2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

La proie pour l'ombre

Prey for the Shadows
di Alexandre Astruc
Nazione: Francia
Anno: 1960
Durata: 96'


Sposata ad Eric, un ricco costruttore edile che si aspetta dalla moglie soprattutto prestigio, Anna soddisfa i suoi interessi badando ad una galleria d'arte che lui le ha comprato. È abbastanza soddisfatta e, quando incontra Bruno, che lavora per un'industria discografica, inizialmente non vuole affrontare lo sforzo emotivo e la tensione di un nuovo rapporto sentimentale. Si lega a Bruno però quando sembra che lui le dia l'interesse e l'affetto che il marito non le d`. Ma poi ecco venire l'inevitabile resa dei conti con Eric e lei se ne va con Bruno nella casa di campagna di lui. Quando Eric va a trovarli, Anna provoca una lite. Di colpo ha il sospetto che Eric reagir` togliendole la galleria e insiste per correre a Parigi. Ma Eric, prima di partire per un viaggio all'estero le ha intestato la galleria. Andando a trovarlo all'aeroporto Anna scopre che ha trovato un'altra ragazza e che la sta portando con sé.
In macchina da sola lascia l'aereoporto.

P.H.
("Monthly Film Bulletin", n. 332, 1961)


Non so se sia corretto attribuirmi la paternit` della Nouvelle Vague; ma è certo che cinque anni prima della sua nascita ho percorso un iter analogo a quello caratteristico di molti suoi appartenenti. Dapprima, infatti, fui critico ai "Cahiers du Cinéma", poi realizzai un cortometraggio prodotto con pochissimi mezzi: Le rideau cramoisi. Quindi passai alla regia di un vero e proprio film, Les mauvaises rencontres, dove mirai prima di tutto a esprimermi in maniera totale; analogamente a quanto faranno i miei più giovani colleghi della Nouvelle Vague.
È d'altra parte altrettanto certo che sono poi stato vittima della Nouvelle Vague. Il mio "errore" fu Une vie, una produzione costosa che si rivelò un fallimento finanziario; - il film era costato trecento milioni di vecchi franchi. Mi feci così la nomea di regista caro e non redditizio. (…)
Per uscire da questa situazione, mi trovai a dover fare, a mia volta, un film genere Nouvelle Vague. Dal punto di vista produttivo, fui aiutato da alcuni amici, in particolare da Christian Marquand. La proie pour l'ombre costò solo sessantasette milioni, e lo realizzai in tre settimane in esterni. Debbo dire che per me non fu un film facile, perché nello stesso tempo non volevo rinunciare alla mia ricerca stilistica. Si tratta veramente del miglior film della Nouvelle Vague? È stato lei a qualificarlo così, e io la ringrazio.
Credo che in questo film mi sia riuscito qualcosa di cui ero solo sempre andato alla ricerca: realizzare una successione di scene in cui sono importanti unicamente i rapporti tra i personaggi. E questi rapporti si esplicano unicamente tramite i corpi. Per questo sono molto soddisfatto dello Scope. Può sembrare paradossale, ma lo Scope consente di avvicinarsi di più all'attore, di coglierlo meglio. Il tipo di obiettivo dello Scope consente primi piani all'interno di un totale. Ossia: si può conservare il totale perché vi si sentono gli attori in primo piano. Ciò consente uno stile più scorrevole e lunghe inquadrature. L'attore, poi, è per così dire obbligato a darsi totalmente, senza possibili riserve.
È subito stato detto che il mio film rappresenta il conflitto tra la donna moderna e l'amore. Non è esatto. Ho infatti voluto, più precisamente, esprimere la difficolt` della donna di accettare di essere donna. Essa, infatti, è talmente convinta di essere uguale all'uomo che, quando un uomo, per amore, la femminilizza, lei vive, se non una rivolta, una lacerazione.

A. Astruc
("Arts", n. 803, 1961)


La proie pour l'ombre affronta, una volta di più, il problema della coppia e del posto della donna in una societ` che, finora, è stata costruita dagli uomini e per gli uomini. La donna cerca necessariamente di emanciparsi dalla costrizione che pesa su di lei. Tenta di bastare a se stessa con una professione, un ideale, ecc. Ma può sperare di riuscire? Il suo desiderio più segreto non è quello di tornare interamente donna, non appena se ne presenti l'occasione? La conclusione disincantata di Astruc rischia, io terno, di farlo tacciare di misoginia. Egli crede solo in parte alla volont` di indipendenza della donna. Vede in lei un'eterna schiava le cui ribellioni sono condannate a rimanere senza futuro. (…) La sceneggiatura costituisce qui, non dirò un pretesto (il tema della donna libera appassiona Astruc), ma un supporto, un punto di partenza. Il succedersi e la scelta delle sequenze, la loro scrittura, tutto sta a dimostrare che la messa in scena fa qui la
parte del leone. Ciò che interessa in questo film non è tanto l'idea che Astruc ha della donna libera, quanto il modo in cui presenta questa idea. Non ci viene dato il punto di vista dell'amante, né il punto di vista del marito, né quello della donna sposata, ma il punto di vista di Astruc, e questo unicamente grazie all'uso intelligente delle risorse della messa in scena. Astruc non si affida ad una sceneggiatura ben costruita, né alle virtù del dialogo, né alle qualit` degli attori, ma alle sole virtù della scrittura cinematografica. Cerca innanzi tutto di selezionare nella vita dei suoi eroi dei momenti cruciali, momenti che possono essere caratterizzati da un gesto, una professione di fede, un'intonazione della voce o perfino un silenzio. Si tratta, per il regista, di "bloccare" questo o quel personaggio in un momento privilegiato della sua esistenza, memento in cui si offre, legato mani e piedi, al regista che qui recita la parte dell'osservatore. Quest'ultimo ha dunque sempre il diritto di riportare, della storia che ha voluto raccontarci, solo qualche momento che sintetizzi la personalit` di ogni personaggio attraverso il suo comportamento. I rapporti tra i personaggi non si riducono più ad uno scambio di discorsi puramente utilitario, ma riassumono e definiscono la situazione nel suo insieme. Ogni scena è, nello stesso tempo, una sequenza del film e tutto il film.
Vale a dire che Astruc si collega ad una tradizione che rifiuta la spiegazione, la descrizione e la piattezza di un semplice svolgimento cronologico, a vantaggio di una costruzione e di una sceneggiatura che obbediscano soltanto alle esigenze del cinema. Il film parte da un punto di rottura, da un momento critico nella vita dell'eroina per giungere ad un altro memento critico (cosa far` ora la nostra eroina, visto che ha abbandonato, allo stesso tempo, il marito e l'amante?). Tra i due momenti critici ogni sequenza si presenta come un blocco che illustra come si orientano (in un senso o nell'altro) i rapporti tra l'eroina e gli uomini che le gravitano intorno. (…)
Forse non sappiamo tutto sulla vita del marito, dell'amante o della donna, ma sappiamo chi essi sono. Grazie alla macchina da presa che si trova sempre presente al momento giusto, abbiamo sorpreso queste persone nella loro intimit`, quando sono se stessi e non ciò che appaiono. Nelle scene riportate nel film, non resta nulla di abbozzato ma tutto è trattato a fondo, anche se bisogna rinunciare ad altre scene la cui importanza appare secondaria al regista.
Le persone (e Astruc lo sa meglio di chiunque altro) si mettono talvolta in scena o creano occasioni di messa in scena per scoprire e fare il punto sui rapporti che hanno con questo o quell'individuo. Astruc approfitta di queste occasioni per dipanare situazioni equivoche. Coglie la "chance" che gli offrono i suoi protagonisti e ne trae tutti gli effetti possibili.

J. Domerchi
("Arts", n. 818, 1960)


Con La proie pour l'ombre la barriera è finalmente valicata. Astruc si esprime totalmente nella regia, ma (come d'altronde nei Mauvaises rencontres dove si serviva della gru per planare sul soggetto) lascia una distanza tra la regia e i personaggi. Questa distanza oggettiva è sconcertante solo se da un film ci si aspetta ancora uno spettacolo facile, che proponga allo spettatore un'identificazione coi personaggi e una spiegazione immediata dei loro caratteri e comportamenti. I film cui La proie pour l'ombre si avvicina di più non sono quelli di Antonioni, ma di Mizoguchi. In entrambi il cinema è un'arte delle apparenze, ma è più facile ammirare Mizoguchi perché è giapponese e quindi, per definizione, dépaysant.
Tutta l'originalit` della Proie pour l'ombre viene dal rifiuto di Astruc di collocare la cinepresa all'interno del dramma, se non per osservarlo. Non accade mai che Eric sia visto con gli occhi di Anna o Anna con gli occhi di Eric, né Bruno con gli occhi di Anna o viceversa, né Anna ed Eric con gli occhi di Bruno ecc. Non c'è che uno sguardo, ed è quello dell'autore. È lui che, nel momento in cui Bruno entra nella camera di Anna a Versailles, lo guarda camminare verso il corpo coricato, lui che cerca, in mezzo alla folla del vernissage, la coppia Anna-Eric, persa per un memento di vista, lui che osserva le sole esitazioni e contraddizioni visibili di Anna, quando corre al suo vecchio appartamento vuoto per tentare di riconciliarsi con Eric. L'analisi dei sentimenti è condotta tramite la sola regia, e in funzione al modo in cui i personaggi sentono gli eventi. Non è, tuttavia, un cinema a livello di buco della serratura. La distanza tra l'autore e il suo film resta sempre la stessa. Si tratta di far sorgere, da tutte queste apparenze, una verit` complessa e interiore.

J. Domarchi
("Arts", n. 818, 1960)

Biografia

regista

Alexandre Astruc

FILMOGRAFIA

LE RIDEAU CRAMOISI (1952), UNE VIE (1957), LA PROIE POUR L'OMBRE (1960).

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Alexandre Astruc.
Dialoghi: Alexandre Astruc, Claude Brulé.
Fotografia: Marcel Grignon.
Scenografia: Jacques Saulnier.
Montaggio: Denise de Casabianca.
Musica: Richard Cornu.
Interpreti e personaggi: Annie Girardot (Anna), Daniel Gelin (Eric), Christian Marquand (Bruno), Anne Caprile (Luce), Michèle Gerbier (Claudine), Michèle Girardon, Corrado Guaducci, Christiane Barry, Michel Chastenet.
Produzione e distribuzione: Marceau-Cocinor.
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