2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Tirez sur le pianiste

Shoot the Pianist
di François Truffaut
Nazione: Francia
Anno: 1960
Durata: 80'


Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista).Un uomo, inseguito da un'auto che tenta d'investirlo, si rifugia in un bistrò di periferia, dove incontra suo fratello che è pianista nell'orchestrina del locale. Apprendiamo che Charlie Kohler, il cui vero nome è Edouard Saroyan, era un musicista destinato a sicuro successo, ma che un'avventura coniugale conclusasi tragicamente lo ha convinto a ritirarsi nell'anonimato. Charlie rifiuta di interessarsi dei guai del fratello. (…) Costretto a intervenire per favorire la fuga di Chico, il fratello, viene prima pedinato, poi rapito dai gangster che inseguivano Chico per una questione di soldi. Con lui, è rapita Lena, la cameriera del bistrò, innamorata di Charlie. (…)
Riusciti a fuggire per l'inettitudine dei loro rapitori, i due diventano amanti. Un lungo flash-back mostra il passato di Charlie-Edouard. (…) Lena, follemente innamorata, tenta di convincerlo a tornare alla carriera abbandonata. Ma gli eventi precipitano: Fido, il giovane fratello che abita con Charlie, è rapito dai gangster, mentre Charlie, costretto suo malgrado a intervenire per difendere Lena da Plyne, il proprietario del bistrò innamorato a sua volta della ragazza, lo uccide nel corso di un tragicomico duello. Charlie si nasconde, poi fugge aiutato da Lena. Con l'aiuto della ragazza raggiunge la casa paterna, in un paesino sperduto sulle Alpi innevate. Ma i gangster sopraggiungono, guidati da Fido: nella sparatoria finale è Lena ad essere colpita a morte. A Charlie non resta che tornare al bistrò, salutare con indifferenza la nuova cameriera, sedere dietro al pianoforte come dietro una barriera, e riprendere a suonare, rassegnato e assente.

A. Barbera
(François Truffaut, La Nuova Italia, Firenze 1976)


Ho rifiutato di farmi imprigionare da un primo successo, ho fuggito la tentazione di ripeterlo scegliendo un "grande soggetto"; ho voltato la schiena a ciò che ci si aspettava ed ho assunto per unica regola di condotta il mio piacere. Non troverete nel Pianiste una scena esplicativa (niente di utilitario; tutto è funzionale al mio piacere di cineasta e, spero, al vostro piacere di spettatori).
Ero libero come l'aria, quindi ho scelto la costrizione per non diventare pazzo; mi sono messo nella situazione del cineasta cui viene imposto un incarico: un romanzo americano, da trasportare in Francia. Però, ho scelto Tirez sur le pianiste perché ammiravo l'autore di questo romanzo, David Goodis, di cui i cinefili forse conoscono "Cauchemar", che divenne al cinema La fuga di Delmer Daves (con Humphrey Bogart e Lauren Bacall) e "Le Casse" di Paul Wendkos col titolo di Lo scassinatore (con Jayne Mansfield e Dan Durya). Desiderando molto, dopo aver visto La tête contre les murs, girare un film con Aznavour, potevo conciliare due sogni unendo Goodis e Aznavour.
So che il risultato sembra disomogeneo, che questo film sembra contenerne quattro o cinque, ma è assolutamente voluto, perché ho cercato prima di tutto l'esplosione del genere (il film poliziesco) attraverso la mescolanza dei generi (commedia, dramma, melodramma, film psicologico, thriller, film d'amore ecc.). So che non c'è niente che il pubblico detesti come i mutamenti di tono, ma ho da sempre la passione dei mutamenti di tono. La scena che amo di più in Zazie è quella delle lacrime di Albertine. Credo però che una coesione nel Pianiste ci sia, che sia l'amore; gli uomini non parlano che di donne e le donne non parlano che di uomini; nel massimo del casino, dei regolamenti di conti, del kidnapping, degli inseguimenti, non si parla che d'amore: sessuale, sentimentale, fisico, morale, sociale, coniugale, extra ecc.
Malgrado l'aspetto burlesco di certe scene, non è mai una parodia (io detesto la parodia tranne quando riesce a rivaleggiare in bellezza con ciò che mette in parodia); si tratta per me di qualcosa di preciso che chiamerei un "pastiche" rispettoso del film hollywoodiano di serie B dal quale ho imparato tanto. (…)

François Truffaut
("Cinéma", n. 52, 1961)


(…) Truffaut è un ottimo sceneggiatore, forse il migliore che abbiamo. La sceneggiatura di Tirez sur le pianiste è, dietro la sua apparente trascuratezza, irreprensibile. Si costruisce con grande abilit` attorno a un personaggio centrale molto toccante, impersonato nel migliore dei modi da Charles Aznavour. Attorno a questo personaggio i suoi fratelli pittoreschi e accattivanti, tre donne (una cameriera dal gran cuore, una puttana disinteressata e una moglie legittima piena di virtù) e qualche comparsa bizzarra (il sublime Claude Mansart) o sconcertante (Serge Davry, il barista). Dialoghi squisiti, d'una naturalezza perfetta (il soliloquio di Daniel Boulanger, gangster da quattro soldi, è un piacere ascoltarlo), una canzone molto originale e qualche sequenza mirabile in un paesaggio nebbioso, più che degna del miglior Nicholas Ray (quello di Neve rossa). C'è persino una scena - quella di Marie Dubois morta, col volto macchiato di neve - che tocca il sublime. Su questo volto, che vedono a rovescio, gli spettatori possono leggere la spaventosa tranquillit` della morte, e questa tranquillit` ci dice che dopo la morte non c'è nulla, nulla se non un'irrimediabile assenza.
Che Tirez sur le pianiste sia anche una storia di gangster, un dramma borghese, che si compiaccia di mescolare i generi non ha molta importanza, se intuiamo che dietro a un intreccio ordito con sapienza Truffaut ha voluto parlarci di ciò che gli stava a cuore, della timidezza, dell'amicizia, delle donne e dei modi di legarle a sé. In questo senso Tirez sur le pianiste prosegue l'autobiografia morale iniziata con Les Quatre cent coups, ma se preferisco di gran lunga il secondo al primo è proprio per il suo lato anarchico, assente, malauguratamente assente nei Quatre cent coups. (…)
Tirez sur le pianiste è dunque un ottimo e, a tratti, un bellissimo film che bisogna andare a vedere. Ma di grazia, mio caro Truffaut, mi permetto di non seguirla quando chiama a padrino Perrault. Come tutti i giovani autori francesi, lei è una vittima del cinema, della sua qualit` e del suo realismo. Questo realismo, vale a dire questo gusto inveterato per scene sudice, abiti consunti, volti ingrati è il peccato originale del nostro cinema. E questo grigiore non abbiamo la facolt` di dissiparlo con un colpo di bacchetta magica. Quello che per alcuni è un lato debole è, temo, una tara indelebile.

J. Domarchi
("Arts", n. 798, 1960)


Tirez sur le pianiste è il film più ricco di fascino che abbia visto, da anni. Ma significa che è impossibile intuirne le ragioni?
La libert` del racconto, evidentemente. Il che è paradossale per una storia la cui trama è poliziesca. Si possono citare dieci esempi di straordinari film polizieschi americani in cui la regola di ferro della progressione genera una concezione dell'utile. Tutto è sacrificato all'efficacia. Una caricatura di questo metodo la si vede anche nella maggior parte dei film francesi ambiziosi di questo genere. In Tirez sur le pianiste mi sembra che la progressione, senza scomparire, passi in secondo piano a vantaggio dei personaggi, e dei loro rapporti. La trasformazione in veri burattini, grotteschi, dei nemici, degli assassini, di quelli che porteranno alla tragedia i deliziosi eroi, non è l'indizio minore. Dovevano essere ridicoli, come, orribilmente, le circostanze della vita, quelli che nel film rappresentano questa tragedia contro la poesia. La bellezza plastica del finale, nella neve, l'emozione che genera la morte dell'eroina non sono diminuite, ma magnificate, dal contrappunto grottesco dei gangster, goffi tiratori che si mancano a vicenda a due metri di distanza, ma colpiscono dritto al cuore l'amore, a cento metri. (…) La duttilit` del copione, della regia, come abbozzata in Les mistons e Les Quatre cents coups, qui è perfetta. Una sorta di sicurezza dell'effetto, che viene, come per la direzione degli attori, dallo sforzo di Truffaut verso gli altri. Molte altre cose ancora contano, la musica, la canzone, ma enumerando le componenti del fascino provato si ha l'impressione di dimenticare l'essenziale.
Bisogner` ricorrere al ragionamento per analogia, il che è sinistro. Credevo che l'essenziale fosse il tono, fino al momento in cui mi sono detto che era come parlare della virtù sonnifera dell'oppio, della forza flogistica del fuoco. Non esiste tono in sé, separato da una certa visione delle cose. Una visione catastrofica o aggressiva dei rapporti umani non può essere espressa sul tono del fascino. L'amarezza, la sofferenza di fronte all'atrocit` di questi rapporti, poi il divertimento, il gusto del barocco, la tenerezza trattenuta, il piacere di ciondolare, di darsi tempo caratterizzano, sommariamente, Tirez sur le pianiste. Infine, fascino e gentilezza. Credo siano le qualit` dell'autore. Il che è piuttosto buffo se si pensa alla reputazione che da tempo Truffaut si è fatta nella corporazione del cinema, e alla quantit` di vetri rotti. Buffo, ma non assurdo, perché non è sorprendente che si sia preso un amore timido ed esigente del cinema per cattiveria e aggressivit`. Il cinema, stranamente, ha una forte moralit`: vi si vede in modo abbagliante chi è l'autore, il che vale in tutti i sensi. Diciamo che si vede l'anima.
Di queste qualit` del film io andavo cercando, analogicamente, un equivalente letterario, una sorta di esempio ravvicinato, fosse anche sbagliato. Questa singolare mescolanza, questa alleanza di burlesco e tenero, caratterizzano, per il mio gusto, "Pierrot mon ami" o "Un rude hiver". Considero Queneau il più grande scrittore francese vivente o, senza ridicoli appelli al senso della gerarchia, diciamo che non c'è nulla che ami altrettanto.
Pur per il tramite dell'analogia, sono felice di poter iscrivere nel solco di Queneau, in modo diverso, ma è in modo diverso che valgono le cose. i due film che ho più amato da molto tempo a questa parte, Zazie dans le métro e Tirez sur le pianiste.
Ammaliato? E sia.

P. Kast
("Cahiers du Cinéma", n. 115, 1961)

Biografia

regista

François Truffaut

François Truffaut (Parigi, Francia, 1932 - Neuilly-sur-Seine, Francia, 1984), dopo studi irregolari, vari mestieri e un breve periodo in riformatorio, nel 1953 è stato invitato da André Bazin a collaborare ai «Cahiers du cinéma». Ha realizzato alcuni cortometraggi, poi nel 1959 con l’esordio I 400 colpi si è imposto tra i protagonisti della nouvelle vague insieme ai colleghi Chabrol, Godard, Rivette e Rohmer. Ha quindi dato vita a una lunga e variegata filmografia, con cui è diventato uno dei registi più famosi e influenti della storia del cinema. 

FILMOGRAFIA

Les quatre cents coups (I 400 colpi, 1959), Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960), Jules et Jim (Jules e Jim, 1962), Fahrenheit 451 (id., 1966), La mariée était en noir (La sposa in nero, 1968), La sirène du Mississipi (La mia droga si chiama Julie, 1969), La nuit américaine (Effetto notte, 1973), L’histoire d’Adèle H. (Adele H., una storia d’amore, 1975), L’homme qui aimait les femmes (L’uomo che amava le donne, 1977), La chambre verte (La camera verde, 1978), Le dernier métro (L’ultimo metrò, 1980), Vivement dimanche! (Finalmente domenica!, 1983).

Cast

& Credits

Regia: François Truffaut.
Soggetto: dal romanzo Down There di David Goodis.
Sceneggiatura: François Truffaut, Marcel Moussy.
Fotografia: Raoul Coutard.
Montaggio: Cécile Decugis, Claudine Bouché.
Musica: Georges Delerue.
Interpreti e personaggi: Charles Aznavour (Edouard Saroyan/Charlie Kohler), Marie Dubois (Léna), Nicole Berger (Thérèse), Albert Rémy (Chico Saroyan), Claude Mansard (Momo), Daniel Boulanger (Ernest), Michèle Mercier (Clarisse), Richard Kanayan (Fido Saroyan), Jean-Jacques Aslanian (Richard Saroyan), Serge Davri (Plyne), Claude Heymann (Lars Schmeel), Alex Joffe (lo sconosciuto).
Produzione: Pierre Braunberger per Les Films de la Pléiade.
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