuttavia classico, un senso brutalmente nuovo, che trasporta l'interesse dal semplice piano etnografico a quello della storia e della sociologia politica. Questi "padroni folli" non sono piuttosto, o meglio, nello stesso tempo, degli "schiavi ragionevoli", voglio dire uomini che compiono il loro dovere di schiavi fino ad adorare la potenza del padrone? In loro, la mitologia colonialista si realizza al di l` dell'immaginazione e nello stesso tempo si distrugge dialetticamente, poiché tutto sommato quale maggiore trionfo, quale più splendida apoteosi si può concepire di questa spontanea sostituzione agli dei millenari e ancestrali, dei simboli delegati della civilt` europea? Lo stregone invoca lo spirito del governatore!

A. Bazin
("France-Observateur", 24 ottobre 1957)


In teatro solo Antonin Artaud osò richiamarsi, un tempo - e darne l'esempio - a una regressione quasi viscerale dell'azione drammatica… Concepì l'idea rivoluzionaria d'un "teatro della crudelt`" utilizzando come materiale l'incantesimo, il terrore, la frenesia erotica e tutto l'armamentario della stregoneria, in modo da suscitare "un formidabile richiamo di forze che riporti lo spirito, con l'esempio, alla sorgente dei suoi conflitti". Così sperava di ridare al teatro la sua dignit` perduta. II cinema aveva, da allora, bisogno della stessa discesa nel profondo. Un uomo, Jean Rouch, l'ha tentata, nella veste rassicurante dell'etnografia, e dalle sue immersioni ci ha riportato qualche perla rara, d'uno splendore violento, quasi insostenibile. Il trofeo più prezioso di questa collana ' che ci nausea e ci affascina ad un tempo, e' senza dubbio Les maitres fous. Eccolo, il "trattato di bava e d'eternit`" atteso dal cinema agonizzante! Queste immagini boomerang ci rimandano, come in negativo, il volto spregevole dei nostri sogni, di cui lo schermo non ci offre in genere che un riflesso sbiadito. Jean Rouch, senza trucchi, con una neutralit` espressiva vicina al Buñuel di Hurdes, ci presenta un documento sociologico che relega al livello della biblioteca rosa i film dell'orrore più terrificanti.
È questo ai miei occhi l'interesse principale di questo reportage sugli usi e costumi di certe societ` primitive, finora poco note, delle regioni costiere del Niger. Rouch e stato introdotto, dopo un paziente lavoro d'approccio, nel segreto delle cerimonie morbose cui si dedicano nella foresta dei loro antenati gli "Hauka" della citt` di Accra. Ha potuto registrare sul posto veri sabba notturni con riti sacrificali, animali sgozzati, bevute di sangue fresco accompagnate da fenomeni psicomotori come teatralismo, contratture, scialorrea… In citt` quegli uomini sono dei lavoratori perfettamente adattati, se non migliori di altri, che la colonializzazione ha tutt'al più relegati nei lavori più bassi: manutenzione stradale, scaricatori, ruffiani, gendarmeria. È proprio a partire da questi contatti con la vita europea e dagli strani miti che essi portano con sé, per un curioso processo di liberazione dell'inconscio, si scatenano una o due volte l'anno le loro danze del possesso e le loro crisi isteriche rituali. Rouch sottolinea con spirito corrosivo la somiglianza tra il protocollo delle parate militari britanniche e la ripugnante caricatura che ne fanno gli autoctoni in delirio. E questo decadimento ci appare così come l'immagine pateticamente deformata della nostra civilt` moderna, come la rivincita dell'istinto sull'artificio.

C. Beylie
("Cahiers du Cinéma", n. 78, 1958)

Biografia

regista

Jean Rouch

Jean Rouch nasce il 31 maggio 1917 a Parigi. Si laurea in Lettere, in Ingegneria civile e poi si diploma all'istituto di Etnologia. Durante la guerra conduce inchieste etnografiche in Nigeria e in Senegal. Nel 1946-47 effettua la discesa del Niger in piroga, in compagnia di Jean Sauvy e di Pierre Bonty. Nel frattempo con la sua macchina da presa a 16mm riprende cerimonie e riti, realizzando un affascinante documento di altissimo valore etnografico e registrando la trasformazione di un continente dal colonialismo all'indipendenza. Au pays des images noirs (1947) è il primo di una lunga serie di cortometraggi, realizzati con la tecnica del cinéma-direct. Tale tecnica prevedeva l'uso della macchina a mano e della registrazione del suono in presa diretta al fine di cogliere il reale nella sua immediatezza. Tale scelta, nella sua smitizzazione dello strumento tecnico - che dimostra la concreta possibilità di realizzare un film senza sottostare ai limiti di una tecnologia pesante e di un'equipe numerosa - ha avuto una grande influenza sulla Nouvelle Vague. Col suo metodo Rouch realizza altri film importanti come Moi un Noir (1957) sui giovani che affluiscono a Treichville (Costa d'Avorio) in cerca di lavoro, La pyramide humaine (1958), sui rapporti tra studenti neri e bianchi al liceo di Abidjan, Chronique d'un été (1960), un film sui parigini, girato con Edgar Morin, Chasse au lion à l'arche (1964) su un particolare tipo di caccia in Costa d'Avorio, e Gare du Nord, un episodio di Paris vu par (1966) filmato in tempo reale, che racconta di un abbandono, di un incontro, di una corsa lungo Parigi e di un suicidio. Il metodo di Rouch non va assolutamente confuso col concetto della "vita colta all'improvviso". Rouch provoca con la macchina da presa i protagonisti dei suoi film, li costringe a farsi personaggi e a interpretare storie da loro stessi a volte inventate. In questo modo finzione e improvvisazione si trasformano in strumenti per arrivare alla "verità". Di qui anche il rifiuto del montaggio tradizionale, la trascuratezza formale, la preminenza dei contenuti. Nel 1984 presenta alla Mostra di Venezia Dyonisos: ironica rappresentazione della realtà di un antropologo diviso tra civiltà industriale e mondi primitivi. Dal 1947 a oggi Rouch ha girato più di centocinquanta film.

Cast

& Credits

Regia, sceneggiatura, fotografia, testo: Jean Rouch.
Suono: Damouré Zika.
Montaggio: Suzanne Baron.
Produzione: Films de la Pléiade.
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