2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Les parapluies de Cherbourg

The Umbrellas of Cherbourg
di Jacques Demy
Nazione: Francia
Anno: 1963
Durata: 92'


La partenza: Guy e Geneviève si amano e vogliono sposarsi, ma la madre di Geneviève, Emery, che possiede un negozio di ombrelli a Cherbourg, pensa che la figlia sedicenne sia troppo giovane per sposarsi. Guy, che lavora in un garage, viene chiamato alle armi e parte da Cherbourg. Prima di partire fa l'amore con Geneviève. Nel frattempo la signora Emery ha cercato di risolvere i suoi problemi finanziari offrendo una collana di perle al gioielliere Douburg e, nel negozio, lei e la figlia hanno incontrato Roland Cassard, un giovane e ricco mercante di diamanti, che compra la collana.
L'assenza: Geneviève, che ha ricevuto una sola lettera da Guy, è incinta. La signora Emery parla con Roland, che dichiara formalmente di amare Geneviève e di voler tornare nel giro di tre mesi per sapere la risposta alla sua domanda di matrimonio. Dato che lui la vuole ancora malgrado la gravidanza, Geneviève lo sposa.
Il ritorno: Di ritorno a casa, dalla vecchia nonna Elise, che vive con la giovane Madeleine, Guy, che non ha scritto a Geneviève perché era ferito in ospedale, lascia il lavoro e vagabonda per i bar finché la morte di Elise non lo spinge a cercare conforto ed aiuto in Madeleine. Lei lo ha sempre amato e presto i due si sposano. Più di tre anni dopo, a Natale, Guy e Geneviève si incontrano di nuovo quando lei si ferma in macchina, con la bambina accanto, alla stazione di servizio in cui lui lavora. La conversazione è breve e imbarazzata, e dopo Guy esce di corsa nella neve ad incontrare la moglie e il figlioletto che tornano dall'aver fatto le compere.

E.S.
("Monthly Film Bulletin", n. 373, 1965)


Volevo fare un film colorato come una tappezzeria, vedevo tappezzerie dappertutto, vedevo una profusione di colori. Non ci si arrischia mai a mettere del colore nel cinema, mentre in pittura uno lo fa e non ha paura di farlo. Al cinema è come se si avesse sempre paura del cattivo gusto. Si resta continuamente al di qua delle proprie possibilit`. Ho parlato a Bernard di alcune armonie, anche lui aveva fatto le sue ricerche per conto suo; in seguito, con Jacqueline Moreau, la costumista, abbiamo fatto degli studi sul rapporto tra le ambientazioni e i costumi.

I personaggi non sono sempre condizionati dall'ambiente?
Un rapporto c'è sempre. Per quanto mi riguarda, non mi interesso eccessivamente di queste cose, credo che non sia interessante… C'è sempre un rapporto tra il personaggio e il colore del suo vestito; ma si tratta di un rapporto evidente. Per esempio, per le donne, volevo che il colore evocasse un universo sessuale; che ci fosse del rosa, del mauve, per questa specie di dolcezza.

J. Demy
("Cahiers du Cinéma", n. 155, 1964)


Les parapluies non è un'opera, né una commedia musicale, né un'operetta. Si tratta di dialoghi cantati, in cui la musica fa da sostegno al testo e viceversa. Si capiscono tutte le parole, senza che sia mai sforzato il lirismo delle voci, e la musica, di conseguenza, espone temi molto semplici e, perché no, popolari e generosi. Questo non ha niente a che vedere con West Side Story, per esempio, anche se ho dovuto usare la tecnica del play-back. Non c'è nessun ballo, ma è tutto cantato. È un film-jazz, un film "in-cantato", per essere più precisi.

J. Demy
("Arts")


Io vedo i film - almeno, quelli che mi sembrano degni di questo nome - come delle curve nello spazio; come linee graziose, austere o capricciose. Una curva continua nello spazio può interessare molte superfici, ciascuna delle quali non è tutto il film, ma tali che il film tutto è compreso in ciascuna di esse. Il metodo critico consiste pertanto nello studiare come di volta in volta questa curva nello spazio si stende su ciascuna superficie; vale a dire nell'analisi della struttura del film e nella ricerca di quel che significano le scelte della regia.
Prima superficie: le convenzioni, o il "melodramma". Il ragazzo disorientato al ritorno dall'Algeria; la giovane ragazza- madre, che non se lo meritava, mal consigliata; la crudele separazione; il tenero amore comprensivo di una persona più giovane; la felicit`, anche se, come tutti sanno, non è una cosa allegra… Il bello è che queste convenzioni non sono ridicolizzate, ma sono utilizzate a tutti i livelli. Ogni ambiente è guardato in modo specifico e, appena una porta si apre, ci salta agli occhi il profumo particolare del nuovo universo che vi si intravede. Nello stesso modo, la nota scelta per esprimere la sillaba è, tra tutte le possibili interpretazioni, la sola che conviene al tutto, secondo quanto si desiderava: la più vicina al sentimento convenzionale che si deve esprimere. In questo modo viene costruita, al di l` delle parole, ma attaccata ad esse, questa falsa entit` che ci si ostina a chiamare la musica del film.
Seconda superficie: la fragilit`. Tutto il film sta sotto questo segno; contrariamente a Splendore nell'erba, spesso menzionato, Les parapluies non è un film sul tempo, ma un film che tiene conto del tempo. In quanto tale, esso tratta di ciò su cui il tempo ha maggiormente presa: le cose, i sentimenti e le persone fragili. Esempi: Geneviève di fronte al suo amore troppo grande (i suoi sguardi alla macchina da presa, un'idea semplice e ripresa in modo geniale, come tanti ritratti di ragazza-che-implora-indulgenza); l'amore di Guy di fronte alla sua intransigenza; la zia Elise e M.me Emery stessa, morte. Di sfuggita, il dolore di Geneviève e il segno sul muro, sotto il ritratto portato via, nella camera di Elise, mentre in Kazan le foto mancanti di Warren Beatty tenevano tutto lo schermo.
Terza superficie: il fascino. Non mi dilungherò a questo proposito, ho detto nella premessa che era rischioso soffermarvisi. Il film ne è attraversato, come da un'elica: sempre in moto su se stessa, sempre un po' nascosto dietro ad essa.
Quarta superficie: le donne. È per mezzo di esse che Demy attinge alla dialettica. Mobili, inattese, patetiche persino nelle parti che esse recitano con se stesse, formano un tutto unico, indissociabile, che assicura la continuit` del suo universo. E bisogna essere davvero ingenui, più ingenui di quanto non sembri lo stesso Demy, per non abbracciare con un unico sguardo, tenero ed esclusivo, Lola, La baie des anges, e Le parapluies de Cherbourg. Dall'uno all'altro, in questi film, grazie ai caratteri femminili, si snoda questa costante negazione delle apparenze, si comincia a capirlo, mi sembra essere il segno del gran talento e della ricchezza morale. (Gli uomini, invece, sono trattati come dei monoliti: Jean, Michel, Guy ed anche Roland, che dopo Lola ha perduto la sua fluidit`. Spesso sono tutti d'un pezzo, tranquilli persino nella disperazione, agiscono soltanto all'interno di schemi perfettamente razionali).
Quinta superficie: i riferimenti, o l'universo critico. Dall'avvento degli autori cinefili, ogni grande opera si nutre del patrimonio cinematografico, ma per meglio giudicarlo. Per noi l'interesse è duplice: scoprire i veri film-"summa" e studiare le loro riflessioni. Qui, tralasciando i riscontri formali, omaggi alla commedia musicale (per esempio, personaggi che formano sipario all'inizio di una scena, in raccordo alla precedente), i richiami vanno a Bresson e a Ophuls. In Guy, c'è l'universo bressoniano, in particolar modo quello di Pickpocket: costruzione e sentimenti, la camera e la chiesa, in uno stretto parallelo, richiamano irresistibilmente il trio formato da Jeanne, Michel e sua madre; mentre la fragile Geneviève, mal sopportando l'assenza e il peso del suo amore, ci fa piuttosto pensare a una giovane Madame de. Tenendo presenti le lezioni di ognuno, filmando con un'agilit` e una naturalezza che gli permettono insomma ogni tipo di audacia, Jacques Demy rivela tuttavia un temperamento di cui non è debitore se non a se stesso: uno stile legato a clamorose rotture, curiosamente trattenuto, padrone di quella virtù essenziale nel cinema, il respiro. E siano a questo proposito oggetto di denunzia coloro che, come Baratier o Deville, confondono ritmo e agitazione.
Sesta superficie: la grandezza. Ogni evento si richiude su se stesso e, nello stesso tempo, si apre su un altro, assicurandoci la propria irreversibilit`. A tal punto e con tale perfezione che il film, che senz'altro bisogna andare a rivedere, ci ri-imparare il ricordo, e lo strazio che esso provoca. Un solo esempio: gli addii alla stazione, dove, in un'unica scena, al colmo dell'emozione degli innamorati, ci viene preannunziata la sconfitta di Geneviève, che volta la schiena al treno e scompare.

P. Vecchiali
("Cahiers du Cinéma", n. 155, 1964)


La regia di Les parapluies de Cherbourg è quella di Lola e di La baie, vale a quella di Le bel indifférent: cioè una scrittura di una precisione misurata, che non sembra né elaborata né eccessivamente ricercata. In Demy nessun movimento è appagato mai da se stesso, solo dalla sua bellezza, un'inquadratura, una concatenazione di scene non sono mai compiaciute, neppure per un momento; sono state scelte per come appaiono e come durano, secondo necessit` ed esattezza. Quel che nelle opere precedenti era una qualit` essenziale, è divenuto qui un'imperiosa esigenza, in questo film cantato in cui tutto è stato obbligatoriamente calcolato al decimo di secondo, e al decimetro, senza che uno se ne accorga mai: infatti la scrittura respira disinvoltura e facilit`, nella sicurezza con cui Demy attinge l'ideale della classicit`: fare difficilmente cose facili. Facili come "Il giorno non è più puro del fondo del mio cuore". Perciò è possibile sottoporre ogni scena di Demy, diciamo ogni verso dei suoi poemi cinematografici, alla prova a cui Valéry un giorno ha voluto sottoporre due versi di "Phèdre", che aveva letto attraverso la vetrina di un libraio, in un'edizione di lusso: il velleitario tentativo di cambiare una parola, un ritmo, falli e la perfetta semplicit` assoluta del verso di Racine dovette restare inalterata. Essendo in grado di conciliarsi, con una buona dose di modestia intellettuale, con l'ascesa del suo itinerario artistico, Demy trova per ciascuna sua opera una pienezza espressiva tale per cui soltanto l'opera successiva fa sembrare giusto quel tanto di incompletezza necessario perché uno stile rimanga vitale, vale a dire sempre capace di superamento e di arricchimento, ed in cui la direzione degli attori sia un elemento fondamentale.

R. Gilson
("Cinéma", n. 84, 1964)

Biografia

regista

Jacques Demy

FILMOGRAFIA

LE BEL INDIFFÉRENT (1955); LE SABOTIER DE VAL DE LOIRE (1955); LOLA ( 1960); LA BAIE DES ANGES (1962); LES PARAPLUIES DE CHERBOURG (1963)

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Jacques Demy.
Fotografia (Eastmancolor): Jean Rabier.
Montaggio: Anne-Marie Cotret.
Musica: Michel Legrand.
Interpreti e personaggi: Catherine Deneuve (Geneviève), Nino Castelnuovo (Guy), Anne Vernon (Mme Emery), Ellen Farner (Madeleine), Marc Michel (Roland Cassard), Mireille Perrey (Elise), Jean Champion (Aubin), Harald Wolff (Dubourg).
Produzione: Parc Film (Mag Bodard) - Madeleine Films - Beta Films.
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