Nazione: Francia
Anno: 1954
Durata: 75'


Un uomo e una donna che tornano al loro borgo di pescatori, accanto a Sète, chiamato Pointe Courte, sono sul punto di separarsi. Entrambi compiono un esame dei propri sentimenti, alla ricerca di se stessi e della propria verit`. Intanto, accanto a loro, il villaggio continua a vivere la sua vita: un bambino muore, una coppia si sposa, si fanno gare sui canali. Alla fine di questa pensierosa ricerca, la coppia si trover` nuovamente unita.

A. Bazin


Torniamo alla costruzione del film. Avevo la sensazione che lo spettatore dovesse restarne fuori, una sensazione di distanza. Il film è fatto a brani di dieci minuti, di modo che appena uno s'interessa a un soggetto, ne deve uscire. È il principio della presa di distanza. Volevo fare un film cui non ci si identificasse, in cui si giudicasse, un film freddo. Quest'impressione, tra l'altro, è prodotta dal fatto che le sequenze coppia-paese sono raccordate in un modo che sconcerta.
La coppia della Pointe Courte è giustapposta a un paese che cerca di costituirsi in sindacato, di organizzarsi. Gli è contrapposta. C'è la verit` d'una coppia che si cerea, e una verit` sociale che è quella d'un paese che s'organizza. Allora pensavo, e lo penso tuttora, che è praticamente impossibile integrare i due problemi. Quando una coppia ha risolto il suo problema di coppia, può integrarsi a una societ`. Quando esiste un problema sociale, annulla il problema di coppia.

A. Varda
("Cinéma", n. 60, 1961)


Oggi ci si rende conto che Agnès Varda ha innovato in tutto. Fin nel modo di produrre il suo primo film. Ciò che J.-D. Pollet è appena riuscito a fare con Ligne de mire, Agnès Varda l'aveva gi` tentato. Girava senza autorizzazione, con una équipe ridotta al minimo indispensabile. Il suo film non costò dodici milioni dell'epoca. Ma affrontare con tanta temerariet` i tabù, allora inviolabili, della professione, le valse le peggiori difficolt`. Il suo film non fu autorizzato a passare nel circuito commerciale. Le fu rifiutato l'accesso alla legge di sostegno al cinema. Fu costretta a rimontare in tutta fretta un cortometraggio per ottenere il premio di qualit` e recuperare così qualche soldo.
Ma è soprattutto sul piano estetico e della ricerca che il suo film s'è rivelato rivoluzionario. Non è invecchiato d'una ruga; sembra realizzato l'anno scorso. Il buffo è che all'epoca - il film uscì a Parigi grazie al coraggio di Studio-Parnasse - certi critici lo paragonarono, per condannarlo meglio, a Mauvaises rencontres, simbolo allora del giovane cinema. Ebbene, col passare del tempo s'è prodotto forse il contrario: se uno dei due film sente gli anni, è quello di Astruc.
La Pointe Courte, dal nome d'un misero suburbio attaccato alla citt` di Sète, mescola due storie e due momenti differenti. Da una parte una giovane coppia di coniugi sul punto di separarsi, che cerca di ritrovare il proprio equilibrio e il proprio amore; dall'altra la gente del posto, la sua vita e la sua lotta con l'ufficio sanitario che le vieta la pesca dei molluschi nel suo stagno inquinato. Con un gioco di alternanze si passa costantemente dal collettivo all'individuale, dal sociale allo psicologico, come in "Palmes sauvages" di Faulkner. Questo gioco Agnès Varda l'ha voluto per permettere una costante presa di distanza di fronte a questi due mondi diversi l'uno dall'altro che camminano fianco a fianco senza mescolarsi. Ma poco a poco, per una sorta di osmosi, Sylvia Monfort, la parigina, l'intellettuale che cerca solo l'amore ideale, si umanizza, diviene sensibile agli esseri e alle cose, si materializza. Come ha detto Agnès Varda: "nel mio film la materia vince".
Qui sta la spiegazione della ricerca fotografica di questo film. Il mestiere di Agnès Varda, non dimentichiamolo, è la fotografia, e come fotografa è ufficialmente legata al T.N.P. Qui ha cercato di mettere in rilievo ciò che chiama "il rovesciamento del mondo degli oggetti". Il medesimo oggetto - reti da pesca, barche, paioli - viene presentato nello stesso tempo come utilitario e come contesto poetico. Più esattamente diviene linguaggio, non per simbolismo né allegoria (non è depositario d'un senso voluto dall'autore), ma perché i nostri eroi innamorati sentono gli oggetti come parole visive, che esprimono meglio delle parole dette i loro veri sentimenti.
Ecco perché questo film adopera due linguaggi, due discorsi completamente opposti, che all'epoca erano sembrati una fantasia da esteta. Da una parte quello semplice, primario, funzionale degli abitanti della Pointe Courte; dall'altra quello estremamente letterario e ricercato, espresso nel tono del recitativo, dei nostri innamorati. Ma, come dice uno degli abitanti del posto parlando di loro: "Parlano troppo, non s'amano abbastanza". Il linguaggio grezzo, anche qui, l'ha vinta, perché le emozioni autentiche, come quel lamento della madre davanti al figlio morto, non hanno bisogno del testo per esprimersi.
A questo va ricondotto anche il diverso modo di porsi dei personaggi. Alla naturalezza riservata ed espansiva insieme della gente del posto si contrappone la ieraticit` dei due attori (Sylvia Monfort e Philippe Noiret): una ieraticit` vicina a quella di Piero della Francesca (Agnès Varda, ex allieva della scuola del Louvre, è appassionata di questo pittore e delle ricerche estetiche del Quattrocento). Alla fine del film, distesi fianco a fianco sul loro letto, i nostri eroi sembrano dei giganti, sono divenuti pietre. La materia ha vinto.

J. Douchet
("Arts", n. 726, 1959)


A due passi dal metrò Vavin e dal "Dôme", quasi impossibile da scovare alla prima spedizione ma familiare a tutti i cinefili, lo Studio Parnasse è da otto anni la sala parigina meglio "programmata", quella dove si possono vedere più capolavori in un anno.
Eccezionalmente, messi da parte i "classici", lo Studio Parnasse si trasforma per due settimane in sala di prima visione, a beneficio, è vero, d'un film che non resterebbe in cartellone tre giorni, in un cinema degli Champs Elysées o dei boulevard.
Saggio cinematografico, opera sperimentale ambiziosa, onesta e intelligente, La Pointe Courte, primo film realizzato da Agnès Varda, fotografa del Théatre National Populaire, è assolutamente al suo posto sullo schermo dello Studio Parnasse.
Si tratta, secondo la pubblicit`, (per una volta "sincrona" con l'opera vantata), d'un "saggio di film da leggere", fatto di due cronache, quella di una coppia dopo quattro anni di matrimonio, e quella d'un paese di pescatori (La Pointe Courte, vicino a Sète)… Questo film non vuole né far provare né provare niente. Racconta lentamente, al ritmo del tempo che passa, che usa e trasforma, al ritmo del tempo inesorabile, e alla luce lucida d'un costante bel tempo.
Dietro la semplicit` sospetta del discorso si celano, l'avrete indovinato, non poche intenzioni segrete, inconfessate perché poco formulabili, e di cui si può temere che non abbiano che un rapporto alquanto lontano con la regia e la direzione degli attori.
Dal fatto che la protagonista di questo film non si trovi in contatto che col ferro, e il suo partner col legno, deriva, sembra, un intenso minuto di "crisi" quando a un certo momento la sega attacca un pezzo di legno! Ecco il genere di idee - questa non l'avrei di certo trovata da solo! - che ingioiellano La Pointe Courte mentre sfilano immagini un po' troppo "inquadrate" e si scambiano battute da teatro di Maurice Clavel.
Difficile dare un giudizio su un film in cui s'intrecciano, secondo leggi a noi poco note, il vero e il falso, il vero falso e il falso vero.
Sylvia Monfort e Philippe Noiret, coricati fianco a fianco, considerano la lampadina che illumina la camera:
Lei: È l'acqua del canale sul soffitto?
Lui: Sì, perché la luna è nell'acqua del canale!
Secondo che si giudichino queste battute sottili o grottesche, poetiche o pretenziose, bisogna andare a vedere La Pointe Courte o astenersene. Da parte mia, penso che siano tutto questo insieme, buone e cattive, d'un realismo, d'una "giustezza" un po'faticosa; si pensa: "È quel muscolo che lavora". (…)
Questo film, del quale in definitiva non ho compreso granché di più dei miei colleghi elogianti o meno, presenta il grave inconveniente Tessere diretto fiaccamente. Non parlo della tecnica, che per un primo film stupirebbe piuttosto per la sua padronanza, ma della direzione degli attori che manca totalmente di saldezza. La recitazione di Sylvia Monfort e Philippe Noiret (la cui somiglianza con Agnès Varda non è forse accidentale) resta incerta; i gesti, gli atteggiamenti, gli sguardi, le intonazioni restano intenzionali, teorici, in mancanza d'una maggiore precisione.
Nel concludere questa recensione insolita d'un film che non lo è meno, mi accorgo di aver parlato del contenente piuttosto che del contenuto: era il modo più sicuro per non scrivere le balordaggini che la molto cerebrale regista attende e più fermo.
Mi viene d'un tratto il timore di non aver saputo invogliare a vedere questo film, e sarebbe un peccato. Ogni sera, al termine della proiezione, il direttore del Parnasse, J.-L. Chéray, anima un dibattito nel corso del quale La Pointe Courte viene spuntata o appuntita dagli spettatori soddisfatti o scontenti.

F. Truffaut
(Mes copains de la Nouvelle Vague, Flammarion, Paris 1975)

Biografia

regista

Agnès Varda

FILMOGRAFIA

LA POINTE COURTE (1954-55)

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Agnès Varda.
Fotografia: Louis Stein, Paul Soulignac, Louis Soulanes, Bernard Crasberg.
Montaggio: Alain Resnais, Anne Sarraute.
Musica: Pierre Barbaud.
Consigli tecnici: Carlos Vilardebo.
Interpreti: Sylvia Monfort, Philippe Noiret.
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