Nazione: Giappone
Anno: 1959
Durata: 62'


Il film narra la storia di un povero ragazzo che vende il suo piccione a un angolo della strada e di una ragazza che lo compra. Ma la ragazza è disattenta e il piccione vola via, ritornando dal ragazzo. Questi lo rivende compiendo così, pur senza rendersene bene conto, una vera truffa. A causa di ciò il ragazzo non viene assunto in una fabbrica di cui il padre della ragazza è uno dei dirigenti. Quando la ragazza lo viene a sapere va su tutte le furie, intuendo che l'amicizia con il ragazzo povero è impossibile. Ricompra il piccione dal ragazzo e lo uccide. Il ragazzo, avvilito ed umiliato, lasciati gli studi, diventa un manovale.

AA.VV., Nagisa Oshima, Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro 1971, Quaderno informativo n. 27, p. 68


Sono rimasto molto colpito da Ai to kibo no machi. È il primo film del regista Oshima Nagisa, della casa cinematografica Shochiku-Ofuna, figura emergente nel mondo del grande schermo. La stessa sceneggiatura è firmata da lui. La storia si presenta fresca e originale. Nei quartieri poveri della citt` di Kawasaki vive una famiglia di tre persone: un ragazzo dall'aria onesta e sincera, che frequenta la scuola media, la sorella maggiore handicappata, e la madre che fa la lustrascarpe.
Quest'ultima, costretta a letto da una malattia, si prende cura della figlia, che a causa della sua deficienza mentale, è ossessionata dalla mania di dipingere topi morti. Il ragazzo, protagonista della storia, vende alle studentesse che passano sulla piazza della stazione un piccione, che lui stesso ha allevato. È vestito in maniera decisamente misera, tuttavia ha un'aria intelligente, risponde sempre senza indugi e non ha alcun complesso di inferiorit` nonostante la sua condizione sociale.
Il colombo venduto finisce sempre per tornare dal suo padrone, il quale, ben consapevole di ciò, continua a portare avanti il suo imbroglio. In questa parte iniziale del film non c'è niente che attiri in modo particolare l'attenzione del pubblico, se non una certa pungente ironia che prende di mira alcuni aspetti del contesto sociale nel quale la vicenda è inserita. Tuttavia le scene sono piatte e monotone e i giovani attori, diretti da dilettanti privi di esperienza, recitano la propria parte con eccessivo formalismo, fissando insistentemente il volto del partner. Quando parlo di formalismo mi riferisco alla loro interpretazione e a tutta una serie di elementi caratterizzati da una vena di sentimentalismo. Nondimeno, ecco l'espressione davvero innocente e limpida del ragazzo che contrasta con il suo comportamento da imbroglione. Questa contraddizione, che suscita un sentimento drammatico, è proprio l'elemento che provoca maggior interesse. Dapprima viene presentata la famiglia del protagonista, poi è la volta della sua insegnante, che nutre nei suoi confronti affetto e simpatia, infine è il turno della famiglia della ragazza alla quale il giovane vende ripetutamente il piccione. La madre del protagonista è una donna priva di istruzione, apparentemente onesta, ma che, tuttavia, non vede cosa ci possa essere di male se la gente povera come loro si macchia di azioni simili a quella commessa dal figlio, per la quale non prova il minimo senso di colpa. Al contrario il ragazzo pian piano inizia a sentire del rimorso. L'insegnante sembra essere caratterizzata da un umanesimo "artificiale", è un personaggio poco originale, comune a molti film, non è al corrente della condotta, in un certo senso "criminale", del ragazzo e finisce con il prendersi cura di lui. La famiglia della ragazza appartiene alla classe borghese; il padre è un uomo dall'aria comprensiva e indulgente, il fratello maggiore è impiegato nella fabbrica diretta dal padre stesso. La ragazza ha un modo di parlare tale da sembrare in tutto e per tutto un ragazzo e, nonostante sia cresciuta in un mondo pieno di egoismo, è generosa e altruista; ignorando di essere presa in giro, prova molta compassione per il ragazzo e cerca di aiutarlo ad entrare nella fabbrica del padre. In quella fabbrica vengono solitamente assunti soltanto gli studenti diplomati, tuttavia con l'aiuto del fratello e dell'insegnante, anche al ragazzo viene data una possibilit`. Il giovane affronta con trepidazione la prova dell'esame di ammissione e incomincia a nutrire un sentimento di affetto e ammirazione nei confronti della ragazza che fino ad allora aveva trattato con un certo distacco. Nel contempo il fratello della giovane e l'insegnante si innamorano. Fino a questo punto la regia appare piuttosto scontata, l'interpretazione non è affatto originale, le scene procedono in maniera del tutto impersonale, prive di elasticit` e dinamicit`. Se paragoniamo l'opera di Oshima a quella di alcuni registi come Nakahira Ko, Okamoto Kihachi e Sugawa Eizo, tutti molto abili nel disporre "l'angolo della camera" in modo veloce e al momento giusto, dando vita a immagini sciolte e elastiche, Oshima ha prodotto qualcosa di tetro e dimesso, il suo lavoro è alquanto ripetitivo e se ne possono quasi prevedere gli esiti in anticipo. Anche se bisogna dire che il suo traboccante umanesimo non sconfina mai in una dolcezza nauseante e superflua. Ma ecco che nell'ultimo dei tre tempi del film questa impressione di monotonia si rovescia.
Il ragazzo non supera l'esame di assunzione. La giovane è convinta che la colpa sia del padre e del fratello. Questi replica di aver fatto il possibile perché il ragazzo fosse assunto ma che i suoi sforzi erano stati vanificati dalla scoperta della truffa del piccione. Tutti i personaggi fino a quel momento si erano dati da fare per aiutare il ragazzo, ma ora, giunti al limite delle loro possibilit`, devono mutare atteggiamento. L'insegnante lo rimprovera per le sue menzogne (e accusa per questo la madre) ma se la prende anche col fidanzato che non ha fatto abbastanza per aiutare il giovane e ha scelto consapevolmente di abbandonarlo. La scena procede in maniera meccanica e veloce, in modo da non lasciare la minima impressione, la minima eco, sullo spettatore. La monotonia della prima parte del film viene ora ad avere un significato preciso.
Il ragazzo decide di vendere ancora una volta il piccione e si reca nel solito posto. La ragazza lo vede e capisce di essere stata derisa. Compra allora il colombo e giura che questa volta non lo far` scappare. Il giovane torna così a casa, prende un'ascia e fa a pezzi l'ormai inutile gabbia. La cinepresa in posizione obliqua inquadra in primo piano il giovane che, brandendo l'ascia, colpisce la gabbia. Sullo sfondo la madre grida che il colombo non torner` più e la sorella è terrorizzata. All'inizio l'inquadratura si concentrava solo in un punto centrale; ora invece si scinde: da una parte l'immagine del ragazzo che distrugge la gabbia, dall'altra quella della madre che urla. Le due immagini si trascinano da una parte e dall'altra reciprocamente per poi alla fine respingersi. L'azione del giovane che rompe la gabbia si ripete a lungo, ostinatamente. Egli non può sopportare quest'offesa. Il colombo che fino a ieri era il simbolo della solidariet` nei confronti della sua povera famiglia è ora diventato il simbolo dell'umiliazione; distruggendo la gabbia pensa di riabilitare il suo orgoglio. Il film si conclude con la scena della ragazza che chiede al fratello di uccidere il colombo; lo lascia libero nel cielo e nello stesso istante il fratello gli spara. È la scena più sensazionale del film. Il colombo cade tragicamente sui tetti delle case del quartiere povero. È un finale per certi versi impulsivo, come quello di una tragedia, tuttavia è limpido. Nel complesso il film ha qualcosa di triste, al pari di quella canzone popolare inserita nella scena in cui l'insegnante ascolta le ragioni che hanno impedito al fidanzato di dare una mano al giovane. È un film che non commuove e il pubblico stesso non sembra apprezzarlo pienamente. Per il senso comune degli spettatori, e più in generale per quello di tutta la societ`, il povero deve essere sempre aiutato e mai, come in questo caso, abbandonato. Il pubblico preferisce il lieto fine. Forse il vero significato del film non viene raccolto e forse anche l'eccessivo formalismo nella recitazione dei giovani attori è stato voluto di proposito. Questo film segna una svolta per la casa cinematografica ShochikuOfuna, abituata solitamente a produrre opere venate di ridondante sentimentalismo; la nuova strada seguita da Kido Shiro, tornato da poco in prima linea, è indicata anche dalla gran quantit` di volti nuovi che qui sono stati impiegati. E a questo riguardo il film è più che soddisfacente.

Sato Tacao "Eiga Geijutsu", n. 1, 1960

Biografia

regista

Nagisa Oshima

Nagisa Ōshima (Tamano, Giappone, 1931 - Fujisawa, Giappone, 2013) è considerato uno dei maestri del cinema giapponese. Esponente della cosiddetta nuberu bagu, ha raccontato le contraddizioni della società nipponica del secondo dopoguerra, in cui il crescente materialismo si affiancava alla rigida osservanza di regole secolari, generando ossimori e conflitti insanabili. Tra i suoi titoli più importanti, Racconto crudele della giovinezza (1960), Il cimitero del sole (1960), Notte e nebbia in Giappone (1960), La cerimonia (1971), Ecco l’impero dei sensi (1976), vero caso mediatico a causa degli espliciti contenuti sessuali, L’impero della passione (1978), premio per la migliore regia a Cannes, e Furyo (1983), vincitore di un Bafta per la migliore colonna sonora. Ha chiuso la carriera con Tabù - Gohatto (1999), presentato in concorso a Cannes. Nel 2009 il Torino Film Festival gli ha dedicato una retrospettiva completa.

FILMOGRAFIA

Seishun zankoku monogatari (Racconto crudele della giovinezza, 1960), Taiyō no hakaba (Il cimitero del sole, 1960), Nihon no yoru to kiri (Notte e nebbia in Giappone, 1960), Etsuraku (Il godimento, 1965), Muri shinju: Nihon no natsu (Japanese Summer: Double Suicide, 1967), Koshikei (Death by Hanging, 1968), Gishiki (La cerimonia, 1971), Ai no korīda (Ecco l’impero dei sensi, 1976), Ai no bōrei (L’impero della passione, 1978), Merry Christmas Mr Lawrence (Furyo, 1983), Max mon amour (Max amore mio, 1986), Gohatto (Tabù - Gohatto, 1999). 

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Oshima Nagisa.
Fotografia: Kusuda Hiroyuki (ShochikuCinemascope).
Luci: Ijima Hiroshi.
Scenografia: Uno Koji.
Montaggio: Sugihara Yoshi.
Musica: Manabe Riichiro.
Suono: Kurita Shujuro.
Assistente alla regia: Tamura Tsutomu.
Interpreti e personaggi: Fujikawa Hiroshi (Masao), Tominaga Yuki (Kyoko), Watanabe Fumio (Yuji, fratello di Kyoko), Ito Michiko (Yasue, sorella di Masao), Mochizuki Yuko (Kuniko, madre di Masao), Chino Kakuko (Akiyama, l'insegnante), Suga Fujio (Hisahara, padre di Kyoko e di Yuji).
Produzione: Ikeda Tomio per ShochikuOfuna.
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