2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Les quatre cents coups

The Four Hundred Blows
di François Truffaut
Nazione: Francia
Anno: 1959
Durata: 101'


Antoine Doinel vive con la madre e il padre adottivo in un piccolo e insufficiente appartamento di un quartiere popolare di Parigi. L'ostilit` dell'ambiente e l'incomprensione delle persone con cui vive, determinano i gesti di rivolta di Antoine, che si difende come può: marinare la scuola, rubare i soldi della spesa, mentire a genitori ed insegnanti, divengono pratiche quotidiane che tradiscono il bisogno di evadere, di vivere la propria vita in maniera diversa. Ma per i professori, Antoine non è che un ragazzo particolarmente indisciplinato che va punito; per i genitori, troppo occupati dai rispettivi problemi (non vanno d'accordo neppure tra di loro: il padre non pensa che alle auto, la madre cerca scampo in una relazione con il capoufficio), egli è piuttosto un ingombro, un peso da tollerare finché è possibile. Un giorno, per giustificare un'assenza da scuola Antoine si inventa la morte della madre; scoperto decide di non tornare a casa e passala notte in una stamperia, dove lo ha condotto il suo unico amico e compagno di scuola René. Il giorno seguente, i genitori si prendono cura di lui, sono affettuosi e pieni di attenzioni. Antoine fa buoni propositi, promette di impegnarsi; ma a scuola, il professore lo accusa di aver copiato il tema da un brano di Balzac. Cacciato dall'aula, si rifugia in casa di René. Con lui progetta il furto di una macchina da scrivere dall'ufficio di suo padre. Scoperto mentre la sta riportando (perché non riesce a venderla), è consegnato dagli stessi genitori alla polizia. Antoine passa la notte in guardina, in compagnia di prostitute e rapinatori: il giorno seguente, il giudice decide, con il consenso della madre, di assegnarlo ad un centro di osservazione per minori delinquenti. Durante una partita di pallone, Antoine evade e, attraverso la campagna raggiunge il mare che non aveva mai visto.

A. Barbera
(François Truffaut, La Nuova Italia, Firenze 1976)


Les quatre cents coups non è un film autobiografico, ma mi sono ispirato a certe circostanze della mia vita. Io sono nato a Parigi il è febbraio 1932. Ero un pessimo scolaro, che faceva disperare i suoi genitori. All'ingresso in sesta sono stato bocciato e alla scuola elementare la mia grande occupazione era marinarla. Col mio compagno Robert Lachenay, che oggi è il mio assistente, abbiamo compiuto le stesse prodezze dei due ragazzi del film. C'era la guerra. Rubavamo maniglie per scambiare l'ottone con bottiglie di vino che poi vendevamo. Mandato in vacanza in colonia, poco prima della Liberazione, scappai. E mi misi a fare il magazziniere presso un esportatore di sementi. Messo alla porta quattro mesi dopo, col mio salario fondai un cineclub, che andava molto male per la concorrenza di quello di André Bazin. Fu così che lo conobbi. Ma mio padre ritrovò le mie tracce e mi consegnò alla polizia. Rimasi parecchi mesi nel riformatorio di Villejuif, da cui mi fece uscire André Bazin. Ho fatto il saldatore in una fabbrica e poi mi sono arruolato per l'Indocina. Approfittando d'un permesso, non sono più rientrato. Ma, su consiglio di Bazin, ho raggiunto il mio corpo. Finalmente mi hanno riformato per instabilit` caratteriale.
Avrei potuto scegliere un altro soggetto e usare ugualmente dei ricordi. Ho voluto soprattutto fare un ritratto, il più esatto possibile, d'uno stato dell'adolescenza, cioè d'un momento ben noto a educatori e sociologi, ma in genere ignorato dai genitori, che hanno l'aria di non sospettarne l'esistenza. Ho fatto il mio film su questa crisi che gli specialisti, graziosamente, chiamano "crisi d'originalit` giovanile", e che si manifesta con quattro perturbazioni precise: il risveglio della pubert`, lo svezzamento affettivo dai genitori, il desiderio d'indipendenza e il senso d'inferiorit`. Ognuno di questi quattro elementi ispira una rivolta e conduce alla scoperta d'una certa ingiustizia.

F. Truffaut
("Arts", n. 720, 1959)


Con Les quatre cents coups François Truffaut entra nel cinema francese moderno come nel collegio della nostra infanzia. Ragazzi umiliati di Bernanos. Ragazzi al potere di Vitrac. Ragazzi terribili di Melville-Cocteau. E ragazzi di Vigo, ragazzi di Rossellini, insomma ragazzi di Truffaut, espressione che passer` dopo l'uscita del film nel linguaggio comune. Si dir` presto i ragazzi di Truffaut come si dice i lancieri del Bengala, i guastafeste, i re della mafia, gli assi del volante, o anche per dirla in due parole i drogati del cinema. In Les quatre cents coups la macchina da presa del regista dei Mistons sar` di nuovo non ad altezza d'uomo come nel padre Hawks, ma ad altezza di ragazzo. E se si sottintende arroganza, quando si dice altezza a proposito di chi ha superato la trentina, si sottintende molto meglio quando si dice altezza a proposito dei minori di sedici anni: si sottintende orgoglio; sempre in due parole, Les quatre cents coups sar` il film più orgoglioso, più testardo, più ostinato, in due parole, per finire, il film più libero del mondo. Moralmente parlando. E anche esteticamente. Gli obiettivi dialiscopici regolati da Henri Decaë ce ne riempiranno gli occhi come quelli del Trapezio della vita. Il découpage sar` vivo e arioso come quello di La stagione del sole. I dialoghi e i gesti mordenti, come in Faccia d'angelo. Il montaggio delicato come quello della Divina. La preziosit` far` capolino come in Furia selvaggia. Questi titoli non si susseguono a caso sotto i tasti della mia Japy elettrica. Fanno parte della lista dei dieci migliori film dell'anno 1958 secondo François Truffaut. Affascinante e bella famiglia alla quale Les quatre cents coups s'integrer` alla perfezione. Per riassumerci, che dire? Questo: Les quatre cents coups sar` un film firmato Franchezza, Rapidit`, Arte, Novit`, Cinematografo, Originalit`, Impertinenza, Seriet`, Tragicit`, Refrigerio, Ubu-Roi, Fantastique, Ferocia, Amicizia, Universalit`, Tenerezza.

J.-L. Godard
(Il cinema è il cinema, Garzanti, Milano 1981)


Les mistons andava bene; Les quatre cents coups va ancora meglio. Da un film all'altro, il nostro amico François fa il salto decisivo, copre lo scarto della maturit`. E come si vede, non perde tempo.
Con Les quatre cents coups, rientriamo nella nostra infanzia come in una casa abbandonata dalla guerra. La nostra infanzia, anche se si tratta prima di tutto di quella di François Truffaut: le conseguenze di una bugia stupida, la fuga fallita, l'umiliazione, la rivelazione dell'ingiustizia, no, non esiste infanzia "protetta". Parlando di sé, sembra che parli anche di noi: è il segno della verit`, la ricompensa del classicismo autentico, che sa limitarsi al proprio oggetto, ma lo vede all'improvviso coprire tutto il campo dei possibili.
L'autobiografia non è, per motivi che si possono facilmente immaginare, un genere molto praticato nel cinema; ma non è questo che deve stupirci, quanto la serenit`, il ritegno, l'omogeneit` di tono con i quali viene qui evocato un passato tanto parallelo al proprio. Il François Truffaut che incontrai insieme a Jean-Luc Godard, sul finire del '49 al Parnasse, da Froeschel, al Minotaure, aveva gi` fatto l'apprendistato dei 400 colpi; certo, parlavamo più di cinema, di film americani, di un Bogart che davano al "Moulin de la Chanson", che di noi stessi, o solo per allusioni: ci bastava. Oppure accadeva che, all'improvviso, una foto lo rivelasse tre anni prima, al tiro a segno, abbagliato, pallido, un Hossein formato ridotto, con, appoggiato a lui, raggiante, Robert Lachenay; o in mezzo all'immagine cristallizzata delle tre file di rito di una classe scolastica.
Quel miscuglio di qualcosa di indefinibile e di improvvise illuminazioni finiva per somigliare a dei veri ricordi, a una vera memoria. Ora ne sono quasi sicuro; giacché, sullo schermo, ho riconosciuto, ho ritrovato tutto. La madeleine di Proust non gli restituiva altro che la sua infanzia; ma di una buccia di banana, trasformata in fondo al piatto in stella di mare, François Truffaut fa molto di più; e in un colpo solo ogni tempo è ritrovato, il mio, il tuo, il vostro, un tempo unico in una luce che non trovo aggettivi per qualificare, nella luce inqualificabile dell'infanzia.
Guardatelo bene: questo film è personale, autobiografico, ma mai impudico. Non c'è nulla che denoti una qualche forma di esibizione; anche Prigione è bello, ma di un'altra bellezza: bello come Bombard che tiene la sua Paillard in fondo al braccio per filmare in mezzo all'Atlantico il proprio volto gonfio e invaso dalla barba. La forza di François Truffaut è di non parlare mai direttamente di se stesso, ma di dedicarsi pazientemente a un altro ragazzino, che gli somiglia forse come un fratello, ma come un fratello oggettivo, ed a questo sottomettersi ricostruendo umilmente, a partire da una esperienza personale, una realt` parimenti oggettiva, che poi filma con il più completo rispetto. Un metodo simile nel cinema porta un nome molto bello (e tanto peggio se François Truffaut non lo vuole riconoscere); si chiama Flaherty. E la prova del nove della verit` di questo metodo, e della verit` del film tout court, è la straordinaria scena della psicologa - impossibile, sia detto tra parentesi, con gli antiquati sistemi di ripresa che si vorrebbe a tutti i costi obbligarci a mantenere - nella quale l'improvvisazione più totale coincide con la ricostruzione più rigorosa, in cui la confessione verifica l'invenzione. Dialogo e messa in scena, al termine di una sorta di percorso ascetico, sboccano alla fine sulla verit` della diretta; il cinema vi reinventa la televisione, e questa, a sua volta, lo consacra cinema; non c'è più spazio ormai che per le tre straordinarie inquadrature finali, inquadrature della durata pura, della perfetta liberazione. (…)

J. Rivette
("Cahiers du Cinéma", n. 95, 1959)

Biografia

regista

François Truffaut

François Truffaut (Parigi, Francia, 1932 - Neuilly-sur-Seine, Francia, 1984), dopo studi irregolari, vari mestieri e un breve periodo in riformatorio, nel 1953 è stato invitato da André Bazin a collaborare ai «Cahiers du cinéma». Ha realizzato alcuni cortometraggi, poi nel 1959 con l’esordio I 400 colpi si è imposto tra i protagonisti della nouvelle vague insieme ai colleghi Chabrol, Godard, Rivette e Rohmer. Ha quindi dato vita a una lunga e variegata filmografia, con cui è diventato uno dei registi più famosi e influenti della storia del cinema. 

FILMOGRAFIA

Les quatre cents coups (I 400 colpi, 1959), Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960), Jules et Jim (Jules e Jim, 1962), Fahrenheit 451 (id., 1966), La mariée était en noir (La sposa in nero, 1968), La sirène du Mississipi (La mia droga si chiama Julie, 1969), La nuit américaine (Effetto notte, 1973), L’histoire d’Adèle H. (Adele H., una storia d’amore, 1975), L’homme qui aimait les femmes (L’uomo che amava le donne, 1977), La chambre verte (La camera verde, 1978), Le dernier métro (L’ultimo metrò, 1980), Vivement dimanche! (Finalmente domenica!, 1983).

Cast

& Credits

Regia: François Truffaut.
Sceneggiatura: François Truffaut e Mareel Moussy.
Assistente alla regia: Philippe de Broca.
Fotografia: Henri Decaë.
Scenografia: Bernard Evein.
Montaggio: Marie-Joséphe Yoyotte.
Musica: Jean Constantin.
Interpreti e personaggi: Jean-Pierre Léaud (Antoine Doinel), Albert Rémy (il signor Doinel), Claire Maurier (la signora Doinel), Patrick Auffay (René Bigey), Georges Flamant (il signor Bigey), Yvonne Claudie (la signora Bigey), Robert Beauvais (il direttore della scuola), Pierre Repp (il professore d'inglese), Guy Decomble (il professore), Claude Mansard (il giudice), Jacques Monod (il commissario), Henri Virgoleux (il guardiano nottumo), Richard Kanayan (Abbou), Jeanne Moreau (la donna del cane), Jean-Claude Brialy (l'uomo nella strada), Jacques Demy (poliziotto), François Truffaut, Bouchon, Marius Laurey, Luc Andrieux, Daniel Couturier, François Nocher.
Produzione: Les Films du Carrosse.
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