2° FESTIVAL INTERNAZIONALE CINEMA GIOVANI
Retrospettiva - Nouvelle Vague

Une aussi longue absence

The Long Absence
di Henri Colpi
Nazione: Francia
Anno: 1960
Durata: 90'


Nel caldo dell'estate, in un sobborgo di Parigi, Thérèse Langlois, una vedova che possiede e gestisce un caffè locale, si prepara come tutti nel vicinato ad andarsene in vacanza. Thérèse nota un vagabondo che è passato tutti i giorni dal suo caffè. Lo guarda ora in faccia, sembra riconoscerlo, si convince che quest'uomo è suo marito, deportato in Germania sedici anni prima, di cui non ha saputo più nulla. Quest'idea sembra essere confermata dall'esitante confessione dell'uomo di aver perso la memoria. Lo segue nella sua baracca in riva al fiume, lo fa tornare al caffè e cerca di risvegliarne la memoria parlandogli di suo marito. II vagabondo è colpito dalla sua gentilezza ma non ricorda. Decisa a provare la sua identit` Thérèse si aggrappa ad ogni frase o segno. Ma, angosciosamente, non ci sono prove e una cicatrice sulla nuca mostra che lui non ricorder` mai. Mentre lui si allontana Thérèse lo chiama col nome del marito. Il vagabondo sembra fermarsi e poi fugge alla cieca e viene buttato a terra da un camion che passa. Ma non è ferito. Quando Thérèse sa che se ne è andato, si rimprovera per averlo fatto fuggire. Dovr` usare metodi diversi, più pazienza, più gentilezza; ora non ha bisogno di prove del fatto che lui è suo marito; lo crede e basta.

Il punto di partenza è un fatto di cronaca, che abbiamo evidentemente modificato in virtù della trascendenza del cinema. Chiaramente, bisognava evitare di rifare Resnais, e la presenza della Duras doveva servire da "catalizzatore" tra noi. Ma l'analisi pecca di superficialit`. In Hiroshima i personaggi per l'appunto ricordano. Qui, Wilson, lo smemorato, è il personaggio centrale e la donna non gioca a ritrovare dei ricordi, una memoria. Il rapporto con Resnais è fatto ben più di antitesi che di analogia.
D'altra parte, il terna centrale del mio film non è la memoria. Questa interviene solo come elemento drammatico, come una sorta di "suspense" (Wilson la riacquister` o no?).
Il tema principale è la costanza di un amore e la sostanziale impossibilit` tra due esseri umani di comunicare. Impossibilita che sussisterebbe anche se Wilson riacquistasse la memoria o se fosse veramente il marito. D'altronde, tutto qui si basa sull'aspetto poetico, una specie di trascendenza del soggetto stesso.
Se c'è un rapporto con Resnais, non è né nel soggetto e neanche nella forma, ma piuttosto come una parentela spirituale che fa si che l'uno e l'altro vorrebbero fare dei film un po' "speciali". L'uno e l'altro ricercano l'accuratezza e la massima precisione formale, lasciando il meno possibile al caso e assegnando una parte enorme al montaggio. Noi siamo entrambi dell'opinione che si debba girare il film completamente e cominciare il montaggio soltanto in un secondo tempo. Il che vuol dire non aver paura come i debuttanti - o i grandi professionisti - di un raccordo che non funziona o di un primo piano che riesce male. Tanto che nella maggior parte dei film si dispone di 3 o di 8 giorni per i raccordi. Per Une aussi longue absence c'è voluto in effetti un giorno per i raccordi. Ma questo deriva dal fatto che il produttore non poteva pagare un giorno di riprese supplementari. Dovevamo aver finito un sabato sera alle otto e non abbiamo avuto un minuto di più.
(…) Questa ricerca comune a Resnais e a me data da discussioni fatte attorno agli Anni Cinquanta. Resnais ha una teoria sul raccordo "leopardo" che lui chiama raccordo "pantera", che ha applicato in Hiroshima e in modo straordinario in Marienbad, e che molti hanno utilizzato in seguito, Godard in testa.
Nel mio film ho adottato alcuni di questi raccordi. Per esempio Wilson che si toglie il cappello, nella sala del caffè e lo si ritrova seduto dietro il tavolo. E poi anche la scena di Alida Valli che cammina, con a ogni piano la luce che si affievolisce e un effetto differente. Il tutto collegato unicamente dal rumore dei passi. E una tecnica abbastanza audace, a suo modo. Ne ho evitato l'impiego sistematico perché non si dica che stavo rifacendo Resnais, mentre invece al fondo, alla base, c'è un lavoro di discussione comune.

H. Colpi
("Image et son ", n. 141, 1961)


Non si può liquidare con qualche frase ironica il film più noioso, ma forse anche il più importante e il più pericoloso di questo Festival. Une aussi longue absence rappresenta infatti lo sbocco, allo stesso tempo ammirevole e desolante, di una delle tendenze essenziali del cinema francese contemporaneo. Il film di Henri Colpi costituisce l'esempio più compiuto di quel "cinéma intérieur" in cui le parole non dette importano più di quelle dette, e dove i tempi forti sono dati dai tempi morti nelle vite dei personaggi.
È noto che Marguerite Duras e Gérard Jarlot scrissero il loro soggetto basandosi su un autentico fatto di cronaca: nel luglio del 1960, la titolare di un bar della banlieue parigina credette di riconoscere in un vagabondo che passava per strada, il marito scomparso durante la guerra; il vagabondo aveva perso la memoria, ma alcune inquietanti coincidenze confermarono la donna nella sua certezza d'aver ritrovato il marito in quel vagabondo, al quale ella cercò (invano) di restituire un passato. Di questo fatto di cronaca, i cui tratti salienti erano prossimi a quelli di un melodramma, Marguerite Duras e il suo collaboratore non hanno conservato nient'altro che un terna attorno al quale sono venuti ricamando sottili e preziosi arabeschi letterari. Arabeschi così sottili e preziosi che ci voleva tutto il pudore e tutta la sensibilit` di Henri Colpi per far accettare un testo la cui novit` non colpisce più, ma i cui difetti appaiono sernpre più evidenti. Mentre il lavoro dei soggettisti era incentrato essenzialmente sul terna della mernoria, Colpi ha sensibilmente umanizzato la vicenda concentrando l'azione sui rapporti affettivi tra Thérèse Langlois e colui che lei considera suo marito. Il problema è di sapere se Thérèse riuscir` a far riacquistare dignit` e coscienza di sé a quest'uomo che la vita ha abbassato a un livello animalesco; importa poco sapere se il vagabondo è o non è per davvero il marito di Thérèse, quello che importa è la presa di coscienza della propria esistenza e della propria dignit` da parte di un essere avvilito. Racconto sensibile e pudico del lento cammino della verit` fino alla coscienza diffusa del vagabondo smemorato, il film doveva essere lento, oscuro e noioso, e non c'è il minimo dubbio che Colpi l'abbia voluto così. L'intensit` dell'emozione cresce in sordina, parallelamente al risveglio della coscienza dello smemorato, fino allo sconvolgente e necessario abbagliamento finale. La bellezza vibra allora in contrappunto alla noia da cui si è sprigionata come una farfalla dal bruco. L'ammirevole interpretazione di Alida Valli, e soprattutto quella di Georges Wilson, autentica rivelazione del film, contribuiscono molto a un'opera in cui la regia, bella e pura con i suoi rari ma rigorosi movimenti della macchina da presa, d` il tocco finale a una sorta di capolavoro. Ma i veri problemi si pongono di fatto al di l` della riuscita del film in sé: in quale pericolosa direzione Marguerite Duras, e con lei Henri Colpi, non stanno trascinando il cinema? La bellezza della noia, come quella del diavolo, non è affatto priva di sordi malefici le cui tragiche conseguenze sono da temere per un certo cinema francese.

Y. Boisset
("Cinéma", n. 57, 1961)


Colpi non è né un regista né un autore di film. Ma questo non costituisce un crimine. Quello che è grave è il suo conformismo. Ci vuole veramente una mancanza totale di originalit` e di personalit` per partire da un fatto di cronaca e tirarne fuori un'opera così falsa (chi può credere un solo istante che Alida Valli sia verosimile come padrona di bistrot?) e così arbitraria (è davvero pacifico che uno smemorato sia necessariamente un ritardato mentale? Giradoux non aveva fatto l'adattamento di una simile faciloneria) e così brutta (ogni scena è laida). Ma il più grave difetto di questo film non è né la sua falsit` né la sua arbitrariet` né la sua bruttezza: è la noia. Esiste (non è vero signor Paulban?) un terrore nel cinema come esiste un terrore in letteratura. Guai a chi il cinema di Colpi non piace. Si rischia di passare per malignacci e di turbare la serenit` spirituale di tutti quelli che non si rendono conto di venire abbindolati e non vogliono ammettere di essersi formidabilmente annoiati durante la proiezione di questo interminabile film (interminabile non per la sua lunghezza effettiva, ma per la sua lentezza); fa fine, quando ci si è annoiati al cinema, decretare che il film del quale non si è capito nulla è ricco di profondit` e di significato.
Non c'è che Resnais che possa fare Resnais. A voler fare Resnais senza che niente lo abbia obbligato, Colpi si riduce a un "epigono" privo di personalit` e di coraggio, coraggio estetico s'intende. Il suo film tetro, invertebrato e pretenzioso occuper` nei ricordi del regista il posto dell'esecrabile Orfeu negro di Camus, altro trionfatore di un effimero festival.

J. Domarchi
("Arts", n. 823, 1961)

Biografia

regista

Henri Colpi

FILMOGRAFIA

UNE AUSSI LONGUE ABSENCE (1960)

Cast

& Credits

Regia: Henri Colpi.
Sceneggiatura e dialoghi: Marguerite Duras e Gérard Jarlot.
Fotografia: Marcel Weiss.
Scenografia: Maurice Colasson.
Montaggio: Jasmine Chasney.
Musica: Georges Delerue.
Interpreti e personaggi: Alida Valli (Thérèse), Georges Wilson (il barbone), Jacques Harden (Pierre), Amédée (Marcel Langlois), Catherine Fontenay (Alice Langlois), Diana Lepwier (Martine), Paul Faivre, Blavette.
Produzione: Claude Jaeger-Procinex-Lyre (Parigi) - Galatea S.p.A (Roma).
Distribuzione: Cocinor.
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