2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Le petit soldat

The Little Soldier
di Jean-Luc Godard
Nazione: Francia
Anno: 1960
Durata: 88'


Ginevra durante la rivoluzione algerina: Bruno, disertore dell'esercito francese, si guadagna da vivere come reporter per un'agenzia di stampa, ed è legato a Jacques e Paul, terroristi francesi che lavorano contro i ribelli algerini. È sospettato di fare il doppio gioco e riceve l'ordine di uccidere Palivoda, un commentatore della radio svizzera che ha trasmesso a sostegno dei ribelli. Bruno rifiuta, un po' perché vuole affermare la propria libert`, un po' perché si è appena innamorato di una ragazza che si chiama Veronica. I terroristi francesi si servono della sua posizione delicata come disertore per cercare di forzargli la mano. Lui decide di scappare in Brasile con Veronica che ha lavorato per il gruppo algerino e vuole andarsene anche lei. Cade però nelle mani dei terroristi algerini che lo torturano per fargli tradire i suoi "amici". Bruno resiste e riesce a fuggire. Accetta quindi di uccidere Palivoda in cambio dei passaporti per sé e per Veronica, ma Jacques lo inganna, e gli comunica che la tiene in ostaggio. Bruno allora uccide Palivoda, solo per sapere che Veronica è stata torturata per farla parlare sugli algerini, ed è morta.

T.M.
("Monthly Film Bulletin", n. 355, 1963)



Che cosa l'ha portato a fare Le petit soldat?
Volevo ottenere il realismo che mancava ad A bout de souffle, la concretezza. Il film parte da una vecchia idea: volevo parlare del lavaggio del cervello.
(…) Gli avvenimenti d'Algeria mi hanno convinto a sostituire il lavaggio del cervello con la tortura, che era diventata l'argomento del giorno. Il mio prigioniero è qualcuno a cui vien chiesto di fare qualcosa che non ha voglia di fare. Non ha voglia, tutto qui, e si ostina, per una questione di principio. È la libert` come la vedo io: da un punto di vista pratico. Essere libero è poter fare ciò che si vuole quando si vuole. Il film vuol essere una testimonianza sul periodo in cui è stato realizzato. Vi si parla di politica, ma il film non è orientato in una direzione politica determinata. La mia maniera d'essere impegnato è stata di dirmi: si rimprovera alla Nouvelle Vague di mostrare solo gente a letto; voglio mostrare adesso gente che fa della politica e che non ha il tempo di andare a letto. La politica in quel momento era l'Algeria. Ma dovevo mostrarla sotto l'aspetto in cui la conoscevo e nella maniera in cui la sentivo. Non ha tempo di andare a letto. La politica in quel momento era l'Algeria. Ma dovevo mostrarla sotto l'aspetto in cui la conoscevo e nella maniera in cui la sentivo.
(…) Io ho parlato delle cose che mi riguardavano in quanto parigino del 1960, non incorporato in un partito. Mi riguardava il problema della guerra e delle sue ripercussioni morali. Ho dunque mostrato uno che si pone una gran quantit` di problemi; non sa risolverli, ma il fatto di porseli, sia pure confusamente, significa giè tentare di risolverli. È forse meglio porsi dapprima le domande piuttosto che rifiutare di porsele o credersi capaci di risolvere qualsiasi cosa.

J.-L. Godard
(Il cinema è il cinema, Garzanti, Milano 1981)


Le petit soldat, oltre un'intensa eccitazione e un pari arricchimento della sensibilit` come dello spirito, ci offre niente di meno che una nuova definizione della Regia: un nuovo ordine del cinema. È ciò che tenterò di dimostrare qui, mentre il film ce lo dimostra del tutto naturalmente per conto suo, quando vogliamo, altrettanto naturalmente, vederlo meglio.
Certo, anche a chi sa vedere, e vuole darsi la pena di andare a cercare in se stesso le domande alle risposte offerte sia dal film che dalla vita, Le petit soldat pare film estremo. Perché sembra fatto di contrari e di briciole, sembra organizzarsi più sul filo della casualit` che sulla logica d'una struttura, si può crederlo a prima vista ai limiti del possibile, mentre in realt` ci spinge ai limiti del pensabile. Ciò che sconcerta, la trappola che il film non cessa di tendere, è la continua inversione dei rapporti, lo scambio e l'unione che realizza tra contrari che, frettolosamente, si credono inconciliabili. Qui infatti la povert` nasce dall'abbondanza di ricchezze e il rigore dal loro disordine; l'unit` si instaura nella diversit`, la continuit` nella frammentazione e la polifonia nella monotonia; qui, lungi dal cinema specchio della vita o dalla vita prova della verit` e del valore del cinema, è il cinema che prova la verit` della vita; il film, infine, è un perpetuo ritorno a sé e contro di sé, e tante apparenze contraddittorie armano agevolmente la più facile critica mentre, nello stesso tempo, portano il pensiero ai suoi estremi.
Voglio dire che quando il pensiero dello spettatore si accontenta di rifiutare in blocco tutte queste opposizioni, queste inversioni di valori, di termini e nozioni, insomma questo cinema "a rovescio", e' che si confessa superato suo malgrado, e costretto infine a riconoscere di non poter concepire nello stesso tempo una cosa e il suo contrario, l'ordine e insieme il disordine, il chiaro e il confuso, l'arte e la politica, l'interno e l'esterno. Tutte cose che il film instancabilmente unisce e lo spettatore, altrettanto instancabilmente, distingue e contrappone. Ecco il limite del pensabile di cui parlavo; e subito appare una dimensione nuova del Petit soldat: per una volta (senza dubbio la prima volta nel cinema) la messa in scena, invece di fare il film in accordo con un pensiero, fa il film contro ogni possibilit` di pensiero (o di film).
In altri termini sembra che, in un primo tempo, la messa in scena s'ingegni, facendo un film che fonde così tutti i contrari, a tendere una trappola al pensiero dello spettatore.
(…) Voglio dire che, a questo livello superiore, la messa in scena, non contenta di mostrare gli esseri e le cose e i loro rapporti (che è con ogni evidenza la condizione prima del cinema), arriva fino a presentare, nello stesso tempo di ciò che mostra, e nel suo modo di mostrarlo, tutto ciò che non mostra, tutto ciò che non mette direttamente in scena, ma che evoca, suscita e chiama con la forza di coesione e la virtù di risonanza che ha saputo conferire a ciò che filma. Questa risonanza è la stessa che collega tra loro le parti della vita e le fonde in un tutto. La vita è un tutto, in cui tutto si tiene, e le cose esistono solo nelle loro relazioni, tra di loro o con noi. La vita dello spirito e la vita in se stessa sono in perpetuo scambio. Quando una messa in scena è abbastanza forte e abbastanza pura per essere in questo scambio costante con la vita, non può, filmando un elemento o un'azione, giungere a isolarle dal loro contesto. Se il cinema è veramente in accordo con la vita, non può spezzare quest'ordine di ripercussioni, questo tutto dato nella parte.
Reciprocamente (c sta qui la chiave del cinema che annunciavo, e che permette di distinguere tra un buon film e un grande film, un'opera d'arte), una messa in scena come quella del Petit soldat, che sa filmare i rapporti più sottili tra gli esseri come quelli più forti, non può, in virtù di questo, che dare a ciò che filma una vita totale. Se una tale messa in scena può filmare una parte della vita o un aspetto dell'uomo con tanta forza da presentare tutte le parti della vita o tutti gli aspetti dell'uomo insieme alla parte filmata, fa del grande cinema. Presentando un essere propone (senza manifestarlo direttamente, senza metterlo in scena) tutto il contesto dell'essere filmato, l'universo che gravita attorno a lui e in scena) tutto il contesto dell'essere filmato, l'universo che gravita attorno a lui e in lui, tutta la dimensione della sua esistenza. Presentando una parte, fa dell'assenza di ciò che non mostra una presenza supplementare, un'aureola che viene ad arricchire l'oggetto filmato. Questo nesso tra la parte filmata e il tutto della vita è il segno del grande cinema come dell'arte phipura. (…) Così, nel Petit soldat, da una parte Godard, riunendo una cosa e il suo contrario dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la vita è più ricca del pensiero, come il cinema lo è più del linguaggio. (Ben pochi poeti sono infatti approdati a quel punto di creazione in cui dire una cosa chiama tutte le altre e non dirne una le risveglia allo stesso modo tutte). Dall'altra parte, braccandosi lui stesso, non cessando mai di imprigionarsi in una rete di citazioni e riferimenti, sforzandosi di rendersi estraneo a se stesso per poter infine mettersi in scena,giungenello stesso momento e nello stesso sforzo a mettere in scena altro da sé: Subor, una citt` (ne ho raramente viste, al cinema o altrove, così presenti da tutti i lati), la morte, la vita, l'amore, tutte cose certamente non esterne a Godard, ma che appaiono oltre il suo discorso su se stesso, come un contesto inseparabile, una dimensione attaccata a lui e che si manifesta insieme a lui quando si filma.
Questo per la "chiave". Senza dubbio, come quella di Alice, non è facile da maneggiare, ma permette di andare dietro lo specchio, e la sua trappola per riconoscere finalmente che quando un cineasta, Godard, filma una cosa e mostra nello stesso tempo tutto ciò che la completa e integra nella vita, fa del "vero" cinema.
Quanti registi sudano per dar vita a ciò che filmano c, se vi riescono, non danno niente di più di quel frammento di vita che hanno tagliato dal resto e ridotto a se stesso, come un simulacro della vita; altri, Mizoguchi, Lang o Rossellini, e perché non Godard, danno al cinema un nuovo ordine, quello dell'inesprimibile e, filmando un sorriso, filmano la tristezzao, come dice Ray in Il temerario, una donna seduta su uno sgabello e un uomo che taglia dei pompelmi: la più bella scena d'amore.

Jean Louis Comolli
("Cahiers du Cinéma", n. 141, 1963)

Biografia

regista

Jean-Luc Godard

Jean-Luc Godard (Parigi, 1930) è tra i protagonisti assoluti della nouvelle vague, prima come critico militante dei «Cahiers du Cinéma» negli anni ’50, poi come regista fin dall’esordio con Fino all’ultimo respiro (1960). Godard si è imposto in quasi 50 anni di carriera come uno dei più radicali e rigorosi innovatori del linguaggio cinematografico. 

FILMOGRAFIA

À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro, 1960), Une Femme est une femme (La donna è donna, 1961), Vivre sa vie (Questa è la mia vita, 1962), Le Mépris (Il disprezzo, 1963), Une Femme mariée (Una donna sposata, 1964), Pierrot le fou (Il bandito delle undici, 1965), Made in USA (Una storia americana, 1966), La Chinoise (La cinese, 1967), Lotte in Italia (1971), Tout va bien (Crepa padrone, tutto va bene, 1972), Numéro deux (1975), Ici et ailleurs (1976), Comment ça va? (1978), Sauve qui peut (la vie) (Si salvi chi può-La vita, 1980), Passion (id., 1982), Prénom Carmen (id., 1983), Je vous salue, Marie (id., 1985), Soigne ta droite (Cura la tua destra, 1987), Histoire(s) du cinéma (TV, 1989-1998), Nouvelle vague (id., 1990), Hélas pour moi (1993), For Ever Mozart (1996), Éloge de l’amour (2001), Notre Musique (2004), Prières pour Refusniks I-II (2004) , Film socialisme (2010), Adieu au langage (Addio al linguaggio, 2014).

Cast

& Credits

Regia, soggetto e sceneggiatura: Jean-Lue Godard.
Aiutoregia: Francis Cognany.
Fotografia: Raoul Coutard.
Montaggio: Agnès Guillemot, Nadine Marquand, Lila Herman.
Musica: Maurice Leroux.
Suono: Jacques Maumont.
Interpreti e personaggi: Michel Subor (Bruno Forestier), Anna Karina (Veronica Dreyer), Henry-Jacques Huet (Jacques), Paul Beauvais (Paul), Laszlo Szabo (Laszlo), Georges de Beauregard (deputato poujadista), Jean-Luc Godard (uomo alla stazione), Gilbert Edard.
Produzione: Georges de Beauregard per la Société Nouvelle de Cinéma, Parigi.
Distribuzione italiana: Panta.
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