30° TORINO FILM FESTIVAL
TFFDOC/DOCUMENTI

RUSHES DA NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI

di Carmelo Bene
Nazione: Italia
Anno: 1968
Durata: 691'


Materiali da distruzione. Rushes di Nostra Signora dei Turchi
di fulvio baglivi

«Io non sono un uomo, sono dinamite»: forse nel 1968 Bene avrebbe accettato il pensiero di Nietzsche come critica al suo film d’esordio (considerando Hermitage una sublime prova di sfida alla macchina cinema) e non quello giudicante e pettegolo dei gazzettieri, che inorridirono e schiamazzarono di fronte a un cinema alieno e sfuggente ai loro miseri mezzi. Un’idea di critica nell’accezione che ne darà lui stesso due anni dopo nel Don Giovanni e nel libro L’orecchio mancante, «gioco d’azzardo dell’opera sull’opera […] autocriticata in se stessa dall’ultimo autore».
Le undici ore e mezza di girato di Nostra Signora dei Turchi non sono Nostra Signora dei Turchi: sono in bianco e nero, controtipo (negativo ricavato da positivo) stampato per le lavorazioni, depotenziate dai colori caleidoscopici della pellicola Ektachrome; sono mute, senza la stratificazione sonora e quella voce che tutto disdice. Del film non sono neanche un’eco lontana; a guardarle a posteriori, all’ombra delle visioni che inevitabilmente affiorano, le rushes appaiono come fragili frammenti elettrici sospesi, in attesa che la furia iconoclasta del montaggio, o più precisamente smontaggio, di Carmelo Bene le scateni donando loro quella potenza che ci investe a ogni apparizione di Nostra Signora. Manca l’atto costruttivo, il farne un film seppure unico e mai visto né prima né dopo, eppure l’accumulo di immagini che scorreranno parallele e marginali al Torino Film Festival contengono in sé, tutte, il potenziale distruttivo, che Bene trova davanti e dietro la macchina da presa. 
È difficile catalogarle, suddividerle, non si tratta di ciò che è venuto bene o male, che funzioni o meno, ogni sequenza possiede una sua forza e può dare il suo contributo all’opera di demolizione; infatti quasi tutte rientreranno in parte o per intero nel film e i ciak ripetuti identici sono pochissimi. Senza affidarsi a un metodo o a una scuola, solo con l’esperienza e la fantasia di Mario Masini a supportarlo, Carmelo Bene non sceglie, intorno alla data mitica e fatidica del ’68, di fare cinema, ma di farsi cinema, o meglio di disfarsi del cinema praticandolo. Tutto brucia, si allaga, si rompe, persino il cielo traballa e il corpo di Bene è lanciato à corps perdu in quel Sud dei santi sospeso in uno spazio suo e fuori dal tempo. 
Non ci sono nouvelles vague né New American Cinema, non c’è nessuna riflessione sulle storie del cinema e le sue tecniche, non ci sono gli incontri e le proteste degli «arrabbiati» che s’interrogano su come si possa piegare il cinema alla mutazione e spiegarlo alle masse. Tra ossa di martiri e piazze in festa, tra una santa e una serva, dal cielo all’inferno il corpo onnipresente di Carmelo Bene cerca il proprio martirio impossibile e si distrugge proprio mentre demolisce ogni cliché, ogni rappresentazione per farsi presenza di un’assenza e il suo contrario. Le rushes, rinvenute tra i materiali della Microstampa depositati presso la Cineteca nazionale, sono un documento di questo processo distruttivo, con il loro grigio silenzio e la durata espansa dei ciak ci permettono di scorgerlo, ci concedono di soffermarci sull’atto geniale di Bene, cosa impossibile di fronte ai suoi film che continuano a lasciare tramortito e senza fiato chi ci si accosta.

Cast

& Credits

a cura di Fulvio Baglivi, telecinema: Antonio Commentucci; post-produzione: Martina Cagianelli
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