2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

La maman et la putain

The Mother and the Whore
di Jean Eustache
Nazione: Francia
Anno: 1973
Durata: 209'


A che pro raccontare un film? Forse per tirar fuori tutto ciò che non conta o conta poco. Tutto ciò che avrebbe potuto essere romanzo o un'altra cosa. Tutto ciò che non è ancora il film.
Bene. Allora diciamo, prima di tutto, che lei ha un aspetto molto pallido, come se avesse trascorso le sue notti in un film di Bresson. Lei si chiama Gilberte e - come una certa Gilberte così cara a Proust - ha abbandonato gli eroi che l'arnano ancora e la supplicano di restare. Invano.
Lui, è Alexandre, impersonato da Jean-Pierre Léaud. Non ha lavoro e ne è piuttosto fiero. Soprattutto la mattina presto quando incrocia le persone che si trovano male nella loro pelle tra il sonno e il lavoro. È l'ora in cui Alexandre rientra a casa sua - o più esattamente a casa di Marie (Bernadette Lafont) - perché egli dorme da Marie, con Marie. Ma per poco perché, durante il giorno, lei lavora. Gestisce una piccola boutique e vende vestiti.
Alexandre ama molto Parigi, ma solo di notte. Di giorno, preferisce andare a zonzo per le terrazze dei caffè dove discute con il suo amico Charles.
Un giorno, incontra una ragazza, Véronika (Françoise Lebrun). La rivede sempre più sovente. Alexandre è un ragazzo volubile. Véronika lo sta ad ascoltare. È infermiera. Disadattata come Alexandre, dorme all'ospedale per non pagare l'affitto di una stanza. Conosce molti uomini, all'ospedale o nelle boites di notte. Tutti pomicioni. D'altra parte anche a lei non dispiace pomiciare. Un tipo come Alexandre, che non ha intenzione di saltarle subito addosso, che è gentile e che ama i dischi del tempo passato, un tipo così non l'ha mai visto.
Un giorno, Alexandre invita Véronika a casa di Marie. Solo per ascoltare un vecchio disco che gratta. Marlene Dietrich o una sua imitatrice, non ricordo. Marie non trova simpatica Véronika.
Poi, impossibile da raccontare il resto. Che significato ha dire che un giorno, mentre Marie è andata a Londra a comprare dei vestiti Véronika va a letto con Alexandre? Come spiegare che Marie, al suo ritorno, non ne fa una tragedia? E che ben presto si ritrovano tutti e tre nel suo letto? E che la cinepresa, giustamente, non ne fa ne una storia, né un dramma? La tenerezza, il piacere, l'angoscia, la follia, la libert` sessuale, la sofferenza al limite del sopportabile. C'è tutto ciò in questo film.
Una notte, Marie tenta di suicidarsi davanti ad Alexandre e a Véronika. Un'altra volta, Véronika e Marie diventano complici per fare il processo ad Alexandre. Ciò che è certo è che, dal fondo di quest'inferno, Véronika ama Alexandre di un amore terribile e puro. Questa piccola infermiera vuole un bambino e rimarr` incinta. Alexandre s'accorger` che sta rivivendo la stessa situazione di un tempo con Gilberte. Perder` Véronika come ha perduto Gilberte?

Jean Collet dal Press book del film


Odio quel genere di cinema in cui il regista strizza continuamente l'occhio allo spettatore. La Nouvelle Vague ha condotto una vera e propria battaglia contro questo modo di fare. In linea di principio, penso che il pubblico debba saperne un po'meno dei personaggi e, per così dire, mettersi sulle loro tracce. La narrazione deve mantenere una certa distanziazione. Non credo all'illusione della partecipazione, ai grandi ritratti dipinti nei primi dieci minuti del film. Per quanto mi riguarda, la conoscenza dei personaggi deve procedere di pari passo con la conoscenza del film. È un metodo che esige l'abbandono di molti pregiudizi e la disponibilit` a percorrere nuove vie. Il mio film adotta un'estetica che si raccorda al carattere dei personaggi. Ero ben cosciente del problema della durata, ma sono stato obbligato a fare come ho fatto, perché il tempo era il soggetto del mio film. Non raccontavo una storia in cui i personaggi evolvono secondo i soliti canoni, realizzavo un film in cui, al di fuori della scena della mostra (circa tre minuti), ridotta all'essenziale, non succede nulla; ho pertanto avuto bisogno di molto tempo per filmare un momento, un istante indefinito, una stasi. Non si tratta di un film costruito restando in superficie, ma in profondit`. Il contrario, dunque, di Red River, dove la conquista era condensata in un soggetto e in uno spazio; forse un po' Rossellini intorno al 1947, quello di La voce umana. (…)
Il film inizia in prima persona per terminare con numerose prime persone. Comincia al singolare e finisce al plurale. Lo spettatore deve avvertire questa metamorfosi, ma poiché si tratta di una svolta invisibile, lo spettatore ignora al pari di me in che momento si sia prodotto questo cambiamento. E non si tratta affatto di un trucchetto: non ricorro a astuzie disoneste del genere capovolgimenti della logica di una situazione, trappole ecc. Questa metamorfosi si compie infatti a poco a poco nel corso del film, davanti allo spettatore come davanti al regista. (…)
La maman et la putain è un film sulla parola. A ciascun personaggio corrisponde un determinato tipo di discorso, sia per quanto riguarda la forma che il contenuto. Così, tono e parlata di Bernadette sono normali perché è l'unico personaggio che si accetta; mentre Jean-Pierre ha bisogno di organizzare in sé e attorno a sé una vera e propria messa in scena. Bernadette non ha questo problema; problema che Jean-Pierre cerca di risolvere per mezzo della parola. Jean-Pierre vaglia quello che dir`, il suo discorso è premeditato, il suo tono è monotono perché riflette un pensiero gi` inscritto. Véronika, invece, assume il linguaggio che le ha dato Jean-Pierre.
È un modo di procedere che può urtare lo spettatore, ma è, credo, il prezzo che bisogna pagare per entrare nel film. Del resto si tratta di un'impressione che non dovrebbe riprodursi in occasione di un'ulteriore visione del film. (…)
Il film è immerso in una luce un po' sporca. Una volta ho detto al direttore della Fotografia: Il film si svolge a Parigi, in bistrot un po' sporchi; Parigi è una citt` sporca, voglio che l'immagine sia sporca". Mi ha risposto spaventato e urlante: "Oh, no!". Evidentemente non stavamo parlando la stessa lingua. lo intendevo alludere a un grigiore lavorato, ben più difficile da ottenere dell'asettico bianco e nero cui siamo abituati.
Ambientando gran parte del film al Flore, finivo per privare questo luogo mitico di parte della sua aura. Il Flore smette di essere il ben noto posto dove s'incontrano pittori e scrittori e diventa, almeno quale io lo mostro, un caffè dove si danno appuntamento un ragazzo spiantato e un'infermiera. Era molto importante, essenziale, che la vicenda si svolgesse qui.
Tra il momento in cui ho scritto il film, il momento in cui ho girato e il momento in cui ho montato, ho cambiato completamente parere su chi fosse il personaggio principale. Quando scrivevo il film, era Jean-Pierre Léaud; poi è diventato Françoise Lebrun e, alla fine, Bernadette Lafont. Io stesso ho subito le modificazioni del film. Forse perché mi piace lavorare liberamente, i tre momenti principali della realizzazione - scrittura, riprese, montaggio - si sono distrutti a vicenda.

J. Eustache
("Positif", n. 157, 1974)


Ardua prova. Tre o quattro ore di Jean-Pierre Léaud senza - se mi è consentito il termine - mollare. Se vi piace Jean-Pierre Léaud, ed Eustache ne ha messo per ogni dove, andate a vedere il film e auguri! Io vi confesso che la presenza di questo attore sullo schermo non mi fa impazzire di gioia. (…) La compiacenza evidente con la quale Jean Eustache ci fa ascoltare il suo Alexandre esporre la sua etica, estetica, metafisica e politica personale, l'attenzione complice che egli accorda ai suoi più piccoli gesti, alle sue più faticose boutades ci invitano a pensare ad un'operazione Narciso di assai vasta ampiezza. Eustache vuota il suo cuore, vuota il sacco, molto bene. Questo accentrare tutto su di sé in modo esasperato può finire per commuovere, se si accetta di entrare in questo gioco. lo accetto di entrarvi. L'evidente ossessione di un certo viso di donna mi trattiene - così come la ricerca di Alexandre-Léaud -, questo modo perduto, febbrile che ha di gettarsi sulla mente delle ragazze, di aggrapparsi dappertutto senza riuscire ad aggrapparsi a nulla, povero Alexandre conquistatore beffardo incapace di possedere veramente.
E per lui, d'accordo, la donna ideale è insieme maman et poutain; sbaglia a credere di trovare nella stessa graziosa la madre e la puttana e corre, corre il capretto - ed è vero, questa corsa può essere penosa, grottesca, patetica, tragica secondo le doti del corridore, o invece faticosa per lui e per quelli che lo guardano correre. Bene. Dopo tutto, si tratta di Bernstein rivisto dal Café de Flore.
Seconda giustificazione. Alexandre ci offre il ritratto di uno di quei piccoli ragazzi che proliferano tra il Boul' Mich'e Saint-Germain-des-Prés. Un'altra forma di narcisismo esacerbata. (…) Ritratto fraterno e feroce di questo chiacchierone per disperazione, che scimmiotta gli intellettuali perché sfoglia un libro al Café de Flore o perché ha visto e rivisto tutti i film di Murnau della cineteca. Piccolo ragazzo povero, ben deciso a non servirsi delle sue dieci dita e che preferisce fare il ruffiano con le sue graziose che, invece, sgobbano. Catalogo vivente (così poco, così male) dei piccoli snobismi locali: vecchi dischi della Piaf - molto chic se sono rigati, viva Offenbach, niente di più kitsch che Marlène e le SS, ah! ascoltate Damia! ma leggendo Proust con l'altra orecchia, se si può dire. Tutte preoccupazioni carine e nello stesso tempo commoventi purché non si dia loro che l'importanza che meritano - cioè nessuna. Se è questo che Jean Eustache voleva farci capire, ebbene ha vinto - ma ci ha messo parecchio tempo.

Jean-Louis Bory
("Le nouvel observateur", 14 maggio 1973)

Biografia

regista

Jean Eustache

Jean Eustache (Pessac, Francia, 1938 - Parigi, Francia, 1981) trascorre l’infanzia nel paese natale, accudito dalla nonna materna. Sarà questo un periodo della vita che influenzerà profondamente la sua filmografia, segnata da una forte componente autobiografica. Al principio degli anni Cinquanta si trasferisce a Narbonne con la madre per stabilirsi infine a Parigi, dove lavora come operaio nelle officine delle ferrovie francesi. Nella capitale Eustache frequenta con passione i cineclub e la redazione dei «Cahiers du cinéma», in cui entra in contatto con i protagonisti della Nouvelle vague. Gira il cortometraggio La soirée (1963), ma il suo vero esordio da regista è Les mauvaises fréquentations (1963-1964), breve racconto dedicato alla domenica di due giovani balordi parigini. Il film sarà distribuito nelle sale nel 1967 insieme al secondo lavoro di Eustache, Le Père Noël a les yeux bleus (1965-1966). Nell’anno clou delle rivolte studentesche il regista torna al paese di origine per girare La Rosière de Pessac (1968), esempio di una via «intima» alla rappresentazione del reale che caratterizzerà anche Le cochon (1970) e soprattutto Numéro zéro (1971), dedicato all’amata nonna, ripresa mentre racconta al nipote la propria storia. Il cinema come atto di rielaborazione del proprio vissuto è alla base anche del suo capolavoro più conosciuto, La maman et la putain (1973), pellicola che sa intercettare lo spirito di disillusione della generazione postsessantotto. Il relativo successo del film, vincitore del gran premio della giuria a Cannes, permette al regista di girare il suo secondo lungometraggio, Mes petites amoureuses (1974), racconto di formazione ancora una volta ispirato alle sue esperienze reali. Il film è un insuccesso. Gli ultimi anni sono segnati da sperimentazioni per la televisione e da numerosi progetti incompiuti, ma anche da una condizione esistenziale sofferta che lo spinge all’isolamento. Eustache si suicida all’età di quarantadue anni, sparandosi al cuore nel suo appartamento di Parigi.

FILMOGRAFIA

La soirée (cm, 1963), Les mauvaises fréquentations (mm, 1963-1964), Le Père Noël a les yeux bleus (mm, 1965-1966), La Rosière de Pessac (I) (doc., 1968), Le dernier des hommes: postface (cm, doc., tv, 1968), La petite marchande d’allumettes: postface (cm, doc., tv, 1969), Le cochon (coregia/codirector Jean-Michel Barjon, mm, doc., 1970), Numéro zero (doc., 1971), La maman et la putain (id., 1972-1973), Mes petites amoureuses (1974), Une sale histoire (mm, 1977), La Rosière de Pessac (II) (doc., tv, 1979), Le jardin des délices de Jérome Bosch (mm, doc., tv, 1979), Les photos d’Alix (cm, doc., 1980), Offre d’emploi (cm, tv, 1980).

Cast

& Credits

Regia, sceneggiatura e dialoghi: Jean Eustache.
Fotografia: Pierre Lhomme, Jacques Renard, Michel Cenet.
Costumi: Catherine.
Montaggio: Jean Eustache, Denise de Casabianca.
Interpreti e personaggi: Jean-Pierre Léaud (Alexandre), Françoise Lebrun (Véronika Osterwald), Bernadette Lafont (Marie), Isabelle Weingarten (Gilberte), Jean Eustache (marito di Gilberte), Jacques Renard, Pierre Cottrell, Bernard Eisenschitz, Jean Douchet, Noël Simsolo, Jean-Noël Picq, Jessa Darrieux.
Produzione: Elite Films.
Distribuzione: Gala.
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