Nazione: Francia
Anno: 1964
Durata: 115'


Pierre Lachenay, scrittore, sposato e padre di famiglia, s'innamora, durante una tournée di conferenze, di una giovane hostess. Lascia la moglie per andare a vivere da solo e fa visita a turno alla moglie e all'amante, ma, incapace di affrontare questa situazione e rimandando sempre il momento della scelta decisiva, Pierre verr` ucciso dalla moglie in un ristorante, mentre progettava di riprendere la vita coniugale.


Il mio ultimo film, La peau douce, ha come soggetto l'adulterio. Ho avuto quest'idea la prima volta due o tre anni fa, e a proposito d'una immagine che alla fine non è passata nel film. Succede. Avevo pensato semplicemente all'interesse che poteva esserci a mostrare, in un taxi, una coppia clandestina che deve separarsi. Immaginavo una scena piuttosto focosa, quasi animale, con una serie di baci in cui si doveva sentire il rumore dei denti che si scontravano. Ricordo che è stata quest'idea il punto di partenza della Peau douce. Mi sono detto che l'idea di clandestinit` e di taxi sarebbero state bene insieme, perché se è l'uomo a guidare è meno interessante; bisogna che la coppia sia sul sedile posteriore d'un taxi, e i baci devono essere molto appassionati perché si separano mentre hanno voglia di restare insieme. Allora il senso di clandestinit` e il rumore dei denti avrebbe dato una certa crudezza, un vivo sentimento d'amore fisico. Ho ripensato ogni tanto a quest'immagine e poco a poco s'è formata tutta una sceneggiatura, e alla fine questa scena non si trova nel film perché non potevamo introdurre un taxi nell'azione; comunque è questa l'origine esatta, nel caso preciso della Peau douce.

François Truffaut
("Cinéma", n. 85, 1964)


Su questo film è stato fatto un lavoro di montaggio molto interessante, perché tutto è fatto su degli sguardi; c'era davvero molto materiale da montare, e si scoprivano man mano dei principi di montaggio interessanti.
Se si vuole incuriosire, bisogna che il primo sguardo di qualcuno verso qualcosa sia abbastanza lungo; gli sguardi successivi possono essere anche brevi, perché è la lunghezza del primo che deve mettere in guardia, incuriosire, mettere l'accento su ciò che il personaggio guarda. Si potrebbe pensare che sia l'inquadratura della cosa guardata a dover durare più a lungo, non è vero: è lo sguardo che viene prima. È anche la prima volta che m'interesso parecchio a ciò che è "fuori campo"; spesso è piuttosto meccanico nei film, non ce ne si preoccupa granché. C'è un primo criterio che consiste nel mostrare la persona che parla, e poi la persona che risponde. Ce n'è un altro, più sottile, che consiste nello stabilire una sorta di equilibrio, e nel mettere delle battute fuori campo, ma spesso lo si lascia al caso mentre, a rifletterci bene, una frase fuori campo d` un senso complementare al senso della frase, e questo dev'essere utilizzato drammaticamente. È la prima volta che ci bado e che sento bene, per ogni scena, qual è il personaggio che si deve vedere solo quando parla e quale quello che si deve vedere anche quando ascolta.

François Truffaut
("Cinéma", n. 87, 1964)


E che si tratta del primo film diretto di Truffaut (ad eccezione forse dell'Amour ` 20 ans): tutti gli altri paiono tributari, in un modo o in un altro, di cristallizzazioni personali, e rispondenti a schemi soggettivi, come il passaggio dalla prima alla terza persona di Tirez sur le pianiste o il commento di Jules et Jim. Primo film totalmente al presente dunque; da qui la sensibile modificazione della prospettiva realista dell'autore, mitologica prima, prosodica questa volta: ciò che qui si cerca (trova) è un "naturale" alquanto inedito, equidistante dal naturalismo incantato d'un Rozier come dalla caratterizzazione espressiva d'uno Chabrol, ma vicinissimo, per una volta, alla "falsit`" bressoniana - straniamento quasi scioccante degli artifici quotidiani restituiti senza le abituali perifrasi dello spettacolo da una messa in luce brutale, incisiva; all'immagine di quella voce lontana, crudele, un po' irriconoscibile, che i magnetofoni ci affermano essere la nostra, ecco degli atti, dei riflessi, delle menzogne, senza dubbio più offensivi per il fatto d'essere integrati alla fermezza d'un aneddoto lineare che sarebbe stato più facile perdonare a Truffaut se avesse avuto la gentilezza elementare di ridurlo a pretesto confesso: pretesto alla virtuosit`, trampolino per l'esercizio d'uno stile abbastanza ostentato da essere notato, schietta caricatura insomma, imputabile alle esigenze di ogni commedia di costume, che ne so; invece qui l'argomento non può stabilire rapporti di complicit`, o semplicemente permettere la minima gamma - sia pure ristretta - di punti di lettura contradditori: è il film, ogni polo d'attrazione incluso nell'economia del racconto (la sua avarizia, anche) e dipendente dai suoi limiti, ben chiaramente fissati. O, se si vuole, dopo il periodo "cinefilico" di Truffaut, tributo d'amore ai suoi padri, al Cinema, alla sua giovinezza o alle sue letture.
Non che La peau douce sia esente da reminescenze, richiami o citazioni. Qua e l` si pensa a Bresson, Lang, Hitchcock o Rossellini. Ma i debiti formali sono completamente "digeriti" dal significato che Truffaut assegna loro, significato ogni volta diverso da quello che potevano avere presso i loro "inventori", ecco la sua prima opera di critico, ritorno in un certo senso alla salutare "cattiveria" delle cronache di "Arts" con, in più, questa inquietante padronanza, questa severit` al riparo dalla rabbia, dalla precipitazione, che si chiama lucidit`. Truffaut-critico, si sa, amava rivolgersi, al di l` dei lettori, agli stessi autori che fustigava, in uno stile che non era sempre indiretto. Oggi siamo in qualche modo, noi spettatori, ed anche se d'accordo, i suoi nuovi Delannoy, più sicuramente vulnerabili via creazione di quanto i vecchi potessero esserlo via critica. Basta dire che si tratta d'un dialogo, e che ormai importa meno che cambi il cinema, che lo spettatore: qui La peau douce si congiunge con Les bonnes femmes, Muriel o Les carabiniers.

Jean André Fieschi
("Cahiers du Cinéma", n. 157, 1964)


La peau douce è dunque, molto semplicemente, la storia d'un adulterio e d'un delitto passionale. Un uomo, sua moglie, la sua amante, tre borghesi, il trio classico, banale, convenzionale. Ma l'invenzione del dettaglio, la giustezza dell'osservazione, la misura della regia, la precisione dei personaggi minano questa banalit` e ci s'accorge, con stupore, che è la prima volta che vediamo sullo schermo un marito che inganna sua moglie.
Le convenzioni della situazione vengono smentite, contraddette, abolite ad ogni istante dalla ricercatezza del dettaglio. Quando Gabin tradisce Edwige Feuillère con Brigitte Bardot (En cas de malheur), ecco della convenzione cinematografica pura. Ma quando il molle, maldestro, pudico e ipocrita Jean Desailly tradisce l'attraente e rompiscatole Nelly Benedetti con la graziosa, affascinante e insignificante Françoise Dorléac, questo suona subito più nuovo e più vero. La loro avventura resta senza sorprese, ma ogni tappa, frugata con meticolosit`, fa emergere mille verit` insospettate, tutte le esitazioni, gli imbarazzi, i soprassalti che il cinema convenzionale ha sempre cancellati e la cui repentina rivelazione ci sorprende ed emoziona. Tutta una incrostazione di abitudini drammatiche, di tradizioni psicologiche si screpola all'improvviso per lasciare finalmente passare le pulsazioni della vita. Ad esempio: un uomo e una donna s'incontrano. Il giorno dopo andranno a letto insieme. Cosa succede tra di loro che porta a questa conclusione? Lui non è un Don Giovanni, lei non è una vamp. Lui è timido, lei è riservata. Di solito situazioni del genere evolvono grazie a opportune ellissi: da un'ellissi all'altra, i rapporti tra lui e lei si sono misteriosamente incamminati verso una conclusione che appare subito ineluttabile. François Truffaut precede in senso esattamente inverso. Due percorsi in ascensore uniscono Pierre e Nicole. Si guardano di nascosto, si affrontano, si sfuggono. Il desiderio, l'apprensione, la paura del ridicolo guidano il loro comportamento esitante, ambiguo e incerto. E se si ritrovano l'uno nelle braccia dell'altro, non è che tutto a un tratto si amano, né che sono travolti da qualche irresistibile slancio, ma che si trovano lontani da casa, in Portogallo, isolati in un albergo, che gli applausi con cui è stata accolta la sua conferenza scatenano in Pierre un'audacia inusitata, che la divisa da hostess gli sembra rassicurante, o promettente, che l'occasione fa l'uomo ladro.
Niente di tutto questo è detto nel film, ma solo suggerito da sguardi che s'incrociano, porte che si chiudono, bottoni premuti in un balletto di gesti quotidiani in cui si percepisce poco a poco una tensione che si afferma sempre di più e genera l'evento. Lungo tutto il film, del resto, la presenza degli oggetti si far` incalzante e oppressiva, si tratti dell'auto (portiera, accensione, avviamento), strumento base d'un amante che conduce tra le sue due donne una vita da commesso viaggiatore, o della "Guida Michelin", breviario degli amori clandestini. (…)
Resta l'epilogo, che sorprende come lo scoppio d'un tuono. Ma, come avrebbe detto Monsieur de La Palice, "cinque minuti prima del delitto un criminale (soprattutto se si tratta d'un delitto passionale) è ancora innocente, del tutto innocente". Abbiamo a questo punto uno dei colpi di fuoco più veri di tutto il cinema. Uno dei più tragici anche, l'unico atto forse realmente innamorato, profondamente appassionato di tutta questa storia d'amore. Non fu gi` Bernard Shaw a dire: "Quando vogliamo trovare degli atti compiuti per amore, dove dobbiamo cercarli? Nella cronaca nera".

P. Billard
("Cinéma", n. 87, 1964)

Biografia

regista

François Truffaut

François Truffaut (Parigi, Francia, 1932 - Neuilly-sur-Seine, Francia, 1984), dopo studi irregolari, vari mestieri e un breve periodo in riformatorio, nel 1953 è stato invitato da André Bazin a collaborare ai «Cahiers du cinéma». Ha realizzato alcuni cortometraggi, poi nel 1959 con l’esordio I 400 colpi si è imposto tra i protagonisti della nouvelle vague insieme ai colleghi Chabrol, Godard, Rivette e Rohmer. Ha quindi dato vita a una lunga e variegata filmografia, con cui è diventato uno dei registi più famosi e influenti della storia del cinema. 

FILMOGRAFIA

Les quatre cents coups (I 400 colpi, 1959), Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960), Jules et Jim (Jules e Jim, 1962), Fahrenheit 451 (id., 1966), La mariée était en noir (La sposa in nero, 1968), La sirène du Mississipi (La mia droga si chiama Julie, 1969), La nuit américaine (Effetto notte, 1973), L’histoire d’Adèle H. (Adele H., una storia d’amore, 1975), L’homme qui aimait les femmes (L’uomo che amava le donne, 1977), La chambre verte (La camera verde, 1978), Le dernier métro (L’ultimo metrò, 1980), Vivement dimanche! (Finalmente domenica!, 1983).

Cast

& Credits

Regia: François Truffaut.
Soggetto e sceneggiatura: François Truffaut e Jean-Louis Richard.
Fotografia: Raoul Coutard.
Montaggio: Claudine Bouché.
Musica: Georges Delerue.
Interpreti e personaggi: Françoise Dorléac (Nicole), Jean Desailly (Pierre Lachenay), Nelly Benedetti (Franca), Daniel Ceccaldi (Clément), Jean Larmer (Michel), Paule Emanuele (Odile), Sabine Haudepin (Sabine), Laurence Badie (Ingrid), Gérard Poirot (Franck), Georges de Givray (il padre di Nicole), Dominique Lacarrière (la segretaria), Carnero (l'organizzatore a Lisbona), Charles Lavialle (il portiere dell'hotel Michelet), Maurice Garrel (il libraio), Catherine Duport (la ragazza di Reims), Olivia Poli, Philippe Dumat, Thérèse Renouard, Pierre Risch, Brigitte Zhendre-Laforest, Jean-Louis Richard.
Produzione: Les Films du Carrosse.
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