Nazione: Francia
Anno: 1960
Durata: 113'


Dei giovani, stile XVI arrondissement, si riuniscono in un appartamento e passano insieme la giornata. Parlano di sé, della commedia musicale che vogliono mettere in scena, fanno venire due ragazze per una parte non ancora coperta, ne fanno restare una, si raccontano a vicenda delle storie, mangiano, bevono, flirtano, ballano, si tormentano…
Nell'atmosfera superficiale e fragile d'un pomeriggio di chiacchiere, i giochi dell'amore fanno riapparire vecchi sentimenti sempre vivi, ne fanno nascere altri, fanno scorrere lacrime e sorgere gelosie, esprimono le mezzetinte e le esitazioni d'un gioco in cerchio. Dopo questo girotondo dei cuori che barano e si squadrano ognuno la notte torna a casa sua… (…)

Philippe Durand
("Image et son ", n. 145, 1961)


M'è venuto il desiderio di diventare regista. Ho preparato diversi soggetti e sono andato a trovare dei produttori. Niente da fare. La gente d` fiducia ai giovani (in quel momento gliene dava ancora di più), ma solo se uno è al suo secondo film. È un circolo vizioso. Allora ho cercato di mettere in piedi qualcosa per conto mio. Ho pensato di fare un film per quindici milioni, con attori poco noti, una sola scena. Ho preso un soggetto che avevo scritto da solo, l'ho adattato e dialogato con Nina Companeez. Per me era un'esperienza. Quando si fa l'assistente si prendono degli appunti su idee di scena, modi di filmare. Ho cercato di mettere il più possibile di questi appunti nel film, per non doverlo più fare dopo. All'inizio la storia non aveva alcun legame drammatico, ma poi s'è organizzata. E diventata una commedia d'ambiente.
I personaggi vivono. È un esercizio, ma non è mai gratuito. L'azione si svolge in un unico scenario: la questione del ritmo era quindi fondamentale. Non c'è nessun trucco però. Spero che la tecnica sia invisibile, anche se so che c'è e che il film è costruito con estrema cura. (…)
Quello che non mi piace, è prendersi sul serio. Un film è prima di tutto uno spettacolo, un divertimento (anche se è serio), ed io ci penso al pubblico. Ce soir ou jamais è diventato una commedia, vale a dire che niente si prende sul serio, né la storia, né i personaggi, né il regista. (…)
Girando Ce soir ou jamais non pensavo di fare un "film Nouvelle Vague". Era costruito, elaborato. Volevo fare un film di giovani, ma non Nouvelle Vague. Quei pochi critici che l'hanno visto dicono che lo è. Non so. Lo sar`, ma sotto altri aspetti (la storia ad esempio). Quando l'ho cominciato ho voluto fare molte cose personali, e non mi sento più solidale con la vecchia vague (con cui non ho in comune né le stesse intenzioni né gli stessi gusti) che con la nuova.

M. Deville
("Cinéma", n. 61, 1961)


Primo tentativo, primo successo. Michel Deville, al suo primo film, riesce in un'alleanza ritenuta impossibile: una commedia tipicamente francese in uno stile da commedia americana. Evocare, a proposito di Ce soir ou jamais, Marivaux o Musset, Cukor o Minnelli, è una prova della considerazione nella quale bisogna ormai tenere il suo autore. Certo, Ce soir ou jamais non è al livello delle opere di questi maestri. Non è senza cadute. Ma il secondo film di Deville, La menteuse, che ho potuto vedere in privato, conferma un talento che ridimensiona fortemente quello che si era potuto attribuire a Philippe de Broca.
Pudore, discrezione, intelligenza, acutezza, vivacit`, eleganza, sono queste le qualit` maggiori del film. Una certa preziosit` anche, e una tenerezza che dissimula, come si conviene a ogni buona commedia, una dose sottile di crudelt`. Gli amabili scherzi che graffiano fino a far sanguinare il cuore sono una specialit` ben francese. In questo gioco della verit` dei sentimenti Michel Deville eccelle. Batte persino, su questo terreno, molti noti cineasti.
(…) In Ce soir ou jamais il protagonista è il gruppo. E quello che Deville ha filmato sono le molteplici modificazioni e variazioni di sentimento che il gruppo prova. Dalla sensazione di disagio (i racconti che riempiono il vuoto per evitare che A cali il silenzio) all'esaltazione, abbiamo diritto a tutti i suoi sottili stati d'animo. Deville tratta i suoi personaggi come semplici elementi che reagiscono solo rispetto all'insieme. La cinepresa, testimone obiettivo e imparziale, spia le minime reazioni personali a questa psicologia collettiva. Da qui la sua straordinaria mobilit` e la necessit` in cui si trova, con panoramiche, primissimi piani e un montaggio rapido, di coglierle al volo. Essa ci tuffa all'interno d'un gioco di societ` che non è altro che il gioco della verit`. Ma qui gli sguardi hanno sostituito le parole. Sono interrogativi e rivelatori ad un tempo. Ognuno, con lo sguardo che getta sugli altri, cerca di metterne a nudo le anime senza rendersi conto che egli stesso si tradisce. Il punto culminante di questo gioco è l'esame di ammissione delle due attrici che si conclude con la demente esibizione della respinta, reazione normale d'un pudore ferito dal convergere di tutti quegli sguardi scrutatori.
Lo spiare il conflitto amoroso nel minimo comportamento dei due protagonisti principali rimanda ad ognuno l'immagine del proprio cuore e della propria solitudine. Questi giovani cinici, disinvolti, scettici o candidi, dall'amoralit` e indifferenza simulate, sono davvero i nipoti degli eroi di Musset. Non perché più prosaico, il loro romanticismo è meno vivo. Il cristallo risplende, ma la sua incrinatura nascosta manda un suono tanto nostalgico quanto all'epoca dei dandy. Alla fine della messa in scena - perché è questo il fine d'una vera messa in scena - le apparenze, spiate da tutti gli sguardi, crolleranno. La menzogna della leggerezza affettata si dissipa e rivela la verit` grave del sentimento amoroso. I personaggi hanno imparato a conoscersi.

Jean Douchet,
("Cahiers du Cinéma", n. 125, 1961)


Il suo film, che dura lo spazio d'una notte (o più esattamente d'un "party" tra compagni), ci fa assistere, senza soluzione di continuit`, agli scambi incrociati tra quattro coppie amiche, che si ritroveranno, all'alba, ricomposte com'erano all'inizio.
È poco. Anzi, è meno che niente. Ma è un tour de force non privo di garbo. Un tour de force che, a pensarci, tradisce un'abilit` artigianale più rara di quanto non sembri a prima vista. All'unit` di luogo e tempo s'aggiunge infatti un'unit` d'azione che è meno d'essenza drammatica che cinematografica. Come Philippe de Broca, Michel Deville è visibilmente portato alla commedia americana. Ma sono i due aspetti antinomici (anche se complementari) di quest'ultima, ad avere rispettivamente colto, si direbbe, i due cineasti: in Broca la fantasia e il lirismo liberatori, in Deville il rigore e la precisione nella creazione d'un universo il più possibile irrealistico, artificiale. Infatti non facciamoci trarre in inganno - il rispetto delle tre unit` non ha affatto qui una funzione realista (non più, tra l'altro, che in Rope di Hitchcock): al contrario, come in Marivaux ad esempio, il tempo diviene esso stesso un elemento poetico, simbolico, una sorta di luogo ideale in cui s'iscrivono i meandri dei sentimenti, i tracciati sottili e sinuosi dei giochi del cuore e dell'amor proprio. Paradosso delle regole del teatro classico: l'universo privo di trascendenza della commedia ha indubbiamente molto più bisogno della tragedia di queste assise spazio-temporali saldamente unificate.
E in questo senso, a nostro parere, che si potr` parlare di teatro a proposito di Ce soir ou jamais: non teatro filmato o teatro cinematografico (si tratta del resto d'una sceneggiatura scritta espressamente per lo schermo), ma espressione cinematografica d'una verit` estetica che si credeva appannaggio del palcoscenico. la cinepresa di Deville (cinepresa audace nella ricerca d'una certa semplicit` diretta e, nello stesso tempo, pudica nella scelta degli effetti), ricrea insomma l'unit` fisica e materiale del mondo del teatro con la sua agilit`, con la sua abilit` nello sposare l'evoluzione degli attori ed anche, quando occorre, nel seguire il solo filo del dialogo, abbandonando i primi per il secondo o il secondo per i primi, a seconda delle necessit` dell'intreccio.
Ecco dunque un film la cui riuscita è legata essenzialmente allo stile. Esso riesce infatti a combinare una stretta fedelt` all'attore, che fa di questo genere di film una sorta di teatro alla seconda potenza (è a un'opera come Les parents terribles di Cocteau che conviene pensare), ad una utilizzazione del piano d'insieme, e fisso per di più, che non spezza mai né il ritmo generale né la continuit` tenue, ma robusta di questo preziosismo moderno (un esempio eloquente, tra gli altri: la divertente cena che riunisce i protagonisti nella minuscola cucina dell'appartamento). È il ritmo interno dell'immagine che subentra qui in qualche modo alla pulsazione del film (in cui le vere pause ritmiche sono costituite piuttosto da quelle conversazioni "fuori campo" sovrapposte a scene ad esse estranee. Questa dissociazione immagine- dialogo alleggerisce fuggevolmente la materia visiva e sonora alquanto densa dell'opera). (…)

M. Zimmer
("Cinéma", n. 61, 1961)

Biografia

regista

Michel Deville

FILMOGRAFIA

CE SOIR OU JAMAIS (1960)

Cast

& Credits

Regia: Michel Deville.
Sceneggiatura e dialoghi: Nina Companeez, Michel Deville.
Fotografia: Claude Lecomte.
Scenografia: Alexandre Hinkis.
Montaggio: Nina Companeez.
Musica: Jean Dalve.
Interpreti e personaggi: Anna Karina (Valérie), Claude Rich (Laurent), Georges Descrieres (Guillaume), Jacqueline Danno (Martine), Michel De Re (Alex), Guy Bedos (Jean-Pierre), Françoise Dorleac (Danièle), Anne Tonietti (Anita), Eliane D'Almeida (Nicole).
Produzione: Elefilm.
Distribuzione: Films Fernand Rivers.
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