2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Le testament d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!

The Testament of Orpheus or Don't Ask Me Why
di Jean Cocteau
Nazione: Francia
Anno: 1959
Durata: 83'


Un poeta fa un viaggio nel tempo, ma si sperde e non riesce a rientrare nella propria epoca; durante la ricerca di un saggio che lo aiuti va avanti e indietro nel tempo e incontra personaggi mitici e storici. Infine, trovato il saggio, ritorna alle difficolt` della vita contemporanea.

("Nuovo Spettatore ", n. 25, 1961)


A poco a poco, constatando che Le sang d'un poète, film girato per pochi amici intimi, si proiettava da trentanni intutte le capitali del mondo e singolarmente a New York dove dura da diciannove anni nello stesso cinema, stabilendo la più lunga "esclusiva" conosciuta, pensai che sarebbe stato curioso chiudere il mio ciclo e terminare la mia carriera di regista con un film analogo al Sang d'un poète e che mi obbligasse a saltare ostacoli diversi da quelli di un tempo.
Un film libero, senza che alcuna condizione commerciale intervenisse, e destinato all'innumerevole pubblico dei giovani formati dalle cineteche di tutto il mondo, e al quale non si serve mai lo spettacolo di cui ha fame e sete.
Inoltre, io ritengo che uno dei grandi errori della cinematografia derivi dal fatto che non si prendono mai in considerazione modi diversi di lanciare un film, obbligando i giovani a fare opere da vecchi e a legarsi alle vecchie abitudini, in mancanza di che il loro film resterebbe chiuso in una scatola senza poterne uscire.
Forse era indispensabile che un uomo anziano - cioè più libero di un giovane di essere giovane - aprisse una porta chiusa e si ponesse alla testa di un corteo che non chiede altro che di mettersi in marcia.
Quando ho detto alla televisione e alla radio che il mio film Il testamento di Orfeo "non avrebbe avuto né capo né coda, ma un'anima", io scherzavo senza scherzare. Perché, in effetti, io mi meraviglio - in un'epoca in cui i pittori hanno sacrificato il soggetto all'arte di dipingere e annullato il modello o pretesto per dipingere - che i registi, assillati dai produttori che credono di conoscere il pubblico e sono rimasti al bambino che vuole che gli si racconti una storia, esigano un "soggetto" e un pretesto mentre il modo di dire, di mostrare le cose, e di ammobiliare lo schermo è mille volte più importante di quello che vi si racconta (…)
Il testamento di Orfeo: questo titolo non ha alcun rapporto diretto con il mio film. Significava che io lascio in testamento quest'ultima poesia visuale a tutti i giovani che mi hanno dato fiducia nonostante l'incomprensione totale di cui mi circondano i miei contemporanei.
Sottolineo che questo film è il contrario del film "artistico" e intellettuale (…).
In Il testamento di Orfeo, gli avvenimenti si susseguono come nel sonno, nel quale le nostre abitudini non controllano più le forze che ci abitano e questa logica dell'inconscio, estranea alla ragione. Un sogno è rigorosamente folle, rigorosamente assurdo, rigorosamente magnifico, rigorosamente atroce. Ma mai una parte di noi lo giudica. Noi lo subiamo senza mettere in moto l'abominevole tribunale umano che si permette di condannare o di assolvere. È del resto probabile che l'intreccio del mio film sia fatto di segni e di significati. Solo che io lo ignoro, e lo posso ammettere solo sotto forma di una macchina per fabbricare significati. Aggiungo che i segni e i significati che il pubblico vi scoprir` devono senza dubbio possedere una base in cui l'io profondo, che trascende il mio io superficiale, si pone in risalto (…).
È fuor di dubbio che la maggior parte degli spettatori del mio film diranno che si tratta di una sciocchezza e che non ci si capisce nulla. Non avrebbero affatto torto, perché mi capita di non capirci niente io stesso e di essere sul punto di abbandonare la partita e di presentare le mie scuse a coloro che mi hanno creduto. Ma avendo appreso dall'esperienza che non bisogna per nessun pretesto rinunciare a quelle cose che ebbero un senso e che sembrano perderlo, cerco di vincere la mia debolezza e di impormi la fiducia in me stesso che provo di fronte agli altri, se li ammiro e se li rispetto. In breve, do fiducia a questo altro, a questo straniero che noi diventiamo pochi minuti dopo aver creato un'opera.
La vita vuol "dire qualcosa"? Me lo chiedo, e capita spesso che l'arte consista nel cercare di fabbricarle un significato fittizio e di amputarla di quel fascino, di quella misteriosa "parte di Dio" di cui parla Gide e che, in lui, potrebbe spesso chiamarsi "parte del diavolo".
La prima domanda che mi pongono i giornalisti è la famosa domanda francese:
"Qual è la trama?". E se rispondo con franchezza: "Non ce n'è", mi guardano col timore che si prova di fronte ai pazzi. E questo è esatto. Non ce n'è. Approfitto del realismo di luoghi, di persone, di gesti, di parole, della musica, per procurare all'astrazione del pensiero uno stampo - e, direi, per costruire un castello senza il quale riesce difficile immaginare un fantasma. Se il castello fosse esso stesso fantasma, il fantasma vi perderebbe il proprio potere di apparire e di spaventare. Dunque, insisto ancora, un film astratto non potrebbe essere un film analogo alla pittura cosiddetta astratta, accontentandosi di imitare ingenuamente le macchie e gli equilibri dei pittori. Un film astratto deve dar corpo non a un pensiero ma al pensiero, a questa forza sconosciuta che regna senza altro privilegio che quello di essere una forza pifi forte delle altre e più rapida della velocit`. La forza e la velocit` in sé.

J. Cocteau
(Tel Cinéma, Edizioni il Formichiere, Milano 1979)


Manca a questo testamento la solitudine. È questo il primo rimprovero che possiamo fare a questo film volta a volta pesante e vano, fastidioso e superficiale come una sciarada. È un film che non mantiene le sue promesse.
Il testamento è l'ora della verit`, è l'ultima opera ma è qualcosa di diverso da un'opera, è il momento in cui si getta "la maschera e il pugnale", il momento della scarnezza e dell'essenzialit`. Ma Cocteau non ha gettato niente: guardate le sue mani, la toro continua agitazione smentisce la seriet` della voce. Durante tutto il film si aspetta il minuto della verit` che alla fine ce la riveli. Si pensa di arrivarci, quando Dermit risponde ai suoi giudici, quando Cocteau recita la propria morte, e incontra il suo doppio: ma sparisce immediatamente. Sotto la parrucca del Barone Fantasma, la toga di Oxford, gli occhi spenti di Dalí, Cocteau rimane un Fregoli. "La difficolt` d'essere", diceva Fontanelle; si potrebbe dire in questo caso "la difficolt` di essere se stessi". Questa impotenza a essere semplice, a essere serio, a essere vero, ha qualcosa di sorprendente, e insieme di commovente. Il vecchio mago è prigioniero delle sue magie: i suoi giochi, le sue maschere, e le sue finzioni gli si appiccicano al viso, s'attaccano a lui come i nastri che escono dalla sua macchina per gli autografi.

R. Cortade
("Arts", 1 marzo 1960)



Le testament d'Orphée è un film di poeta, vale a dire che è indispensabile, anche se non so a che cosa. Ma invece si: indispensabile al nostro, cinema francese, che non manca in questo momento di uomini di talento, ma di quella sorta di difetto, o di mancanza, che è appunto la poesia. Cos'è la poesia? Ciò che non passa di moda, M che non è legato a una moda né a uno stile, ma ad una povert` volta in ricchezza, a uno zoppicare che si fa danza, insomma, una felice indigenza. Il poeta, prima di tutto, deve reinventare la semplicit`, il realismo, e Cocteau reinventa il documentario, come Franju, sul cammino di Fritz Lang, il piano fisso.
Riprese a rovescio, rallentatore, apparizioni e scomparse a giro di manovella, tutti alla ripresa diretta che sola permette tali esercizi e non si lascia mai dimenticare. Così nasce l'arte di inventare delle immagini durature.
In un celebre paragrafo dell'Essai de critique indirecte, Cocteau opponeva una volta il pittore-poeta al poeta- pittore, Picasso e De Chirico. Cineasta-poeta dopo L'aigle ` deux tête, l'eleganza lo obbliga, per il suo testamento, a rifarsi infine al poeta-cineasta del Sang d'un poète, preoccupato, di dipingere senza riuscirvi, delle rose che non siano il suo ritratto: ma sempre quest'Orfeo, sempre quest'Edipo, dalla lavagna nera o dalla tela bianca, tornano a sfidare, insolenti, un falso cieco dalle palpebre dipinte, fratello di quella maschera dagli occhi vivi che Franju ha appena lasciato libera in mezzo a noi.
L'artista inquieta e riconcilia nel medesimo movimento. A voi la libert` di prendere per gioco un trattato di morale poetica ' cioè la descrizione analitica e metodica delle prove, tentazioni e ricorsi che compongono l'esistenza del poeta, e come la parola mortificazione debba sempre essere presa da lui nel senso più stretto. Questo sforzo disperato degli uomini per dare un senso all'assurdo, che è l'arte, trapassa da parte a parte l'opera d'un Ray, d'un Mizoguchi. Cocteau, Franju vogliono mettere l'assurdo con le spalle al muro, ma per ritrovare dietro di esso l'uomo. "Prendete questo fiore… Ma questo fiore è morto", uno strano giocare al "mondo" saltando su un piede solo, ma che ci fa bruscamente saltare a piè pari: "Non si resuscita sempre ciò che si ama", al centro del bersaglio. Infatti questo film è bello, infine, perché il film d'un uomo che sa che sta per morire e non riesce, per quanto to desideri, a non prendere la morte sul serio. l'assurdo e la grazia sono la testa e la croce d'una stessa moneta, che il poeta lancia nella sua notte e che ricade nelle nostre tenebre.

Jacques Rivette
("Cahiers du Cinéma", n. 106, 1960)

Biografia

regista

Jean Cocteau

Jean Cocteau (Maisons-Lafitte, Francia, 1889-Milly-la-Forêt, Francia, 1963), poeta, pittore, romanziere, drammaturgo, attore, sceneggiatore e regista, è una delle figure più versatili e prestigiose della cultura francese del Novecento, legata soprattutto all’esperienza delle avanguardie storiche di cui ha fatto parte (surrealismo e dadaismo in primis). Oltre a La bella e la bestia, come regista cinematografico ha diretto fra gli altri L’aquila a due teste (1948), I parenti terribili (1948) e Orfeo (1950). Amato dalla nouvelle vague, che vedeva in lui un precursore, Cocteau va inoltre ricordato per l’opera teatrale La voce umana e per il romanzo I ragazzi terribili, portati sul grande schermo rispettivamente da Rossellini nel 1948 e da Melville nel 1950.

FILMOGRAFIA

Jean Cocteau fait du cinéma (1925), Le sang d’un poète (mm, 1933), La belle et la bête (La bella e la bestia, 1946), L’aigle à deux têtes (L’aquila a due teste, 1948), Les parents terribles (I parenti terribili, 1948), Orphée (Orfeo, 1950), Coriolan (1950), La villa Santo Sospir (cm, 1952), 8 X 8: A Chess Sonata in 8 Movements (1957), Le testament d’Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi! (1960), Jean Cocteau s’adresse... à l’an 2000 (cm, doc., 1962).

Cast

& Credits

Regia, sceneggiatura e dialoghi: Jean Cocteau.
Fotografia: Roland Pontoizeau.
Scenografia: Pierre Guffroy.
Montaggio: Marie-Josèphe Yoyotte.
Musica: Georges Auric su brani di Martial Solal, Glück, Johann-Sebastian Bach, Richard Wagner.
Interpreti e personaggi: Jean Cocteau (il poeta), Edouard Dermit (Cegeste), Henri Cremieux (lo scienziato), Maria Casarès (la principessa), François Périer (Heurtebise), Yul Brinner (l'uomo porta), Jean-Pierre Leaud (il bambino), Daniel Gélin (l'assistente), Jean Marais (Edipo), Claudine Auger (Minerva), Georges Chretelain, Michéle Lemoigne (gli amanti), Nicole Courcel, Jacqueline Roque, Charles Aznavour, Françoise Cristophe, Lucia Bosé, Henri Torrès, Pablo Picasso, Luis-Miguel Dominguin, Serge Lifar, sig.ra Weisweiler.
Produzione: Jean Thuillier per le Editions Cinématographiques.
Distribuzione: Cinédis.
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