Nazione: Italia
Anno: 1946
Durata: 96'


Pasquale e Giuseppe sono due ragazzi legati da sincera amicizia che nel disordine del dopoguerra esercitano delle lucrose se pur non del tutto lecite attivit`. Coinvolti in una rapina essi vengono inviati al riformatorio in attesa di giudizio. Il tempo trascorre senza che i due ragazzi vengano giudicati e frattanto la loro vita nel riformatorio si fa sempre più penosa. Contornati da una massa di disgraziati, precocemente traviati, di cui soltanto pochi fanno eccezione e mostrano i veri sentimenti confacenti alla loro et`; maltrattati talvolta ingiustamente e comunque sempre inumanamente dai guardiani e perfino dai dirigenti, i loro animi si inaridiscono e anche la loro amicizia viene meno fino a culminare nel tragico finale dove uno dei due ragazzi perde la vita.

Segnalazioni cinematografiche C.C.C., vol. XX, 1946


Erano i giorni che sapete e ne avevo gi` visto abbastanza per sentirmi profondamente turbato, sconvolto; le donne che andavano in camionetta con i soldati, gli uomini e i ragazzini che si buttavano in terra per afferrare le sigarette o le caramelle. Agli adulti pensavo meno che ai bambini; e pensavo: "Adesso sì che i bambini ci guardano!". Erano loro a darmi il senso, la misura della distruzione morale del paese: gli sciusci`. Ne conobbi due: Cappellone e Scimmietta. Scimmietta dormiva in un ascensore di via Lombardia, ma aveva una nonna cui voleva molto bene; fu questo calore familiare a salvarlo. Cappellone invece era figlio di nessuno, totalmente solo nel mondo con la sua grossa testa deforme di rachitico; più tardi rubò, finì in carcere. Allora erano due ragazzetti di dodici o tredici anni e componevano una sorta di bizzarra associazione. Lavoravano in via Veneto (Scimmietta con una mantellina addosso e nudo sotto, tranne un paio di calzoncini laceri), pulivano le scarpe in fretta e furia e poi, racimolate tre o quattrocento lire, correvano su a Villa Borghese, ad affittare un cavallo. Più tardi, nella stesura del soggetto, Zavattini portò il personaggio del cavallo a una compiutezza poetica; ma nel fondo restavano le reali, stravaganti cavalcate di Scimmietta e Cappellone. Peccato che né l'uno né l'altro, sicuramente, abbiano visto il film. Andavano a vedere i cavalli, il calcio, non certo il cinema. Cappelione, peraltro, finì in prigione prima che il film uscisse; e Scimmietta un giorno venne a chiedermi dei soldi per andare sulle montagne abruzzesi a fare il pastore. Non rividi mai più né l'uno né l'altro.
Le fotografie di CappelLone e Scimmietta apparvero nel primo numero di "Film d'oggi". Sei mesi dopo, al principio del '46, Tamburella, direttore dell'Alfa Film, mi disse che voleva fare un film sugli sciusci` e mi dette un soggetto orribile. Invitai Zavattini a pensare a un soggetto da contrapporre all'altro. Zavattini studiò il problema, visitammo insieme ambienti e persone, tra l'altro il carcere di Porta Portese che poi nel film venne ricostruito con impressionante fedelt`. Una settimana più tardi il soggetto nuovo venne presentato a Tamburella, che lo accettò senza riserve. Si affacciò il problema degli interpreti. Attori o non attori? Vorrei dichiarare a questo punto che in me la scelta dei cosiddetti attori "presi dalla strada" non è mai preordinata, non è la conseguenza di un atteggiamento rigido. Esistono personaggi che richiedono attori professionisti, ne esistono altri che possono vivere soltanto con un certo volto preciso, insostituibile, reperibile unicamente nella vita reale.
Fu molto difficile trovare i due ragazzi di Sciusci`. Cappellone e Scimmietta non potevano esserne gli Interpreti: troppo brutti, quasi deformi. La lunga ricerca cominciò, centinaia di genitori portavano i bimbi a mano, la stessa penosa processione che si sarebbe poi ripetuta per Ladri di biciclette. Scoprimmo per primo il ragazzo minore, Rinaldo Smordoni; l'altro, Franco Interlenghi, lo trovai davvero per strada. Figlio di modesti lavoratori preferiva la strada a qualunque altro divertimento. Entrambi erano molto dotati di un talento naturale: soprattutto Rinaldo pareva prodigiosamente bravo, ed essendo anche più bello, tutti puntavano su di lui e dicevano che crescendo sarebbe diventato un vero attore. E invece è accaduto il contrario: Interlenghi è diventato attore, l'altro, mi pare, muratore o fornaio.

Vittorio De Sica, "Tempo illustrato", 16 dicembre 1954


Qui a Torino, almeno, l'esito commerciale di Sciusci` è stato appena mediocre. In un momento in cui la superficialit` e la corruzione del gusto indirizzano il pubblico verso spettacoli spensierati e sollazzevoli è comprensibile che un film crudo, amaro, spesso desolato e cupo, come l'ultimo di Vittorio De Sica non debba attrarre le ilari folle, vogliose di distrarsi alle futili amenit` di Bob Hope e Bing Crosby in Avventura al Marocco, o alle spassose corbellerie di Abbott e Costello in L'inafferrabile spettro. Ma questi, e cento, e mille altri, saranno film che si dimenticano; Sciusci` in compenso sar` un'opera che nella storia del nostro cinematografo (e nella affastellata cronaca di questo penoso dopoguerra) rester` come un aspro documento, una ferma testimonianza di un anormale periodo della vita italiana. Gli sciusci`, questi derelitti che la guerra ha buttato nella lotta per l'esistenza e che nella felice et` dei giochi han dovuto vivere da uomini; e, deboli e indifesi, piegarsi ad ogni mestiere e a poco a poco scivolare verso la china del vizio, del traffico illecito, del compromesso morale, corrotti dall'insidia, liberi da ogni controllo familiare perché spesso la famiglia si è dissolta, perita sotto un bombardamento, o fulminata in una rappresaglia; gli sciusci`, sono stati osservati con occhio paterno, comprensivo, attento da Vittorio De Sica, che ne ha fatti i protagonisti del suo film più arduo e impegnativo; un film che, se anche allinea manchevolezze e presenta squilibrii narrativi e grigiori troppo accentuati, resta ugualmente i l suo migliore, e più convincente e vero. Manchevole è forse il soggetto nel suo nucleo essenziale, parendo, a inquadrare il penoso dramma collettivo degli sciusci` che il film ambisce di documentare, esile, scarno il semplice tema dell'acquisto del cavallo da parte d'un paio di essi: poiché se tal circostanza è ottima a definire quell'anelito di favolose avventure che a dispetto della lor vita equivoca e "adulta", è umano alberghi pur in fondo a quegli animi provati e corrotti, non è tuttavia tale da reggere, da solo, tutta l'impalcatura del film ed essere la causa determinante dei suoi sviluppi. E chiaro che l'esilit`, appunto, di tal motivo conduttore non poteva, senza rinforzi accessorii, appagare le necessit` del racconto, che infatti, poi, si sposta nel carcere dei minorenni ove l'azione s'immobilizza in quel tetro ambiente, col risultato di conferire al film una staticit`, un tenebrore, un'insistenza di dettagli penosi non certo fatta per dargli slancio e respiro. Se tutta questa parte del carcere minorile risultasse più rapida e sintetizzata e la pellicola procedesse con maggior speditezza, anziché indugiare all'eccesso su certi episodii nei quali un po' genericamente si rif` quel che lo schermo ci mostra l'abitudine nelle descrizioni stereotipe delle prigioni per adulti, si poteva, con autentica originalit` d'intenti e incisiva evidenza di risultati, mettere acutamente a fuoco quello che avremmo voluto fosse il lato nuovo del dramma dei due giovani protagonisti. I quali, entrati fra quelle tristi mura legati da un'amicizia fraterna, e subito separati l'uno dall'altro, diventeranno, per il reciproco sospetto della denuncia, per il timore che uno voglia giungere alla libert` scagionandosi e accusando l'altro, nemici implacabili, sì da giungere, infine, all'odio e al crimine. A me pare che tutto questo straziante dramma sia nel film più intuito che chiaramente espresso, talché la stessa catastrofe finale, seguente la pleonastica, nella sua prolissit`, proiezione del documentario nel reclusorio e poi lo spettacolare incendio, non arriva a toccare quel sincero effetto patetico ch'era di certo nelle intenzioni di Vittorio De Sica e dei suoi collaboratori. Rilevate tali manchevolezze, è giusto tuttavia notare l'eloquente evidenza documentaria (anche se, come ho detto, insistita) di tutta la parte descrittiva, suggerita certo su diretta esperienza di cose e persone da un regista di straordinaria sensibilit` e colta da un obiettivo implacabile a fissare, con provetta esperienza tecnica, gli aspetti più angosciosi d'un ambiente e d'un mondo. (Anchise Brizzi è l'operatore). Ma dove De Sica appare come non mai ispirato, è nella guida dei piccoli interpreti. Pazientemente addestrati e "lavorati" essi hanno dato, tutti, risultati, a dir poco, sorprendenti. Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi sono i due giovani eroi del dramma. Alla sceneggiatura come al soggetto, hanno collaborato Amidei, Franci, Viola, Zavattini. Notata qualche finezza accessoria: il detestabile direttore del carcere che, abituato al "voi" fascista, inavvertitamente e spesso lo usa, tosto rapidamente correggendosi col "lei". Insomma, a parte le manchevolezze, e nonostante la perfida registrazione sonora (che a noi, gente del nord, ha reso anche più ostico quel dialetto romanesco di cui s'è abusato) un film per il suo assunto e per i risultati che comunque si sono raggiunti, degno della più attenta considerazione. È perciò accomuniamo nell'elogio al regista De Sica, il Produttore: Paolo W. Tamburella.

Achille Valdata, "Cine teatro", n. 10, 15 maggio 1946


Al primo impatto, sembrò trattarsi soprattutto di una "denuncia sociale", di un filmverit` su certe condizioni di vita del nostro paese nel dopoguerra. E come tale il film venne rifiutato non solo dalla borghesia benpensante, ma anche dal pubblico spicciolo. Effettivamente, Sciusci` sembrava qualcosa di molto diverso sia dai cinema degli anni Trenta sia dai film americani che cominciavano a circolare. Intanto, c'è il brusco impatto con gli "esterni" di una Roma ridotta nelle condizioni che tutti sanno. E in più, vediamo come protagonisti dei piccoli mostri, né ragazzi né adulti, che si comportano secondo codici che non appartengono loro ma di cui si sono impadroniti per forza di cose. Una certa "distrazione" della macchina da presa rispetto alla struttura narrativa rigidamente intesa ci permette di osservare un "panorama" sociale con occhio "documentario" gi` molto prima che il film vero e proprio abbia inizio: gli sciusci` al lavoro, Pasquale (Interlenghi) che vive con i genitori di Giuseppe (Rinaldo Smordoni), mantenuti dai due ragazzi, le regole dell'arrangiarsi (il "Panza", rigattiere poco pulito, in combutta con Attilio, fratello maggiore di Giuseppe; la chiromante di via del Babuino), il distaccato mondo del galoppatoio di Villa Borghese, la "casa degli sfollati" (Ente Assistenza Accantonamento Sinistrati), una scuola dove "abitano" famiglie alla rinfusa, con galline, fornelli, paraventi, bambini nudi che circolano, bionde in pelliccia, ecc. [...]
La storia dei due sciusci` finisce per essere soltanto la necessaria finzione di una messa in scena della manipolazione del "reale" in funzione di un discorso. Ha scritto Philippe Carcassonne: "La regia di De Sica sembra derivare dalla semplicit` modesta d'un artigiano [...], il cinema di De Sica restituisce la familiare evidenza degli oggetti e insieme la loro familiare estraneit`. La macchina da presa non si muove che al ritmo del passo umano, minuziosamente attenta a dimenticare se stessa per non spaventare la veracit` che si sforza di afferrare". All'interno di questo metodo, troviamo il surrealismo fiabesco di marca zavattiniana (quel cavallo "Bersagliere", oggetto dei sogni di Pasquale e Giuseppe...). Stride anche la denuncia esplicita di carattere sociale (l'avvocato difensore di Giuseppe, al processo per truffa in cui gli sciusci` sono stati coinvolti: "se li considerate colpevoli, allora dovete condannare anche tutti noi, che inseguendo le nostre passioni, abbandoniamo a se stessa l'infanzia, i nostri figli, soli, sempre più soli!"). Aveva ragione il Bazin a sostenere il carattere più sociologico che politico del cinema italiano del periodo neorealista.

Franco Pecori, Vittorio De Sica, La Nuova Italia, Firenze 1980

Biografia

regista

Vittorio De Sica

Vittorio De Sica (Sora, Frosinone, 1901 - Neully-sur-Seine, Nanterre, Francia, 1974) ha cominciato a esibirsi da ragazzino come attore dilettante, diventando un vero e proprio divo negli anni Trenta grazie soprattutto a film di Mario Camerini come Gli uomini, che mascalzoni..., Il signor Max e I grandi magazzini. Pur proseguendo nella carriera di attore, ha intrapreso anche il lavoro di regista, esordendo nel 1940 con Rose scarlatte. Si è imposto quindi tra i protagonisti assoluti del neorealismo con film come Sciuscià o Ladri di biciclette (entrambi premiati con l’Oscar), continuando a realizzare opere di grande successo come La ciociara, Ieri, oggi, domani e Il giardino dei Finzi Contini.

FILMOGRAFIA

Rose scarlatte (coregia/codirector Giuseppe Amato, mm, 1940), Maddalena... zero in condotta (1940), Teresa Venerdì (1941), I bambini ci guardano (1943), Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1952), L’oro di Napoli (1954), Il tetto (1956), La ciociara (1960), Il giudizio universale (1961), Boccaccio ’70 (ep. La riffa, cm, 1962), Il boom (1963), Ieri, oggi, domani, (1963), Matrimonio all’italiana, (1964), Le streghe (ep. Una sera come le altre, cm, 1967), Il giardino dei Finzi Contini (1970), Lo chiameremo Andrea (1972), Una breve vacanza (1973), Il viaggio (1974).

Cast

& Credits

Regia: Vittorio De Sica.
Soggetto: Cesare Zavattini.
Sceneggiatura: Sergio Amidei, Adolfo Franci, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini, Vittorio De Sica.
Fotografia: Anchise Brizzi.
Scenografia: Ivo Battelli, Giuseppe Lombardozzi.
Musica: Alessandro Cicognini.
Interpreti e personaggi: Rinaldo Smordoni (Giuseppe), Franco Interlenghi (Pasquale), Emilio Cigoli (Staffera), Maria Campi, Aniello Mele (Raffaele), Bruno Ortensi (Arcangeli), Enrico De Silva, Antonio Lo Nigro, Angelo D'Amico, Antonio Carlino, Anna Pedoni (Nannarella), Francesco De Nicola, Pacifico Astrologo, Gino Saltamerenda (il Panza), Antonio Nicotra, Leo Garavaglia, Claudio Ermelli, Guido Gentili, Mario Volpicella
Produzione: Paolo William Tamburella per Alfa Film.
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