19° TORINO FILM FESTIVAL
Omaggio a Jean-Marie Straub e Daniele Huillet

DALLA NUBE ALLA RESISTENZA

DALLA NUBE ALLA RESISTENZA

Nazione: Italia
Anno: 1978
Durata: 105'


(…) Pavese è il Brecht italiano. Almeno, è questo l'aspetto di Pavese che proponiamo nel film. In certi punti, è andato oltre Brecht. Intanto, Pavese, malgrado tutto, non era un ragazzo di citt`. E poi ha un senso del destino che Brecht non aveva. C'è anche un Pavese che è rimasto al di qua di Brecht; sono due aspetti che abbiamo voluto mettere insieme nel film e studiare l'uno in funzione dell'altro. Vedere nel Pavese interessato al mito un ritorno alle «forze oscure», all'irrazionalit`, come dicono Calvino e altri, è sbagliato. Pavese vede il mito come memoria collettiva di un pezzo di storia rimossa e lontana. Proprio dove sembra più antibrechtiano è simile a Marx e Engels che, alla fine della loro vita, andavano a studiare i rapporti di produzione sempre più lontano, fino agli Assiri. E poi ci sono episodi dei Dialoghi con Leucò che hanno una dialettica proprio brechtiana, come quando il vecchio pastore fa un falò per chiamare la pioggia e dice al figlio: «uno storpio o un cattivo non fanno niente di bene, era giusto bruciarli, sacrificarli agli dei, perché gli dei ne avevano bisogno per godere» E il figlio si alza e dice: «non voglio, fanno bene gli dei a guardarci patire, fanno bene i padroni a mangiarci il midollo se siamo stati così ingiusti tra noi altri». E anche la riflessione di Pavese sugli dei, che sono un'invenzione degli uomini e diventano presto una nuova forma di oppressione perché apportano una legge che non esisteva. C'è da dire che Pavese vede anche il lato progressista di questa invenzione. Infatti, Eracle dice che gli dei «hanno cacciato nella grotta» tutti quelli come Litierse», che «spargevano il sangue per nutrire la terra». Comunque il film è il più ateista che ci sia; e siccome gli dei sono anche i padroni, penso che abbiamo tirato fuori non solo il Pavese sinceramente comunista, ma anche il Pavese profondamente anarchico, nel senso storico della parola. (…) Il mito racconta cose molto concrete. È quello che rimane di una storia rimossa, che tra l'altro non è cambiata, perché continuiamo a farla col sangue: «Dalla grotta ora sgorga un torrente come fosse il suo sangue». Pavese ci tiene a fare i conti col mito, né più né meno di come tiene all'altro aspetto, quello «neorealista» della seconda parte del film. Dalla nube alla resistenza tenta appunto di far sentire che questi aspetti sono inseparabili, non solo in Pavese ma nella storia (…)
I Dialoghi con Leucò e La luna e i falò, a livello di scrittura, sembrano opposti; ma noi, insieme agli attori, ci abbiamo lavorato con lo stesso metodo. (…) Prima si fanno dei blocchi con le battute di ogni inquadratura scritte ancora come nel libro. Poi si mettono dei segnetti, per legare o per interrompere, per scandire o per pausare. Questo è un lavoro a tre: Danièle, ogni singolo attore, io. Poi si ribatte il testo, andando a capo ogni volta che c'è una pausa, contro la punteggiatura o rinforzandola: dipende dal senso; e dipende anche dalle persone, perché uno, che cammini su una strada di campagna o che sia seduto, ha bisogno di respirare e deve respirare coscientemente e sistematicamente perché ha davanti una macchina da presa (noi facciamo la presa diretta) (…)
Tra la prima e la seconda parte ci sono molte corrispondenze. Il vecchio contadino, per esempio, dice: «Quante case di padroni bisogna incendiare, quanti ammazzarne per le strade e per le piazze prima che il mondo torni giusto e noi si possa dire la nostra». Nella seconda parte c'è Nuto che dice: «E se uno adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli allo scuro, allora sarebbe lui l'ignorante, bisognerebbe fucilarlo in piazza». (…) Noi non abbiamo fatto un film sui contadini ma per i contadini; né un film sulle comparse. È un film sulla civilt` contadina, fatto con la collaborazione di contadini, i quali non interpretano se stessi, non vengono sfruttati come comparse; interpretano dei testi di un certo Cesare Pavese, dove si parla della loro storia, Qualcuno non aveva neanche sentito nominare Pavese; lo hanno scoperto con il lavoro sui blocchi di battute, non un Pavese generico. Non abbiamo chiesto loro di illustrare delle figure, ma di fare un lavoro che consiste nello strutturare, spezzare, ristrutturare, sovvertire e recitare un testo preciso. Non dico di più. Ciò che viene da loro in più e fa irruzione nel film è come la grazia di Dio: viene da sé, però bisogna lavorarci.
(Jean-Marie Straub, da un'intervista di Franco Pecori, «Paese Sera», 7 maggio 1979)

D.H.: (…) Al limite, di Pavese in quanto tale non ci interessa poi molto, quando arriviamo alla fine del film. Ciò che ci interessa sono le persone qualsiasi, che recitano i testi di Pavese, ciò che fanno nella vita, come recitano questi testi, i problemi che hanno con quello che dicono, e questo fa sì che quello che dicono, tutt'a un tratto, non appartenga più a Pavese, ma all'uomo che lo dice, lui stesso non sapeva all'inizio che fosse di Pavese. Il solo interesse del testo o di ciò che tu chiami la cultura è che la persona che l'ha scritto ha fatto un certo lavoro, ha prodotto qualche cosa che ci ha colpiti e che in seguito ha resistito - ed è da questo che si giudica che ha fatto bene il suo lavoro.
J.-M-S.: E ancora, non gli diamo un credito totale: interveniamo con tagli non da poco.
D.H.: Quello che avviene con l'uomo che recita questo testo, per quanto riguarda la sua vita, per ciò che egli è, il suo modo di reagire, di camminare, di sedersi è infatti molto più della critica del testo. Perché egli ne fa una cosa sua e, tuttavia, qualche cosa che resta a lato…
J.M.-S.: Ci si ritrova sul versante della maieutica del signor Jean-Luc, semplicemente viene praticata in altro modo. Si tratta di un'operazione differente, ma con qualcosa di comune.

In Dalla nube alla resistenza quest'idea di uno scarto temporale, di un prima e di un dopo, è nella forma stessa del film.
J.-M.S.: È il film. Ed è per questo che siamo un po' orgogliosi di questo film. Io credo che le persone che lavorano in campo artistico debbano, senza scivolare nella ridondanza, e senza allontanarsi di un filo dall'idea che non bisogna mai provocare delle sensazioni, tradurre delle sensazioni che corrispondono a delle esperienze, fabbricare degli oggetti sempre più distanziati tra loro. E questo dovrebbe avvenire anche a livello dei sentimenti. Non c'è un film con maggiore «scarto», a livello dei sentimenti, di questo. Gi` a livello di Pavese c'è uno stacco estremo tra il Pavese del 1947, autore dei Dialoghi con Leucò e il Pavese del 1950, autore di La luna e i falò. È importante il fatto che si tratta dello stesso uomo, e che questi due aspetti egli li voleva indissociabili. Bisogna cercare di fabbricare oggetti che traducano un ventaglio sempre più largo, un ventaglio di sensibilit` e di sentimenti, di sensazioni, nel senso in cui Cézanne diceva che cercava di materializzare delle sensazioni. (…)

(Intervista a Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, «Cahiers du Cinéma» n. 305, novembre 1979)

Dalla nube alla resistenza si apre sull'immagine un po' irreale di una dea (ammirabile Olimpia Carlisi) e si chiude sul racconto della morte di una donna, Santa, che i partigiani hanno dovuto uccidere perché li tradiva, anch'essi. All'inizio, della nube, e alla fine della resistenza, c'è dunque un doppio gioco, una doppia appartenenza che hanno, per due volte, figure femminili. Una figura che materializza ciò attorno a cui gli Straubfilm girano: il tradimento. Poiché al di l` di queste storie di dèi oziosi e di uomini ribelli, mi sembra che Jean Marie Straub e Danièle Huillet parlino sordamente di qualcosa che rimane largamente sconosciuta (perché da questa non-conoscenza dipende la solidit` del legame sociale): che c'è una indifferenza profonda delle donne per ogni credenza in un ideale. Un'indifferenza che contrasta seccamente con la piet` un po' melodrammatica di cui sono tessuti i rapporti tra gli uomini (vedi il pathos nella saga padre-figlio di Fortini/Cani o, ancora, in Dalla nube, l'amicizia tra il Bastardo e Cinto, il piccolo ragazzo con il coltello). Ecco ciò che resiste all'umanesimo e di cui l'uomismo, al contrario, si nutre: la donna. La donna: ciò che resiste a chi resiste, l'uomo. La donna, la roccia. Poiché la roccia non si tocca con le parole (terzo dialogo). La roccia: elemento indistruttibile che Straub, non del tutto panteista, si guarda bene dal chiamare natura. Le cose del mondo sono rocce, dice il cieco Tiresia - che è stato donna sette anni - ad un futuro cieco - che si chiama Edipo.
(Serge Daney, «Cahiers du Cinéma» n. 305, novembre 1979)

Biografia

regista

Jean-Marie Straub

Jean-Marie Straub (Metz, Francia, 1933) ha lavorato, come assistente, per registi come Robert Bresson, Abel Gance, Jean Renoir o Jacques Rivette, esordendo nel 1963 insieme a Danièle Huillet, che da quel momento sarà sua compagna di vita e di lavoro, con il cortometraggio Machorka - Muff, tratto da un racconto di Heinrich Böll. Hanno realizzato il loro primo lungometraggio, Cronaca di Anna Magdalena Bach, nel 1968. Da allora hanno diretto una trentina di film, confrontandosi con autori come Friedrich Hölderlin o Cesare Pavese. Nel 2006 sono stati omaggiati, a Venezia, di un Leone speciale per l’innovazione del linguaggio cinematografico.

FILMOGRAFIA

 filmografia essenziale/essential filmography

Machorka - Muff (coregia/codirector Danièle Huillet, cm, 1963), Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1968), Moses und Aaron (Mosè e Aronne, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1975), Dalla nube alla resistenza (coregia/codirector Danièle Huillet, 1979), Der Tod des Empedokles (La morte di Empedocle, coregia/codirector Danièle Huillet, 1987), Lothringen! (coregia/codirectorDanièle Huillet, cm, 1994), Sicilia! (coregia/codirector Danièle Huillet, 1999),Une visite au Louvre (coregia/codirector Danièle Huillet, 2004), Corneille-Brecht (cm, 2009), O somma luce (2010), Jeonju Digital Project 2011 - Un héritier (cm, 2011).

Danièle Huillet

Danièle Huillet nasce a Parigi il 1° maggio 1936. Cresce in campagna e ritorna a Parigi verso il 1948. Studia al liceo Jules Ferry. Si prepara per l'IDHEC ma si rifiuta di scrivere sul film Menèges di Yves Allégret che ritiene indegno di una prova d'esame.

Cast

& Credits

Regia: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Soggetto: da Dialoghi con Leucò e La luna e i falò di Cesare Pavese.
Fotografia: Saverio Diamanti, Gianni Canfarelli.
Direzione musicale: Gustav Leonhardt.
Suono: Louis Hochet, Georges Vaglio.
Montaggio: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Interpreti: Dialoghi con Leucò: Olimpia Carlisi (Nefèle), Guido Lombardi (Issione), Gino Felici (Ippòloco), Lori Pelosini (Sarpedonte), Walter Pardini (Edipo), Ennio Lauricella (Tiresia), Andrea Bacci (primo cacciatore), Lori Cavallini (secondo cacciatore), Francesco Ragusa (Litierse), Fiorangelo Pucci (Eracle); La luna e i falò: Dolando Bernardini (il Padre), Andrea Filippi (il Figlio), Mauro Monni (il Bastardo), Carmelo Lacorte (Nuto), Mario di Mattia (Cinto),Luigi Giordanello (il Valino), Paolo Cinanni (il Cavaliere), Gianni Toti (il parroco). Maria Eugenia T., Alberto Signetto, Paolo Pederzolli, Ugo Bertone, Gianni Canfarelli, Domenico Carosso, Sandro Signetto, Antonio Mingorne (quelli del bar).
Produzione: Straub-Huillet, RAIDUE, INA, Janus Film und Fernsehen, Artificial Eye.
Riprese: cinque settimane (giugno-luglio 1978) in Maremma, Monte Pisano, dintorni di Pisa, Langhe.
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