19° TORINO FILM FESTIVAL
Omaggio a Jean-Marie Straub e Daniele Huillet

GESCHICHTSUNTERRICHT

GESCHICHTSUNTERRICHT
di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
Nazione: Italia
Anno: 1972
Durata: 88'


Il romanzo l'ho scoperto circa sei anni fa ed è stato un grande choc. Allora andavo in giro gi` col pensiero di farne un film. E poi, a Roma, prima che vi ci installassimo, quando abbiamo registrato il commento in italiano per il Bach-film, e gi` prima, quando abbiamo scelto i costumi, pensavo a un film, ma che sarebbe stato tratto dai due libri che adesso non sono più affatto nel film, se non indirettamente, il libro 2 e il libro 4. Consistono entrambi in un diario fittizio di un segretario di Cesare di nome Rarus, anch'egli verosimilmente una finzione. Avevo così il progetto di un film, non ancora del tutto chiaro, che avrebbe avuto come punto di partenza una riflessione economica sulla vecchia citt`, la vita nella vecchia citt`, gli artigiani, ecc. Ma in seguito ho scoperto che non ha senso vestire degli artigiani da romani. Ho pensato poi a un film sulla vita ai nostri giorni degli artigiani. Per questo avrei utilizzato il diario di Rarus. In seguito abbiamo girato finalmente il Bach-film, poi siamo partiti dalla Germania, poi viene Othon per il quale eravamo venuti in Italia. E d'un tratto un giorno era lì, nella mia testa. In seguito abbiamo notato che quelle passegiate in auto erano un risalire alla superficie: il diario di Rarus, la vita degli artigiani, sono in queste passeggiate. Certo senza analisi. (…) Si sente che c'è un'attivit` artigianale in quelle stradine. All'inizio non volevamo affatto farlo così. Avevamo progettato diverse cose prima di giungere alla soluzione semplice delle passegiate in auto. Per esempio, qualcuno avrebbe potuto passegiare con una m.d.p. in spalla e guardare senza pudore all'interno mentre un artigiano era seduto al lavoro nel fondo della sua bottega. Oppure un'inquadratura dall'auto come nel Bräutigam, e per questo abbiamo rinunciato. Poi è arrivata la finzione, cioè il giovane al volante, separato da questo mondo, poiché anche questo è decisivo: non solo il mondo degli artigiani è rimosso, ma anch'egli è separato dalla vita nella strada, in una gabbia di vetro, anche se il finestrino e il tetto sono aperti. E in queste passeggiate in auto, non c'è soltanto la storia degli artigiani, ma anche l'architettura di Roma, gli strati. Quelle case alte e le stradine strette, molto belle, ma anche opprimenti. Questo vuol dire che degli uomini ci devono vivere e ci vivono realmente, da secoli. È l'uomo e l'architettura, l'architettura e l'uomo. La vita nelle strade e la vita nelle pietre. (…) Il tragitto lo abbiamo fatto a piedi, molte settimane prima. Avevamo sei tragitti diversi. Poi abbiamo eliminato, combinato, fino ad arrivare a quello che c'è adesso. Abbiamo camminato molto. Quattro mesi a piedi. Inoltre sono i quartieri in cui passeggiamo ogni giorno, per acquistare acqua o vino. La terza passeggiata termina venti metri prima del posto in cui abitiamo noi. (…)

Il film non è una sorta di seguito di Othon?
L'inverso di Othon. Per prima cosa sorge un mondo, anche se è visto attraverso un vetro, la vita nella strada, da cui i personaggi di Othon sono tagliati fuori. E in più compare un contadino. Dato che gli altri tre appartengono alla stessa classe di Othon, il contadino è l'apparizione di una classe opposta. Anche in Othon si parlava dell'impero, ma non si trattava che di giochi politici di una cricca dominante, qui non si tratta che dell'imperialismo, di questioni economiche. È l'origine del sistema capitalistico, come è stato costruito contro il Senato e funzionava e si sviluppava. Non è un caso che Brecht, nel tempo in cui lo ha scritto, abbia letto intensamente Il Capitale.

Si ha spesso l'impressione, nel bel mezzo, che si potrebbe continuare con dei testi di Marx.
È un'applicazione del Capitale al mondo romano, molto chiaramente.

È anche un film buffo, per la prima volta si è riso in un cinema durante un film di Straub.
Anche Rivette lo ha detto. Rivette lo trova molto buffo. (…)

(Jean-Marie Straub, «Filmkritik», n. 194, febbraio 1973)

All'inizio di Lezioni di storia, un giovane al volante di un'auto percorre le strade di Roma, si inoltra (e noi con lui) tra il caos del traffico, le viuzze e le piazze, i monumenti e lo sfasciume della citt` dei Cesari: una interminabile, estenuante penetrazione in una realt` sopravvissuta ai secoli, in quel che rimane di tortuoso, di angoloso e di vivente, della conclamata gloria di un tempo. Ma fu vera gloria? Il giovane si reca infatti (e le sue passeggiate in macchina si ripeteranno, sempre più avvolgenti e perentorie, come marce d'avvicinamento alla verit`) a incontrare degli uomini che hanno «vissuto» l'ascesa al potere di Giulio Cesare e sono in grado di «testimoniarla».
Il primo di essi, anzi, appare togato come lui e ha il volto (attore Gottfried Bold) della sua iconografia tradizionale. Ma si riveler` un banchiere. Poi ci sar` un contadino ex legionario: infine un avvocato e un poeta. Ed è forse col poeta - un certo tipo di poeta e scrittore, cinico e tronfio - che Brecht ce l'aveva di più, come ha detto Straub discutendo fino a notte il suo film. Sì, perché dal romanzo di Bertolt Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare, è tratto la scenario di Lezioni di storia. In quel periodo il grande drammaturgo studiava intensamente Il capitale di Marx.
Il cinema politico di Straub non è un cinema né di slogan né di intervento diretto, un cinema in cui, per esempio, non si dice mai la parola rivoluzione, con gran disappunto dei rivoluzionari a parole. È un cinema dialettico, con quel tanto di ambiguit` che la dialettica consente e, insieme, con il ricchissimo apparato di correlazioni storico ideologiche, secondo un'analisi marxista del reale, che il metodo brechtiano della «distanziazione» e dello «straniamento», trasfuso sullo schermo con estrema sensibilit` e cultura, conduce a diversi gradi, se l'espressione ci è consentita, di «ebollizione» didattica.
Il momento dell'arrivo al potere di Giulio Cesare è quello del passaggio dalla societ` schiavistica a quella mercantile, il periodo in cui nella city (così Brecht chiamava argutamente la citt` eterna) il «partito democratico» rappresenta obiettivamente un progresso rispetto al dominio del senato e delle trecento famiglie di grandi latifondisti e agrari, in cui si affaccia il concetto che gli affari possono prosperare con la guerra, ma farsi ancor più lauti con la pace, purché armata. «La mia piccola banca, intanto, è diventata una grande banca», è la frase lapidaria che conclude il film, preparando la strada, quando il monopolio del commercio sar` minacciato, alla colonizzazione di altri popoli, e, dunque, all'imperialismo. Il quale può essere violento, meno violento o addirittura pacifico, ma imperialismo rimane e sempre appoggiato alla dittatura, sia pure «democratica», di una classe sull'altra.
Non per niente in Lezioni di storia uno dei punti più elevati (e ce n'è molti) di riflessione intellettuale e di accezione ideologica si ha quando, incorniciato dall'impetuosit` di un torrente, dopo una lunga parentesi muta del banchiere-Cesare in primo piano, appare il volto del legionario sfruttato. Lui parla un dialetto e non ha l'eloquenza corriva e si può dire spietata del politico in toga, ma le sue idee sono altrettanto chiare e chiaramente espresse. È un punto di vista nuovo che irrompe nel film con una vera forza rivoluzionaria e che, tra l'altro, si chiude su una battuta sublime. Quando il giovane «intervistatore» gli chiede: «Ma questo Cesare, tu che l'hai conosciuto di persona, che faccia aveva?», l'anziano contadino riflette un momento e poi, dalle sue rughe, spara l'aggettivo che spiega tutto: «vissuto».
(...) Una lezione di storia economica, riportandoci quell'epoca lontana davanti agli occhi, in una Roma che tutti oggi potremmo percorrere in macchina come il giovane che, di spalle, ci accompagna nell'esplorazione, ci guida contemporaneamente alla riscoperta di verit` di classe, le quali si ripresentano in altre forme, ma con significati ultimi spesso analoghi. Ogni piano del film racchiude una sua eloquenza, che si scontra in modo perpetuo con altri piani, e altre lezioni, cosicché l'idea che muove l'autore è anche quella di una conquista - senza dubbio difficile e anche tortuosa, ma illuminata dalla ragione - di un metodo di giudizio articolato e tuttavia coerente, dove tra la Roma antica e il mondo contemporaneo non vi siano soluzioni di continuit`, e la storia divenga non gi` e non solo maestra di vita, ma soprattutto maestra di lotta.
Modestamente Straub ha affermato che la sua opera, parlata in tedesco, si rivolge in sostanza a un solo e «ideale» pubblico televisivo tedesco, ma non crediamo sia vero, perché anche qui ha trovato un terreno fecondo. Certamente è ardua ma, se è per questo, anche la lettura del Capitale lo è. Tutto sta a considerare il cinema, in partenza, un'altra cosa e a saper usufruire della «libert`» di pensiero che il film ci propone.
(Ugo Casiraghi. «L'Unit`», 16 settembre 1973)

Biografia

regista

Jean-Marie Straub

Jean-Marie Straub (Metz, Francia, 1933) ha lavorato, come assistente, per registi come Robert Bresson, Abel Gance, Jean Renoir o Jacques Rivette, esordendo nel 1963 insieme a Danièle Huillet, che da quel momento sarà sua compagna di vita e di lavoro, con il cortometraggio Machorka - Muff, tratto da un racconto di Heinrich Böll. Hanno realizzato il loro primo lungometraggio, Cronaca di Anna Magdalena Bach, nel 1968. Da allora hanno diretto una trentina di film, confrontandosi con autori come Friedrich Hölderlin o Cesare Pavese. Nel 2006 sono stati omaggiati, a Venezia, di un Leone speciale per l’innovazione del linguaggio cinematografico.

FILMOGRAFIA

 filmografia essenziale/essential filmography

Machorka - Muff (coregia/codirector Danièle Huillet, cm, 1963), Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1968), Moses und Aaron (Mosè e Aronne, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1975), Dalla nube alla resistenza (coregia/codirector Danièle Huillet, 1979), Der Tod des Empedokles (La morte di Empedocle, coregia/codirector Danièle Huillet, 1987), Lothringen! (coregia/codirectorDanièle Huillet, cm, 1994), Sicilia! (coregia/codirector Danièle Huillet, 1999),Une visite au Louvre (coregia/codirector Danièle Huillet, 2004), Corneille-Brecht (cm, 2009), O somma luce (2010), Jeonju Digital Project 2011 - Un héritier (cm, 2011).

Danièle Huillet

Danièle Huillet nasce a Parigi il 1° maggio 1936. Cresce in campagna e ritorna a Parigi verso il 1948. Studia al liceo Jules Ferry. Si prepara per l'IDHEC ma si rifiuta di scrivere sul film Menèges di Yves Allégret che ritiene indegno di una prova d'esame.

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