19° TORINO FILM FESTIVAL

FORTINI/CANI

FORTINI/CANI

Country: Italy
Year: 1976
Duration: 83'


«Fare il cane del Sinai pare sia stata locuzione dialettale dei nomadi che un tempo percorsero il deserto altopiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Variamente interpretata dagli studiosi, il suo significato oscilla tra "correre in aiuto del vincitore", "stare dalla parte dei padroni", esibire nobili sentimenti". Sul Sinai non ci sono cani. I cani del Sinai non sono soltanto quei miei connazionali europei che hanno sfogato il loro odio per il diverso e il contrario (ieri gli ebrei, oggi gli arabi, domani il cinese, il sudamericano, qualunque "rosso"): sono anche metafora ironica dei nostri più vicini e goffi nemici, quelli che latrano in difesa delle tavole d'una legge che nessun dio ha mai dato e che nessuno sa più decifrare, tanto è lorda di vecchia strage»

Caro Jean-Marie
credo di aver capito interamente solo ora (soprattutto dopo il tuo ironico «non ti fidare» di iersera) che cosa tu vuoi e in che cosa ti possa esser utile.
Tu stabilisci un rapporto accuratissimo tra il punto di partenza del tuo discorso cinematografico (Brecht, Schönberg, Fortini) e il punto d'arrivo, che è il film. Questo rapporto è apparentemente minimo (ad esempio in Lezioni di storia) e quasi mai è di conflitto. Perché è questo il modo con cui tu fai andare avanti dialetticamente il tuo discorso (…): la distanza. che tu inframetti fra quelle «opinioni» (testi, musiche ecc.) e l'oggetto compiuto, che è il tuo prodotto, è costante.
Questa parola «prodotto» mi fa venire in mente la definizione brechtiana dell'amore: che sarebbe l'arte di produrre qualcosa con le capacit` di un altro. Credo che il tuo modo di procedere sia il più comunista possibile oggi in una societ` come la presente. La tua arte è di produrre con il simile per evidenziare il dissimile (sinonimia e metonimia contro antinomia e metafora). I limiti della tua soggettivit` (virtuosismo, moralismo, perfezionismo) riguardano solo te (e Danièle...). Ma si capisce come tu acquisisci, proprio assumendo su di te quei limiti, il diritto a trattare come oggetti gli oggetti (e i soggetti) dei tuoi film. Sei seriamente antikantiano: agisci in modo che tutto sia, e sempre, un mezzo o strumento di produzione (da usare anche in vista di quel che sta oltre il comunismo) e non un fine (a cominciare da te stesso). Questa è la radice di ogni posizione «classica». Soli Deo gloria.
È quindi chiaro ormai che il personaggio dei Cani dei Sinai non è esattamente l'autore di quel libretto e nemmeno coincide con l'io che ora ti scrive. Esso è (o sar`) un intellettuale quasi sessantenne, con tutte le caratteristiche di classe e di cicatrici storiche che ha un intellettuale europeo e italiano e halb-Jude vissuto fra il 1930 e il 1970; col suo marxismo ma anche col suo non-comunismo, ossia col suo essere di «prima»: più prossimo all'et` di Brecht, più lontano da quella di Schönberg ma comunque poco dell'oggi, seppure con qualche speranza di essere, postumo, di domani. Tu mostrerai questo, cioè il suo superamento; le parole che quel personaggio dir` conflitteranno con l'impotenza reale, col dolce mare delle vacanze: col non-comunismo del mondo circostante e con la faccia medesima del protagonista. E così tu avrai portato tutti i rapporti un passo più avanti: lezione di storia. Capisco che l'invito a non fidarsi di te voleva dire che non avrebbe potuto esserci nessuna complicit` visibile fra te e il me-personaggio e nemmeno (nonostante tutto) la letteralit` delle mie parole dei Cani. Forse non mi tratterai con la distanza critica che hai impiegato per la lettera a Kandinskij; ma una distanza critica ci sar` e grazie a quella anch'io sarò andato avanti.
Sono felice di essere sgabello a questo passo. Voglio tu sappia che ne sono ben cosciente e che ti ringrazio di avermi così inserito in un processo di produzione di rapporti fra esseri umani non dissimile da quello che ho cercato di indurre e proporre nei miei scritti e versi: e che è comunista, se la parola significa. Tuo affezionato.
Franco Fortini
(«Il Manifesto», 2 dicembre 1976)

(…) Ma c'è anche il libro di Fortini da cui è tratto il film, e tutti quei piani in cui si vede Fortini leggere, o rileggersi. E allora tornano sempre le stesse domande che uno si pone davanti al film di Straub: che cosa aggiungono ai testi preesistenti, su cui tutti si basano? Che cosa aggiunge al cinema e a quei testi (testi teatrali, lettere, frammenti di giornali, opera, romanzo, saggio) di filmarli, farli leggere, integralmente o in parte, recitare, declamare, suonare, cantare, sprechgesanger, o sputare, deglutire, espellere, scandire, vomitare? Non bastano forse a loro stessi? Dov'è in tutto ciò lo «specifico» del cinema? E se anche fosse cinema, chi è che comanda l'immagine o il suono? Si tratta di corredare di immagini, di illustrare, di figurare lo scritto oppure di commentare, di accompagnare delle immagini? Di rappresentare, di trascrivere, di adattare, di trasporre o di tradire?
False domande, né Straub né Godard hanno mai voluto saperne, se fosse possibile. False domande che lasciano agli integralisti dello «specifico», ai quali rispondono: tutto ciò che si legge, si annota, si respira, si canta, si balla, si cita, si suona, per radio o per televisione, si registra, può essere per noi un film a patto che s'inscriva l`.
Dove l`? In quel luogo che non è altro che lo spazio di concentrazione-dispersione di tutto ciò che può essere scritto, annotato, respirato, contato, citato ecc. Per questo nei loro film tutto è gi` scritto, tutto è nuovo, niente è «originale», inventato e neppure niente preesiste all'atto di inscrizione. La conseguenza, in Straub, è un apparente paradosso: che una delle arti più elaborate che ci siano, possa contemporaneamente esporsi interamente agli imprevisti del caso. Tutto è possibile mentre si gira, dichiara Straub. È in questo senso che il suo «rispettare il reale», il suo accanimento al «mostrare» non è metafisico; il dare a vedere conserva sempre l'impronta del gesto indicatore: indice, pugno, o moncherino, che indicano il l`. Nei suoi film c'è una inalterabilit` minerale, ma anche qualcosa di precario, come una trasparenza tremante dell'aria, quasi udibile, durante le estati italiane.
Qual è il passo in avanti compiuto con Fortini/Cani? Introduce nel film, contemporaneamente al libro (I cani del Sinai), l'autore di quel libro. Né San Giovanni della Croce, né Bach, né Anna Magdalena Bach, né Brecht né Schönberg né Corneille, erano presenti personalmente negli altri film, e non solo perché sono morti. Del resto Straub spiega che questa volta il film non avrebbe avuto alcun senso senza la presenza di Franco Fortini che legge frammenti del suo saggio, saggio che d'altronde si vede in primo piano nel film. Ecco che si capisce meglio la strategia del cineasta nei confronti dello scritto su cui si basa, che permette di non chiedersi più che cosa può significare un film tratto da uno scrittore-esistente, e neppure quello che ne trae. Al contrario qui si vede che è proprio la macchina da presa che attira il libro verso di sé, insieme all'autore, che li fa venire verso di lei, che li assorbe. Così che il problema di sapere chi viene per primo, o chi è che domina, se il testo o l'immagine, e se uno illustra l'altro, o l'altro commenta l'uno, non ha più molto senso. Entrambi, il testo di base e il suo autore, sono inscritti nel film come parti, accanto ad altre parti, né prima né dopo (i paesaggi, la musica, gli estratti del giornale radio della Radio, le rive dell'Arno, la sinagoga di Firenze, il diario di Fortini ecc.). E sono anche inscritti in parti dato che prima appaiono il libro, poi la voce, poi le mani di Fortini, e solo il suo viso - questo è molto importante - dopo l'enorme sincope delle Alpi Apuane.
Ma c'è un'altra cosa, oltre a questa introduzione del libro e dell'autore nel film: c'è questo, l'autore non è semplicemente autore ed attore, ma lettore. Fortini, autore di Cani del Sinai è ripreso mentre legge a voce alta estratti del suo libro, Straub insiste sul carattere di finzione del film (...). Si vede benissimo ciò che una riflessione moderna sulla scrittura, il testo, può ricavarne: l'autore come prodotto del suo libro e non come origine, il testo che partorisce alla fine del percorso il proprio padre, la reversibilit` dello scrittore e del lettore. C'è anche il brechtismo intransigente di Straub, la disgiunzione del personaggio e dell'attore, la distanza dell'attore da ciò che egli preferisce, la citazione generalizzata del testo e non la sua espressione. Ma secondo me la cosa più importante non è questa: è piuttosto l'introduzione di una potenza d'ascolto, è mettere in circolo la pulsione invocante.
«Al cinema - diceva Godard all'epoca di British Sounds - si vedono sempre persone che parlano, mai persone che ascoltano». Molte persone che parlano nei film di Straub, fin dall'inizio, che eseguono o che si eseguono (Gustav Leonhardt come attore che recita il ruolo di J. S. Bach, interpreta realmente le opere di quest'ultimo davanti alla macchina da presa, attori italiani, francesi, italo-inglesi che simulano i personaggi di Corneille, ma che si scontrano realmente con il testo francese). Persone che parlano senza rivolgersi a qualcuno, convocando lo spettatore nel luogo instabile della loro direzione, doppia, di ascolto e di sguardo. In Fortini/Cani, l'abbiamo gi` detto, c'è qualcos'altro: l'autore entra nel piano in quanto lettore, ma soprattutto in quanto uditore di un testo apparentemente unico, ma proprio per questo, improvvisamente sdoppiato. Infatti il testo che legge o rilegge, e tutto sta li, non è quello che egli ha scritto. Sempre a proposito di Coup de dés, Denis Roche constatava che la cosa più importante nel testo di Mallarmé non era il possibile multiplo, la pluralit` dei piani di lettura o la proliferazione dei livelli, ma l'idea di un testo che si ritorce contro se stesso alla lettura. (...)
(Jean Narboni, «Cahiers du Cinéma», n. 275, aprile 1977)

Biography

film director

Jean-Marie Straub

Jean-Marie Straub (Metz, France, 1933) worked as an assistant to the film directors Robert Bresson, Abel Gance, Jean Renoir and Jacques Rivette. In 1963, he and Danièle Huillet, who became his companion in life and work, made their first film together, Machorka - Muff, based on a story by Heinrich Böll. They made their first feature-length film, Chronicle of Anna Magdalena Bach, in 1968. Since then, they have directed over thirty films, taking on writers like Friedrich Hölderlin and Cesare Pavese. The 2006 Venice Film Festival awarded them a special Lion for innovation in film language.

FILMOGRAFIA

 filmografia essenziale/essential filmography

Machorka - Muff (coregia/codirector Danièle Huillet, cm, 1963), Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1968), Moses und Aaron (Mosè e Aronne, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1975), Dalla nube alla resistenza (coregia/codirector Danièle Huillet, 1979), Der Tod des Empedokles (La morte di Empedocle, coregia/codirector Danièle Huillet, 1987), Lothringen! (coregia/codirectorDanièle Huillet, cm, 1994), Sicilia! (coregia/codirector Danièle Huillet, 1999),Une visite au Louvre (coregia/codirector Danièle Huillet, 2004), Corneille-Brecht (cm, 2009), O somma luce (2010), Jeonju Digital Project 2011 - Un héritier (cm, 2011).

Danièle Huillet

Danièle Huillet was born in Paris on May 1, 1936. She grew up in the country and returned to Paris around 1948. She studied at the Jules Ferry high school. She prepared for the IDHEC, but refused to write about the film Menèges by Yves Allégret, which she held to be unfit for an exam.

Cast

& Credits

Director: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Text: da I cani del Sinai di Franco Fortini.
Director of photography: Renato Berta, Emilio Bestetti.
Sound: Jeti Grigioni.
Cast: Franco Lattes (Franco Fortini), Luciana Nissim, Adriano Apr`.
Production company: Straub/Huillet, Raidue, INA, Sunchild Production, New Yorker Films, Artificial Eye.
Riprese: tre settimane (giugno 1976) a Cotoncello (isola d'Elba), Marzabotto, Sant'Anna di Stazzerma, San Terenzo, Vinca, San Leonardo, Frigido, Bergiola, Firenze, Milano, Roma.
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