19° TORINO FILM FESTIVAL
Omaggio a Jean-Marie Straub e Daniele Huillet

SCHWARZE SÜNDE

SCHWARZE SÜNDE
di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
Nazione: RFT, Francia, Italia
Anno: 1988
Durata: 41'


Gli Straub» sono ritornati sull'Etna, Non ne avevamo notizie dopo La morte di Empedocle, del 1987, dal poema tragico di Hölderlin. È ancora l'Etna, ancora Hölderlin, ancora Empedocle, il «saggio di Agrigento» colpevole di aver voluto farsi uguale agli dei o semplicemente proclamarsi loro pari e che si getta nel cratere dell'Etna. E tuttavia è diverso. In che senso? Della tragedia Hölderlin aveva scritto tre versioni, tre stesure successive di cui nessuna ultimata. La prima, la più lunga, era La morte di Empedocle (il film). La terza, di cui sono state scritte soltanto tre scene, oltre a un coro, è Peccato nero, che intrattiene con il primo film lo stesso rapporto di El Dorado e Rio Lobo di Hawks con Rio Bravo.
Peccato nero inizia subito sull'Etna: più lontano, più in alto. Tanto La morte di Empedocle spirava un panteismo renoiriano, tanto si proiettavano verso l'esterno e il lamento («L'umana afflizione») e l'utopia («Quando il verde della terra di nuovo risplender` per voi», il pathos di un addio al mondo, tanto in Peccato nero non troviamo che la violenza di una decisione («è passata l'umana afflizione», «ormai non appartengo più ai mortali»): Empedocle ha gi` sbattuto la porta dietro di lui e fa il vuoto, congedando il suo giovane amico Pausania, solo di fronte al mondo, che incontra soltanto uno strano uomo venuto dall'al di l`, Manes. «Il soggetto di Empedocle - dice Straub - è: bisogna finirla con questo».
In Peccato nero, non c'è più nulla che si proietti. I conflitti, la politica, tutto è interiorizzato, con una densit` e una forza inaudite - si dovrebbe parlare di implosione - che danno 40 minuti quasi insostenibili di incandescenza (…)
(Marc Chevrie, «Cahiers du Cinéma», n. 418, aprile 1989)

J.-M.S.: Lorsque j'étais étudiant ` Nancy en fac de lettres, on nous avait donné une page dactylographiée intitulée «La Paix» - «Der Friede» - de Hölderlin. Et quand on s'est rencontré avec Danièle en 54, je me promenais avec cette page dans ma poche, elle ne connaissait pas l'allemand et elle m'a demandé de la lui traduire. Mais il y avait un autre texte d' Hölderlin qui m'avait touché et que je connaissais bien, c'était cette espèce d'esquisse, de fragment de choeur de la fin du premier acte, que Danièle dit ` la fin du film, et que j'ai donc retrouvée tout ` coup dans cette troisième version.
Mais en faisant La Mort d'Empédocle (qui est donc la première version écrite par Hölderlin.), on ne pensait absolument pas adapter cette troisième version du texte parce que je n'en venais pas ` bout personnellement, tout bêtement, en tant que lecteur. Le premier film, c'est presque une comédie musicale par rapport au second.
Il y avait surtout l'envie de récupérer une topographie. Envie qui préexistait ` Hölderlin - de même qu'Othon, ça a d'abord été cette terrasse, ` Rome, avant d'être Corneille. C'était un lieu qu'on avait découvert et qu'on avait finalement éliminé au profit d'un autre pour le deuxième acte de La Mort d'Empédocle. Parce qu'il était trop restreint, trop exposé au vent et pas assez théâtral pour l'arrivée des cinq agrigentins.
D.H.: Trop risqué surtout.
J.M.S.: A gauche, il y a un précipice, ` droite une pente ` 45?, et derrière il n'y a rien. C'est un endroit très dur, il n'y a pas d'arbres, pas d'ombre. C'est beaucoup plus difficile de dire le texte comme ça en plein soleil. C'est une lutte continuelle avec le soleil. Pour la première et sans doute la dernière fois, on a voulu retourner avec les mêmes acteurs, comme Ozu qui reprenait toujours son vieil acteur, et on s'est dit qu'il y avait une possibilité de faire ça avec: les trois qui avaient le plus travaillé sur le premier film et qui n'étaient pas des oiseaux de passage. Avec eux, il y avait un acquis, c'est comme Hölderlin avec son histoire entre la première et la troisième version, on avait un tremplin ` partir duquel on pouvait sauter un peu plus loin.
On est retourné dans cet endroit comme John Ford est retourné ` Monument Valley. Dans La Mort d'Empédocle, il n'y a pas de vallée entre le point de vue et la montagne ; dans Noir pééhé, il y a une immense vallée, on la voit, on la sent. Dans le premier, il y a une idée scénique, une scène théâtrale, ici c'est autre chose. Disons modestement qu'ici, ça ressemble plutôt ` Blind Husbands, qui est finalement le seul film de Stroheim qui ait été monté par lui et qui soit de lui d'un bout ` l'autre. Il y en a un qui serait plutôt un film théâtral et l'autre plutôt un «film-film».

(Intervista a Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, in «Cahiers du Cinéma», n. 418, aprile 1989)


J.-M.S.: Ogni film è un'impresa, un tratto di strada in più nel tentativo di fare un passo avanti. Ancora più lavoro, ancora più rischio, sempre più cosciente, sempre più sistematico, ritardando, allargando pause, cambiamenti di tempi, uno scavare sempre più profondo nel testo... (...) Noi ci muoviamo sul terreno che viene chiamato con la grande parola «arte». Nei passi sempre più piccoli, nel «sempre meno» sta l'essenza dell'arte. Quel che ci interessa è arrivare al punto dove il minimo diventa immenso. Noi facciamo proprio il contrario di quanto prescrivono le leggi economiche: il «sempre meno» è l'oggetto dell'arte.

Le parallele cbe si toccano all'infinito, il «Principio speranza» di Bloch...?
J.-M.S.: Se non ci fosse questa speranza, chi si occuperebbe ancora dell'estetica? Se no sarebbe meglio occuparsi di materie sempre più redditizie, e raggiunto il massimo, uno smette e cerca altri campi sempre più redditizi. Ma noi facciamo proprio il contrario. Non possiamo paragonarci a Bach, ma la cosa più grande di Bach è L'arte della fuga dove Bach raggiunge il punto che rende immenso il minimo. Un altro esempio: se Cézanne raggruppa per la quarantesima volta le sue mele sul tavolo, quando dipinge per la trentesima volta la sua montagna, in un'altra luce, da un'altra collina, ma sempre la stessa montagna, allora accade qualcosa come un terremoto nella pittura, ma che appare come se fosse niente. Un cosiddetto artista che cos'è? Uno che dovrebbe essere come tutti gli altri e tutti gli altri dovrebbero essere come lui, cioè tutti dovrebbero mettere i loro piedi con la massima cautela possibile sulla terra per schiacciare il meno possibile. Comportarsi così fa rapidamente decrescere il rendimento in termini economici.
Lavorare sul campo estetico significa lavorare con la zappa e non con la ruspa. Chi zappa deve prendere in considerazione ogni singola pietra. O pensiamo ai marmisti di Carrara che cercano le vene della materia per tagliare il marmo o ad un agrimensore che cerca di capire uno spazio e lo può triangolare solo se lo ha capito prima. La maggior parte dei registi non sa più nulla dello spazio nel quale vive e gira. (...) Da noi ogni centimetro quadrato dell'immagine ha lo stesso diritto di esistenza dell' uomo, che riempie solo un decimo del quadro. La foglia di un albero, un movimento di aria non sono meno importanti di quell'avvenimento che si crede il massimo della creazione, cioè l'uomo. (...)
Hölderlin aveva 28 anni, quando scriveva l'Empedocle e fra la prima e la terza stesura cade la sconfitta di un sogno politico, come ha dimostrato Berteaux, la sconfitta del progetto di una rivoluzione sveva. Hölderlin si vedeva come il poeta di questa rivoluzione. Il fallimento traspare nella terza stesura, la quale, almeno in apparenza, è molto meno politica. Ma forse lo è in un senso più profondo. Hölderlin, che non ha potuto essere il poeta della rivoluzione, ormai parla del sacrificio e questo lo porta molto lontano.

La tragicit` di Hölderlin non diventa mai lamentosa.
J.-M.S.: No, è anche piena di ironia. Per noi ci sono nella letteratura due personaggi di una grande capacit` ironica che però viene colta solo da pochi: Corneille e Hölderlin. Nel migliore dei casi Hölderlin passa per sublime e anche noioso. Ma rispetto a lui Goethe - voglio esagerare - è una vacca sentimentale. Hölderlin esprime una scala larghissima di sentimenti e di pianto, senza cadere mai in un atteggiamento lamentoso.
D.H.: Ci vuole una grande arte per non cadere ne lamenti.

(Intervista a Jean-Marie Straub e Danièle Huillet di Peter Kammerer, in Straub-Huillet. cineasli ilaliani, Mostra Internazionale dcI Nuovo Cinema, Pesaro 1989)

Biografia

regista

Jean-Marie Straub

Jean-Marie Straub (Metz, Francia, 1933) ha lavorato, come assistente, per registi come Robert Bresson, Abel Gance, Jean Renoir o Jacques Rivette, esordendo nel 1963 insieme a Danièle Huillet, che da quel momento sarà sua compagna di vita e di lavoro, con il cortometraggio Machorka - Muff, tratto da un racconto di Heinrich Böll. Hanno realizzato il loro primo lungometraggio, Cronaca di Anna Magdalena Bach, nel 1968. Da allora hanno diretto una trentina di film, confrontandosi con autori come Friedrich Hölderlin o Cesare Pavese. Nel 2006 sono stati omaggiati, a Venezia, di un Leone speciale per l’innovazione del linguaggio cinematografico.

FILMOGRAFIA

 filmografia essenziale/essential filmography

Machorka - Muff (coregia/codirector Danièle Huillet, cm, 1963), Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1968), Moses und Aaron (Mosè e Aronne, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1975), Dalla nube alla resistenza (coregia/codirector Danièle Huillet, 1979), Der Tod des Empedokles (La morte di Empedocle, coregia/codirector Danièle Huillet, 1987), Lothringen! (coregia/codirectorDanièle Huillet, cm, 1994), Sicilia! (coregia/codirector Danièle Huillet, 1999),Une visite au Louvre (coregia/codirector Danièle Huillet, 2004), Corneille-Brecht (cm, 2009), O somma luce (2010), Jeonju Digital Project 2011 - Un héritier (cm, 2011).

Danièle Huillet

Danièle Huillet nasce a Parigi il 1° maggio 1936. Cresce in campagna e ritorna a Parigi verso il 1948. Studia al liceo Jules Ferry. Si prepara per l'IDHEC ma si rifiuta di scrivere sul film Menèges di Yves Allégret che ritiene indegno di una prova d'esame.

Cast

& Credits

Regia: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Testo: Empedocle sull'Etna (1799) di Friederich Hölderlin (terza versione incompiuta di La morte di Empedocle).
Fotografia: William Lubtchansky, Christophe Pollock, Gianni Canfarelli.
Suono: Louis Hochet, Sandro Zanon, Pierre Donnadieu.
Musica: Ludwig van Beethoven.
Montaggio: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Assistenti: Francesco Ragusa, Michael Esser, Hans Hurch, Leo Mingrone, Roberto Pali, Arnold Schmidt.
Interpreti: Andréas von Rauch (Empedocle), Vladimir Baratta (Pausania), Howard Vernon (Manes), Danièle Huillet (donna).
Produzione: Straub/Huillet, con Dominique Païni e le radio di Amburgo, Colonia, Berlino, Baden-Baden e la Televisione (3 Rete) di Colonia.
Riprese: 3 settimane, Etna (a 1800 m).
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