Nazione: Francia
Anno: 1960
Durata: 105'


Ognuna delle quattro protagoniste, costretta a un lavoro ripetitivo e monotono, cerca di compensare la progressiva sottrazione di umanit` che subisce rifugiandosi o nel sogno o nella speranza o nel piacere fisico. Ginette aspira a diventare una vedette dello spettacolo e ogni sera, di nascosto dalle compagne, canta in un musichall; Rita mira ad una sistemazione decorosa sposando il figlio di un salumiere arricchito; Jane, pur fidanzata a un soldato, non rifiuta la corte degli occasionali ammiratori e si illude di colmare il vuoto della sua esistenza con la frequenza degli incontri erotici (troppe delusioni l'hanno vaccinata contro il mito del grande amore); Jacqueline insegue, invece, l'amore totale e definitivo, e crede di ravvisarlo nel misterioso motociclista che la pedina ovunque senza decidersi a presentarsi. Tocca proprio a Jacqueline, la più idealista del gruppo, subire le conseguenze dell'irrealismo che la accomuna alle altre. Invitata, finalmente, dal motociclista a una gita fuori citt`, gli si abbandona felice. E l'uomo la strangola. Le sue compagne continuano a vivere nell'illusione e nel mito. La sequenza finale del film - una quinta ragazza danza sognante tra le braccia di un anonimo cavaliere - suggella il perpetuarsi di una condizione alla quale è impossibile sfuggire.

A. Moscariello
(Claude Chabrol, La Nuova Italia, Firenze 1976)


Dovevo far vedere delle situazioni molto crudeli. Per non cadere nel sentimentalismo e per conservare una visione oggettiva, dovevo costringere me stesso a mantenere una certa distanza. Han pensato che si trattasse di mancanza di sensibilit`, di "fascismo". Non c'è niente di più falso.
D'altra parte, sono rimasto sbalordito dalla puerilit` di alcune critiche che mi hanno fatto. Ci si è stupiti, per esempio, del fatto che non ci fossero clienti nel negozio di casalinghi. Ma era inutile che ce ne fossero, tanto più che alle commesse non gliene importa niente dei clienti, dal momento che non sono mica pagate a percentuale. Ma vi immaginate cinquanta persone che, in fila una dopo l'altra dicono: "Signorina, vorrei un frigorifero"? "Ecco signore. Glielo incarto?…", ecc. Mi sembrano ridicoli quegli spettatori che vanno a verificare che in un film i percorsi siano esatti. I parigini sono pignoli su tutto quel che riguarda Parigi, ma qualcuno è andato a vedere se erano precisi i percorsi di San Francisco, che Hitchcock ha scelto in Vertigo? lo sono per il non-realismo, per il trucco. Bisogna barare, per ottenere l'essenziale. Sia chiaro: il realismo è tutto. Avete notato, poco fa, questo campanello che suona, con insistenza, a intervalli regolari? Ma qui, in questo bar, non è una cosa un po'strana? È questo il fantastico. La tonalit` insolita si ottiene precisamente eliminando i particolari inutili. E dal momento che i clienti di quel negozio non erano importanti nella vita delle commesse, non li ho fatti vedere. Questa loro assenza è parsa poco naturale, e ha creato un certo disagio. Tutto il film è costruito su procedimenti di eliminazione di questo genere. D` l'impressione di essere scucito, mentre invece è molto costruito, ma senza inutili dettagli. Confesso che lo considero la mia opera migliore. La regia è molto più depurata, più sobria di quanto lo fosse nei film precedenti, senza perdere nulla del suo significato - infatti, dico io, se un'inquadratura, un angolo di ripresa, un movimento della macchina da presa devono essere gratuiti e intercambiabili, a che cosa serve il cinema?

C. Chabrol
("Cinéma", n. 64, 1962)


… Considero il film di Chabrol non solo il suo capolavoro, ma anche il vertice di tutto il giovane cinema francese. (…) Può darsi che Chabrol non abbia "niente da dire", ma dopo tutto non è obbligatoriamente sul messaggio che si fonda la vocazione di cineasta, può essere anche sulla semplice e imperiosa necessit` di esercitare uno sguardo. La regia, in Chabrol, non è altro che l'esercizio di questo sguardo. La massima padronanza nient'altro che l'esercizio d'uno sguardo più puro. Tutta la carriera di Chabrol può riassumersi nella storia di questa purificazione, e se Les bonnes femmes è il suo film migliore, è perché è il film del suo sguardo più puro. Questa ascesi della forma si spinge tanto oltre, in questo caso, lo sguardo di Chabrol s'è a tal punto purificato da tutto ciò che era altro da sé che la regia si costituisce in categoria pura, in condizione a priori del mestiere di cineasta. È in questo senso che Les bonnes femmes dev'essere considerato un punto d'arrivo - alto stesso titolo del Déjeuner sur l'herbe. (D'altronde Chabrol non è il cineasta più vicino all'autore del Testament du docteur Cordelier?). Con Les bonnes femmes come con Le déjeuner sur l'herbe il cinema è definitivamente entrato in un'era nuova, l'era del realismo, del sintetismo, dell'oggettivit`, scegliete il termine che preferite, insomma Pera in cui la purezza della regia fonda dialetticamente l'oggettivit` del reale. (…)
Gégauff (l'autore del soggetto, n.d.r.) dispone sotto quel "puro sguardo" che è il cineasta un piccolo mondo che egli ha eletto, il piccolo mondo delle bonnes femmes. Eccolo farlo vivere, animarlo di vita propria, inventargli un destino autonomo. Lì Chabrol punta il suo obiettivo - il suo microscopio? - e osserva questi strani animali: quattro donne in camicetta bianca, che parlano tutte con la voce fiacca di Bernadette Lafont, che vivono la stessa vita fatta degli stessi gesti, attraversata dalle stesse idee fisse. Le esamina con curiosit`; Kast direbbe con l'occhio d'uno zoologo che abbia scoperto una colonia di marziani. Senza simpatia preconcetta, ma senza inimicizia: l'obiettivit` ha questo prezzo. Les bonnes femmes è innanzitutto l'incontro di due pianeti.
Visto così, non dall'alto della sua diffidenza o del suo disprezzo, com'è stato detto, ma a distanza, è chiaro che questo piccolo mondo apparir` privo di significato. Ma attenzione: questo non significa che non avr`, di per se stesso,alcun senso. Significa che lo sguardo del cineasta si vuole puro d'ogni pregiudizio. Lo studio del costume umano non differisce per natura da quello degli animali: è solo l'oggetto che cambia. Da qui le lunghe scene in piscina e soprattutto all'Orto botanico, in cui l'impassibilit` dell'obiettivo giustappone, come un collezionista i suoi francobolli, le voci degli animali e le risa delle donne. Non sono soltanto i gesti infatti, il comportamento delle donne ad apparirci assurdi, è anche il loro linguaggio, di cui cogliamo le caratteristiche formali prima dei significati. Il linguaggio stesso è oggettivato, diciamo meglio reificato.
Il cinema non ci aveva abituati a una simile oggettivit`. Quello a cui eravamo abituati era ad assistere a un film seguendo il concatenarsi dei suoi significati: se un personaggio faceva un certo gesto, ne sapevamo immediatamente il significato (il perché e il percome), se parlava andavamo direttamente al senso delle sue parole. Anche se, come un di più, notavamo il tono di voce, la grazia del gesto. Con Les bonnes femmes veniamo privati di questa confortevole abitudine, di andare dal senso alla forma. Potremmo quasi dire che Les bonnes femmes sia il primo film a non essere per principio un film a tesi.

A. S. Labarthe
("Cahiers du Cinéma", n. 108, 1960)


Cancellando magnificamente la brutta impressione d'un A double tour barocco e deludente, confermando al di l` d'ogni speranza le promesse e le doti de Les cousins, l'autore del Beau Serge ha firmato, all'ombra di Fellini, il suo film più bello, bisognerebbe quasi dire il suo primo film. Lagiovane scuola segna finalmente, senza trucchi e senza chiasso, un punto fermo indiscutibile.
L'ombra di Fellini è ovunque. L'osservazione non manca d'un che di pungente, se si pensa a tutti gli attacchi condotti dagli stessi amici di Claude Chabrol contro il grande italiano, il cui genio domina tuttavia in modo così vistoso e manifesto tutto il cinema contemporaneo. Ora, è lui che ritroviamo da un capo all'altro delle Bonnes femmes. (…)
L'invenzione si dispiega in tutta l'opera, e il moltiplicarsi degli episodi, la distribuzione del racconto, sono ammirevoli. Niente di faticoso in questa creazione. Niente di timido, neppure. È stato d'altronde merito di Chabrol rischiare dall'inizio. Gli altri parlavano soltanto di sé, monologavano per tutto il film. Chabrol aveva il senso del gruppo, esteriorizzava di più, cercava di creare dei conflitti. Soltanto la sua ingenuit` e la sua goffaggine li vuotavano della loro sostanza: un Balzac a fumetti.
Questa zavorra è quasi del tutto scomparsa. La composizione sinfonica delle Bonnes femmes, rifiutando la facilit` degli sketch, giocando felicemente ad annodare la fila dell'intreccio, favorisce, sotto la variet` delle avventure, la potente unit` del significato. La sobriet` dei dialoghi, l'eccellente musica di Misraki, la libert` delle scene e il loro sviluppo, il loro vigore, la loro adeguatezza al quadro parigino, la recitazione straordinaria di attori secondari come Sacha Briquet e Albert Dinan, tutti questi elementi sembrano ordinati da un artista che domina la sua opera e non s'accontenta più di giocare con uno spettatore che e ormai divenuto complice.
Intendiamoci, l'insieme non è senza falle.
Ma il difetto vero del film, è la sua mancanza di unit` formate. Il burlesco, il lirismo, il realismo, non vanno sempre di comune accordo. Ma ci sono, ed è quello che conta. La forza di tante scene satiriche, il lampo delle immagini notturne, sono momenti che non si dimenticano. Non bisogna prendersela con l'autore se ha mirato, questa volta, troppo in alto. Quando le debolezze vengono come qui non da inettitudine o povert`, bensì da una ricchezza e una disinvoltura quasi eccessive, si può ben essere indulgenti. Claude Chabrol ha riportato due vittorie non insignificanti. È il primo, innanzitutto, ad averla fatta finita col dilettantismo, che costituiva l'equivoca attrattiva della sua generazione, fosse il dilettantismo volontario d'un Godard, che lascia una chance all'avvenire, fosse il dilettantismo involontario, semplice confessione di mediocrit`, dei Truffaut, Kast e Doniel-Valcroze. Di più: Chabrol ha introdotto di nuovo in un cinema gi` zeppo di convenzioni esasperanti, contratto, verboso, inumano, il peso della vita reale, e col suo romanticismo gli ha infuso ciò che gli mancava di più: un po'd'anima. Che il pubblico se ne accorga o no, non importa. L'autore ha tutto il tempo. Si può anche sperare che domani fard meglio. Il valore, anche il più reale, attende quasi sempre il passare degli anni.

R. Cortade
("Arts", n. 772, 1960)

Biografia

regista

Claude Chabrol

Claude Chabrol (Parigi, Francia, 1930) trascorre l’infanzia a Sardent nella Creuse e fin da giovanissimo mostra interessi per la letteratura poliziesca e per il cinema, fondando a 13 anni il primo cineclub del paese. Dopo la guerra si trasferisce a Parigi, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere e dove ha modo di coltivare più a fondo la passione per il cinema. Entrato in contatto con i coetanei Truffaut, Godard, Rohmer e Rivette, inizia a lavorare come critico cinematografico per la rivista «Revue du Cinéma» e per i «Cahiers du Cinéma». In veste di critico, Chabrol ha modo di costruirsi una precisa posizione estetica, già con l’idea di diventare egli stesso un regista; fondamentale, a proposito, l’interesse per il cinema di Alfred Hitchcock, al quale dedica, insieme a Rohmer, una celebre monografia nel 1957. Al contrario dei suoi colleghi critici, tutti futuri autori della nouvelle vague, prima di diventare regista Chabrol non lavora come aiuto regista e non realizza cortometraggi, ma esordisce direttamente nel lungometraggio con Le Beau Serge (1959), realizzato grazie a un’inaspettata eredità della moglie. Nell’estate dell’anno successivo gira quindi I cugini, secondo titolo di una ricchissima filmografia che, sviluppandosi al ritmo di quasi un film all’anno, percorrerà 4 decenni e arriverà a comprendere oltre 50 titoli (l’ultimo è La commedia del potere, 2006).

FILMOGRAFIA

Le Beau Serge (id., 1958), Les Cousins (I cugini, 1959), À double tour (A doppia mandata, 1959), Les Bonnes femmes (Le donne facili, 1960), Les Godelureaux (I bellimbusti, 1961), Les Sept péchés capitaux (ep. L’Avarice, I sette peccati capitali, ep. L’avarizia, 1962), L’OEil du malin (1962), Ophélia (id., 1963), Landru (id., 1963), Les Plus belles escroqueries du monde (ep. L’homme qui vendit la Tour Eiffel; Le più belle truffe del mondo, ep. L’uomo che vendette la Torre Eiffel, 1964), Le Tigre aime la chair fraiche (La Tigre ama la carne fresca, 1964), Paris vu par (ep. La Muette, 1965), Marie-Chantal contre docteur Kha (Marie Chantal contro il dr. Kha, 1965), Le Tigre se parfume à la dynamite (La Tigre profumata alla dinamite, 1965), La Ligne de démarcation (1966), Le Scandale (Scandale - Delitti e champagne, 1967), La Route de Corinthe (Criminal Story, 1967), Les Biches (Les Biches - Le cerbiatte, 1968), La Femme infidèle (Stéphane, una moglie infedele, 1969), Que la bête meure (Ucciderò un uomo - Hallucination, 1969), Le Boucher (Il tagliagole, 1969), La Rupture (All’ombra del delitto, 1970), Juste avant la nuit (1971), La Décade prodigieuse (Dieci incredibili giorni, 1971), Docteur Popaul (Trappola per un lupo, 1972), Les Noces rouges (L’amico di famiglia, 1973), Nada (Sterminate «Gruppo Zero», 1974), Nouvelles de Henry James (ep. De Grey; Le Banc de la désolation, TV, 1976), Histoires insolites (ep. Monsieur Bébé; Nul n’est parfait; Une invitation à la chasse; Les Gens de l’été, TV, 1974), Une partie de plaisir (Una gita di piacere, 1975), Les Innocents aux mains sales (Gli innocenti dalle mani sporche, 1975), Les Magiciens (Profezia di un delitto, 1976), Folies bourgeoises (Pazzi borghesi, 1976), Madame le juge (ep. 2+2=4, TV, 1977), Alice ou la dernière fugue (1977), Les Liens du sang (Rosso nel buio, 1978), Violette Nozière (id., 1978), Il était un musicien (ep. Monsieur Liszt; Monsieur Prokofiev; Monsieur Saint- Saëns, TV, 1978), Histoires insolites (La Boucle d’oreille, TV, 1979), Fantômas (ep. L’Echafaud magique; Le Tramway fantôme, TV, 1980), Le Cheval d’orgueil (1980), Le Système du docteur Goudron et du professeur Plume (TV, 1981), Les Affinités électives (TV, 1981), M. le maudit (TV, 1982), La Danse de mort (TV. 1982), Les Fantômes du chapelier (I fantasmi del cappellaio, 1982), Le Sang des autres (Il sangue degli altri, 1984), Poulet au vinaigre (1985), Inspecteur Lavardin (Ispettore Lavardin, 1986), Masques (Volto segreto - Masques, 1986), Le Cri du hibou (Il grido del gufo, 1987), Une affaire de femmes (Un affare di donne, 1988), Les Dossiers secrets de l’inspecteur Lavardin (ep. L’Escargot noir; Maux croisés TV, 1988), Jours tranquilles à Clichy (Giorni felici a Clichy, 1990), Dr. M (Doctor M, 1990), Madame Bovary (id., 1991), Betty (id., 1992), L’OEil de Vichy (1993), L’Enfer (L’inferno, 1994), La Cérémonie (Il buio nella mente, 1995), Cyprien Katsaris (TV, 1996), Rien ne va plus (id., 1997), Au coeur du mensonge (Il colore della menzogna, 1999), Merci pour le chocolat (Grazie per la cioccolata, 2000), Les Redoutables (ep. Coup de vice, TV, 2001), La Fleur du mal (Il fiore del male, 2003), La Demoiselle d’honneur (2004), L’Ivresse du pouvoir (2006). 

Cast

& Credits

Regia: Claude Chabrol.
Sceneggiatura: Paul Gégauff, da un'idea di Claude Chabrol.
Fotografia: Henri Decaë.
Scenografia: Jacques Mely.
Montaggio: J. Gaillard.
Musica: Paul Misraki e Pierre Jansen.
Interpreti e personaggi: Bernadette Lafont (Jane), Stéphane Audran (Ginette), Clotilde Joano (Jacqueline), Lucille Saint-Simon (Rita), Ave Ninchi (M.me Louise), Sacha Briquet (Henri), Pierre Bertin (Mr. Belin), Mario David (André).
Produzione: Paris Films (Hakim) e Panitalia.
Distribuzione: Pathé.
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