Nazione: Italia
Anno: 1948
Durata: 92'


Una povera ragazza, Angela, parte per Livorno in cerca del fratello che spera la possa aiutare. Durante il viaggio, in drammatiche circostanze, soccorre un soldato negro, Jerry, ferito in uno scontro con banditi. A Livorno, Angela, sola e disorientata, incontra una ragazza sbandata, Marcella, che la getta con leggerezza alla mercé di Pier Luigi, un avventuriero capo della malavita e sfruttatore di ogni miseria. Casualmente Angela ritrova Jerry, il quale, per procurarsi del denaro nell'intento di sottrarla ai loschi propositi di Pier Luigi, progetta il furto di un camion. Sorpreso dagli M.P., Jerry viene internato in un campo di punizione dal quale, con altri, riesce ad evadere dopo un conflitto in cui un M.P. rimane ucciso. Allora decide di cercare scampo con Angela in un imbarco clandestino e si procura il denaro rubando quattro milioni a Pier Luigi. Inseguito e raggiunto dai banditi è sul punto di sfuggire all'agguato quando viene sorpreso alle spalle. Angela, con suprema dedizione, per proteggerlo si fa uccidere. Jerry depone il suo corpo sul camion e in uno stato di frenetica esaltazione, si dirige a folle velocità verso un precipizio sul mare, cercando nella morte accanto ad Angela quella serenità che gli uomini gli avevano negata.

Documentazione stampa d'epoca


Sovente, nell'uscire dalla prima visione di un film, l'autore o gli autori del copione hanno sulle labbra quel misterioso e non impegnativo sorriso che, appena il regista si è allontanato, si traduce in queste eccitate e categoriche dichiarazioni: "La sceneggiatura era meravigliosa. Il regista è un cretino. Ha rovinato tutto!"
Per noi non è stato così: siamo usciti dalla prima visione di Senza pietà particolarmente soddisfatti, poiché il film ci è parso la fedelissima ed intelligente traduzione di tutto ciò che avevamo visto, immaginato e scritto.
Lattuada ha perfettamente capito e perfettamente reso; e gliene siamo grati, perché questo nostro lavoro rappresenta per noi una delle nostre esperienze più singolari e vive.
Nella zona di Livorno s'era creata una situazione così romanzescamente inverosimile che la realtà superava, di solito, le invenzioni dei giornalisti più fantasiosi in cerca di "pezzi a sensazione".
Partimmo alla scoperta di questo incredibile mondo, dal nome particolarmente suggestivo e misterioso "Tombolo"... e i protagonisti e le loro vicende nacquero spontaneamente da tutto ciò che avevamo visto e vissuto giorno per giorno in quell'ambiente straordinario.
Questa completa aderenza della nostra invenzione con la realtà di quel mondo, ci divertì e non cercammo altro.
Inutile quindi domandarci le "intenzioni" di questo nostro lavoro, e se poi, a cose fatte, il film avrà assunto anche un significato polemico, sarà polemica nel senso migliore, appunto perché non è stata cercata di proposito.
In ogni caso, non sarebbe mai quel genere di polemica di cui potrebbe accusarci il perdurante farisaismo nazionalistico.
Non avremmo proprio niente altro da aggiungere tranne che qualche parola sulla felicissima scelta degli attori, i quali da Carla Del Poggio a John Kitzmiller, da Giulietta Masina a Pierre Claudé (i due nuovi espressivi volti di questo film), da Folco Lulli a Lando Muzio, a tutti gli altri professionisti o improvvisati, hanno dato corpo con straordinaria aderenza e verità ai nostri personaggi, e alle loro avventure. Insomma, è un bel film, indubbiamente il migliore tra i cinque pur notevoli films che Alberto Lattuada conta al suo attivo.

Federico Fellini e Tullio Pinelli in Almanacco del cinema italiano, 1948


Risulta evidente una certa sproporzione tra il realismo della regia, che talvolta, nella pura rappresentazione cinematografica raggiunge effetti di marca, e la consistenza fittizia dei personaggi, la loro natura patetica ed esemplare da romanzo a dispense, commentato da un dialogo a volte lezioso e pittoresco, con forzature edificanti e battute di un realismo che vuoi essere stenografico e spesso non è che la ripetizione di una formula ormai logora e stanca. Restano all'attivo dei film, oltre il vanto del rischio una certa unità funzionale, qualche eccellente pagina descrittiva e l'interpretazione di John Kitzmiller nella parte del negro; mentre in Carla Del Poggio è da ammirare soprattutto l'intensità dell'impegno con cui ha cercato di forzare i limiti del suo dolce riserbo espressivo, poco adatto, almeno fino ad oggi, a ruoli di così tesa drammaticità.

Giorgio Prosperi, "Fotogrammi", n. 35, 7 settembre 1948


Tutto il racconto risente di questa duplice referenzialità che presiede allo svolgimento del film sin dall'inizio della lavorazione: la missione degli sceneggiatori: "studiare" Tombolo, l'installarsi della troupe all'interno della zona militare, l'utilizzazione degli ambienti naturali (la spiaggia, il porto di Livorno) e delle strutture già esistenti (il carcere militare), la messa in scena di personaggi e avvenimenti che agiscono e accadono "realmente" a pochi metri di distanza dal luogo delle riprese (come la sparatoria che apre il film). Tutto questo sfuma i contorni tra la realtà e la finzione, propone coincidenze e sovrapposizioni tra spettacolo ed evento, racconta una storia non solo possibile ma giù avvenuta. Il film è una riflessione sull'attualità ma su un'attualità schematizzata, stilizzata, innalzata a paradigma: il simbolismo di Senza pietà nasce dall'aver articolato inizialmente il processo narrativo sul territorio della cronaca, dall'aver seguito, studiato e riprodotto il reale e dall'essersene poi distaccato per assolutizzare i termini e destoricizzare il contesto. Edoardo Bruno ha messo in luce questo aspetto centrale del film: "[...] il valore della proposta kafkiana di questo universo livido, dove uomini deboli, violenti, impotenti costituiscono l'unica realtà intravista come attraverso una nostalgia del vero, è nella struttura stessa di una storia che si distacca dal 'genere' per divenire simbolo. Se all'inizio l'interesse principale sembra esaurirsi nella ricerca espressiva di ambiente [...], poi la 'favola' cambia prospettiva, lascia alle spalle l'esigenza di una denuncia immediata, diretta, per cogliere l'ambiguità dei comportamenti una dimensione più vera, stilisticamente parlando. Angela e Jerry la ragazza italiana e il disertore negro si propongono come simbolo di una situazione necessaria, senza via di uscita, si dimensionano in un universo tagliato fuori dalle regole abituali, in una scena che ripropone in sintesi la violenza, l'odio, l'amore come rappresentazione assoluta, dove tragedia e grottesco si attraggono, si assolutizzano. Tutto diviene come lontano, assurdo, nostalgia di una verità dileguata".
La progressione implacabile degli avvenimenti, il coinvolgimento dei protagonisti in un meccanismo inesorabile, l'impossibilità di una soluzione e la conclusione drammatica non risparmiano severe critiche al film in un momento in cui la "speranza" è una delle cifre del cinema neorealista. Ma il giudizio negativo dei recensori italiani è controbilanciato dal favore con cui i francesi accolgono il film, scoprendovi non solo la struttura della tragedia classica (JeanCharles Tacchella) e la lezione ritmica del cinema americano, ma anche i richiami illustri alla tematica di Stemberg e Carne (Raymond Barkan). La sorte di Senza pietà sarà quella di tanti altri film di Lattuada, a cui uno studio attento ai valori strutturali e formali riconsegnerà, col passare degli anni, il loro giusto valore "storico".

Claudio Camerini, Alberto Lattuada, La Nuova Italia, Firenze 1981

Biografia

regista

Alberto Lattuada

Alberto Lattuada (Milano, 1914), figlio di un noto compositore, studia architettura e si dedica all'attività di critico d'arte e cinematografico. Negli anni '40 fonda, insieme con Gianni Comencini e Mario Ferrari, la Cineteca Italiana di Milano. Collabora come sceneggiatore a Piccolo mondo antico (1941) di Mario Soldati e a Sissignora (1941) di Ferdinando Maria Poggioli. Esordisce nella regia con Giacomo l'idealista (1942), seguito poi da La freccia nel fianco (1945). Con la Lux realizza alcuni dei più importanti film del dopoguerra, come Il bandito (1946) e Il mulino del Po (1949). Nel 1951 dirige con Federico Fellini Luci del varietà. La spiaggia appartiene ad uno dei generi più amati da Lattuada, quello della satira di costume.

FILMOGRAFIA

Giacomo l'idealista (1942), La freccia nel fianco (1945), Il bandito (1946), Il delitto di Giovanni Episcopo (1947), Senza pietà (1948), Il mulino del Po (1949), Luci del varietà (1951), Anna (1952), Il cappotto (1952), Amore in città (1953), La lupa (1953), La spiaggia (1953), Scuola elementare (1954), Guendalina (1957), La tempesta (1958), Dolci inganni (1960), Mafioso (1962), Don Giovanni in Sicilia (1967), Fraulein Doktor (1969), Venga a prendere il caffè… da noi (1970), Sono stato io (1973), Le farò da padre (1974), Cuore di cane (1976), La cicala (1980), Cristoforo Colombo (tv, 1985), Una spina nel cuore (1986).

Cast

& Credits

Regia: Alberto Lattuada.
Soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli da un'idea di Ettore M. Margadonna.
Sceneggiatura: Federico Fellini, Alberto Lattuada, Tullio Pinelli.
Fotografia: Aldo Tonti.
Scenografia e Soggetto: Piero Gherardi.
Musica: Nino Rota.
Montaggio: Mario Bonotti.
Interpreti e personaggi: Carla Del Poggio (Angela), John Kitzmiller (Jerry), Pierre Claudé (Pier Luigi), Folco Lulli (Giacomo), Giulietta Masina (Marcella), Lando Muzio (il capitano), Daniel Jones (Richard), Otello Fava (il muto), Romano Villi (un bandito), Armando Libianchi (un bandito), Max Lancia (un bandito), Mario Perrone (un bandito), Enza Giovine (suor Geltrude).
Produzione: Carlo Ponti per Lux Film.
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