Nazione: Francia
Anno: 1954
Durata: 110'


Il pastore Lam, il pescatore Illo e lo scrivano pubblico Damouré si incontrano al mercato di Ayorou, nel Niger, e decidono di partire per Kumassi, in Costa d'Oro, in cerca di denaro e di avventura. Dopo aver consultato uno stregone, partono risoluti, attraversano il Dahomey e si separano dopo aver passato la frontiera della Costa d'Oro. Illo e Damouré li ritroviamo ad Accra, dove il primo lavora al porto ed il secondo diventa un capetto in una segheria. Lam invece arriva a Kumassi e gestisce una bottega nel mercato. Ad Accra, Damouré diventa un "giaguaro", un giovane donnaiolo; "tutti lo guardano, lui guarda tutti"; cambia mestiere, diventa fotografo, poi un bel giorno decide con Illo di raggiungere Lam a Kumassi. Damouré, Illo, Lam e Dourna diventano soci per far fruttare il loro piccolo commercio e fondano una societ`.
Nella stagione delle piogge, ritornano al paese con un po' di soldi in tasca ma soprattutto con molte storie, molte bugie da raccontare.

J.-J. D.
("Saison Cinématographique 1972")


Credo che nel caso del documentario sociale, la sola maniera per fare qualcosa che non sia noioso è di ricorrere alla finzione. (A meno che non ci sia qualcosa di sensazionale, il che non è sempre frequente. che cos'è sensazionale nella vita quotidiana delle persone? Il crimine, la violenza, la guerra). (…)
Quando ho girato Jaguar, erano gi` due anni che stavo nel Ghana, cioè allora nella Gold Coast, e conoscevo molte cose sui giovani immigrati. Conoscevo i motivi che li spingevano ad emigrare e quindi potevo scegliere, nell'improvvisazione, ciò che mi sembrava essere più rappresentativo. Credo che questa sia una cosa molto importante: verosimilmente, il motivo per cui una gran parte del cinema attuale è così mediocre è che chi lo fa non conosce ciò di cui parla. Quest'idea della finzione mi deriva - dato che non pretendo d'inventare nulla - da quelli che considero i due padri del cinema: Flaherty e Vertov. Sono veramente per me quelli che hanno fatto di più, che hanno inventato tutto. Flaherty faceva del documentario di finzione, faceva Nanook, fin dall'inizio: l'igloo di Nanook è un falso igloo, per ragioni d'illuminazione, e Flaherty ha chiesto a Nanook di recitare i suoi gesti quotidiani. Era la sola maniera di procedere; era, per così dire, una finzione in ambienti e condizioni reali. Vertov pretendeva di essere contro tutti i film di finzione e per il documentario, ma filmando la vita all'imprevisto finiva con l'avere una realt` ancorpid fantastica della finzione. L'uomo con la macchina da presa è un film completamentefittizio, che si apre veramente su un altro mondo. Il terzo elemento che ha agito su di me è qualcosa il cui modello può essere trovato nel film di Ejzenstejn sul Messico, Qué viva México! Al "Musée de l'Homme" abbiamo un'ottima scuola americanista; gli specialisti del Messico ritengono che tutti gli elementi di quel film sono completamente falsi, ma che il loro insieme è più vicino alla realt` del Messico stesso. In altre parole, Ejzenstejn è riuscito a fare una cosa prodigiosa, ricostruire totalmente un universo ieratico che non ha nulla a che vedere con la realt`, che utilizza gli ambienti, i volti, certe decorazioni, e che è l'immagine certamente più reale del Messico del periodo in cui lui ha girato il film. (…)
Credo insomma che per me il cinema sia proprio questo: poter passare dal reale all'immaginario; e credo che l'immaginario, tanto nel caso di un regista come Buñuel quanto nel caso di un film come Jaguar - l'aspetto immaginario dell'avventura di questi tre giovani che si guadagnano del denaro -, sia molto più vicino alla realt` del fenomeno che se mi fossi limitato a filmare la vita quotidiana di tre ragazzi, un minatore, un commerciante e uno che si occupa di legname.

J. Rouch
("Cinema e Film", n. 4, 1967)


Dalle sponde del Niger all'Atlantico, da Accra a Koumassi, la cinepresa di Rouch si lascia condurre dai suoi eroi songhay, spia le loro reazioni davanti all'oceano, la scoperta della citt`, la loro astuzia e il loro candore, capta nella vivacit` di una inquadratura fissa o nell'ampiezza di una panoramica la cangiante bellezza dell'Africa, talvolta con un senso plastico che non farebbe arrossire un Schulthess. Questa Catabasi-Anabasi incrocia tutte le piste percorse da Rouch, quelle di Gens du Mil, di Mai tresfous (con la stregoneria degli Haukas), come quelle di Pêcheurs du Niger o di Treichville. Paragonando il regista all'etnologo, il regista di Moi, un noir, tracciava un parallelo tra découpage, riprese, montaggio e indagine preliminare, osservazione e ulteriore redazione. Jaguar, annunciato con i primi film etnografici del 1946, girato in tre anni, montato in dieci, si prolunga in questo modo per quasi vent'anni. Questa è l'opera di Rouch che meglio corrisponde a quello che lui stesso scriveva in "Positif", proprio dopo le riprese di Jaguar. "Ci sono momenti molto rari in cui lo schermo giustamente cessa di essere uno schermo che separa gli uni dagli altri, quando lo spettatore capisce subito una lingua sconosciuta senza bisogno di alcun sottotitolo, partecipa a strane cerimonie, va in giro in citt` o attraverso paesaggi che non ha mai visto ma che riconosce perfettamente".
Questa complicit` che nasce all'improvviso forse spiega la contentezza che si prova a scoprire con gli africani un po' del loro continente; un po', e non soltanto in senso geografico.
In Jaguar il cinema di Rouch non è né di contestazione né di critica. Non si trova quasi nulla dei problemi che tenter` di trattare frammentariamente e confusamente in seguito: le svariate stimmate della colonizzazione, il razzismo, lo scontro delle culture, la miseria del Lumpenproletariat delle grandi citt` africane. È il racconto di un'avventura che ha la semplicit` del documento, e che senza dubbio si salver` dalle critiche degli africani stessi. Rouch si riveler` più tardi (soprattutto nei film "parigini") un affrettato sociologo. Jaguar, dove l'osservazione "sul terreno" si mostra nel suo aspetto migliore, è un film che svela in modo esemplare la forza di Rouch e i limiti nei quali questa forza si esercita.

M. Ciment
("Image et Son", n. 185, 1965)


"C'era una volta" nella savana del Niger tre giovani: il pastore Lam, il pescatore Illo, e Damouré "il donnaiolo". Una domenica al mercato, vedendo i giocatori di carte venuti dalla Costa d'Oro, decidono a loro volta di partire per un lungo viaggio. Il film è il diario di bordo di questo lungo periplo che si protrae per mesi e che collega i successi degli uni con gli insuccessi degli altri, senza che alcuna tappa sia decisiva. Perché è un racconto avventuroso che Rouch narra, seguendo gli appunti e le varianti sui viaggi africani. Nulla di quello che lui filma ha il carattere definitivo e insostituibile delle opere premeditate. Ciascuna scena, nel suo tremolio, nel suo tono esitante a forza di essere concreta sembra essere ricordata soltanto per la sua freschezza, al di fuori di qualsiasi giustificazione teorica o drammatica. Come se lo spessore della materia, i rumori, i colori, fossero i soli criteri per scegliere un momento piuttosto che un altro. Perché Rouch, pur rispettando l'avventura, le toglie gli orpelli folcloristici, toglie l'evento che può incanalare e ridurre. Dell'ascesa sociale di Damouré,
filma soltanto il deposito di legname o la visita al mercato, rimandando solo indirettamente alla situazione, imprimendo tutta la forza nella precisione delle fotografie e dei suoni fedelmente raccolti. Qui entra in gioco il primo livello della libert` rouchiana: l'originalit` della finzione filmata. Questa creazione in preda a continue modificazioni secondo il procedere del film non fa che evocare il principio socioteatrale dello "psicodramma". Non soltanto per il carattere stesso del canovaccio, spesso addirittura assente, che offre libero corso all'improvvisazione, ma soprattutto per la necessit` collettiva di tali improvvisazioni. Qui un itinerario individuale sarebbe stato impensabile. Il rapporto con gli altri non crea soltanto un legame episodico, d` un fondamento all'esperienza e la colora di mitologie rivelatrici. I personaggi fanno o dicono sempre più di quanto ne sanno.
Il secondo livello della libert` di Rouch comincia assai dopo le riprese, quando il film ha riposato talvolta per anni nei cassetti prima che si sia presa la decisione di rivederlo e di rifarlo quasi. È in questo momento che coloro che hanno vissuto la grande avventura, la rivivono in modo nuovo, commentandola, interpretandola, c cercando, malgrado la resistenza del tempo, di ritrovare l'euforia del viaggio c delle scoperte passate. E il commento individuale diventa allora tanto incredibile quanto lo era gi` stato il viaggio. Rouch mescola di nuovo il calore delle voci che si intersecano, si confondono e si stimolano. L'interazione che soprintendeva alle riprese si ritrova nel momento del montaggio c del missaggio, con in più le ripetizioni, le esitazioni, gli scoppi di risa e le pause.
In Lam, Illo e Damouré, Rouch vede Ulisse e "L'Odissea". E non si tratta di una "amplificazione lirica" del testo, ma di una sorta di salto, contemporaneamente verso un'avventura ormai lontana e verso altre avventure da ricominciare. Poiché si sa da Proust Pollet, Demy e Resnais ne hanno fatto buon uso che il desiderio di viaggiare ci viene dalla memoria.

A.T.
("Cahiers du Cinéma", n. 195, 1967)

Biografia

regista

Jean Rouch

Jean Rouch nasce il 31 maggio 1917 a Parigi. Si laurea in Lettere, in Ingegneria civile e poi si diploma all'istituto di Etnologia. Durante la guerra conduce inchieste etnografiche in Nigeria e in Senegal. Nel 1946-47 effettua la discesa del Niger in piroga, in compagnia di Jean Sauvy e di Pierre Bonty. Nel frattempo con la sua macchina da presa a 16mm riprende cerimonie e riti, realizzando un affascinante documento di altissimo valore etnografico e registrando la trasformazione di un continente dal colonialismo all'indipendenza. Au pays des images noirs (1947) è il primo di una lunga serie di cortometraggi, realizzati con la tecnica del cinéma-direct. Tale tecnica prevedeva l'uso della macchina a mano e della registrazione del suono in presa diretta al fine di cogliere il reale nella sua immediatezza. Tale scelta, nella sua smitizzazione dello strumento tecnico - che dimostra la concreta possibilità di realizzare un film senza sottostare ai limiti di una tecnologia pesante e di un'equipe numerosa - ha avuto una grande influenza sulla Nouvelle Vague. Col suo metodo Rouch realizza altri film importanti come Moi un Noir (1957) sui giovani che affluiscono a Treichville (Costa d'Avorio) in cerca di lavoro, La pyramide humaine (1958), sui rapporti tra studenti neri e bianchi al liceo di Abidjan, Chronique d'un été (1960), un film sui parigini, girato con Edgar Morin, Chasse au lion à l'arche (1964) su un particolare tipo di caccia in Costa d'Avorio, e Gare du Nord, un episodio di Paris vu par (1966) filmato in tempo reale, che racconta di un abbandono, di un incontro, di una corsa lungo Parigi e di un suicidio. Il metodo di Rouch non va assolutamente confuso col concetto della "vita colta all'improvviso". Rouch provoca con la macchina da presa i protagonisti dei suoi film, li costringe a farsi personaggi e a interpretare storie da loro stessi a volte inventate. In questo modo finzione e improvvisazione si trasformano in strumenti per arrivare alla "verità". Di qui anche il rifiuto del montaggio tradizionale, la trascuratezza formale, la preminenza dei contenuti. Nel 1984 presenta alla Mostra di Venezia Dyonisos: ironica rappresentazione della realtà di un antropologo diviso tra civiltà industriale e mondi primitivi. Dal 1947 a oggi Rouch ha girato più di centocinquanta film.

Cast

& Credits

Regia, sceneggiatura e fotografia: Jean Rouch.
Testo e dialoghi: Damouré Zika, Lam Ibrahima Dia, Illo Gaoudel, Amadou Koffo.
Montaggio: José Matarasse, Liliane Korb.
Musica: Enos Ammelolon, Tallon Mourourane.
Interpreti: Damouré Zika, Lam Ibrahima Dia, Illo Goudel, Dourna Besso, Amadou Koffo, Jean Rouch.
Produzione: Les Films de la Pléiade.
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