30° TORINO FILM FESTIVAL
TFFDOC/DOCUMENTI

Signo' Belluscone... dica!

Signo' Belluscone... dica!

Nazione: Italia
Anno:
Durata:


Una conversazione con Franco Maresco a cura di Giuliano La Franca

D: Com'è cambiato negli anni il tuo rapporto con la figura di Berlusconi?

R: Berlusconi è presente nelle nostre strisce, nel nostro lavoro, quello mio e di Ciprì, fin dall'inizio, cioè dalla fine degli anni 80, quando cominciammo a mettere a punto Cinico Tv che approderà su RaiTre nel 1990. 
Caratteristica originaria del nostro lavoro fu quella di bandire, di evitare accuratamente ogni riferimento a persone realmente esistenti, a una realtà, anche materiale, che rimandasse a una contemporaneità immediatamente riconoscibile. Per questo evitavamo di inquadrare automobili, persone che entravano casualmente nell'inquadratura, non esistevano cartelloni pubblicitari, né tecnologia: era un mondo che si era fermato. Quello di Cinico Tv era un universo parallelo, universo che abbiamo perfezionato con il passare del tempo fino ad arrivare a Lo zio di Brooklyn, a Totò che visse due volte...
Unica eccezione a questa regola che ci eravamo imposti è stato Silvio Berlusconi.
A quel tempo Silvio Berlusconi è un personaggio ovviamente esistente; è l'inventore di Finivest, in quel periodo sta trasformando antropologicamente gli italiani. I nostri personaggi lo prendono spesso di mira, lo evocano, come con la straordinaria ode di sapore leopardiano dal ciclista Francesco Tirione, che anticipa di quasi 4 anni la vera discesa in campo di B. C'è nei nostri personaggi una voglia di indicibile vendetta che noi con molto piacere assecondiamo. 
B è quasi il personaggio di una striscia, un personaggio disneyano. Potrebbe essere una sorta di Zio Paperone adattato alla nostra condizione “palermitanesca”. Il nostro era allora un atteggiamento sarcastico e perfido che però vedeva ancora B con una sorta simpatia.
A posteriori mi impressiona che, 4 anni prima della “discesa in campo”, nelle strisce di Cinico Tv ci fosse già non solo Berlusconi, ma tutto quello che poi gli italiani diventeranno. 
Tutto questo cambia, l'Italia cambia nella maniera bestiale che tutti conosciamo. Passano una quindicina d'anni e noi torniamo più su Berlusconi solo quando, a metà degli anni 2000 rientriamo in televisione grazie a La7 con le 20 puntate de I migliori anni della nostra vita. Lo scenario è diventato cupo e apocalittico, l'Italia e la Sicilia che rappresentiamo hanno perduto quella leggerezza che in fondo c'era nelle dure strisce di Cinico Tv. Il pessimismo è estremo, i riferimenti alla realtà, pur sempre trasfigurata, sono più evidenti e passano attraverso una rappresentazione dei siciliani irrimediabilmente complici e conniventi di Berlusconi, di una politica che fa rimpiangere persino i democristiani alla Lima, alla Ciancimino. Ma soprattutto c'è la corte dei miracoli di Berlusconi, c'è il berlusconismo, c'è Berlusconi stesso. 

D: Come si colloca Belluscone in questo percorso?
Sicuramente, se noi fin dall'inizio prendiamo di mira Berlusconi è perché riconosciamo in lui una variante dei nostri personaggi. I personaggi di Cinico Tv, da Tirione a Paviglianiti, ai fratelli Abbate a Pietro Giordano, sono una sorta di estremizzazione dei caratteri che furono della commedia all'italiana. Prendono il posto dei vari Sordi, Tognazzi, Manfredi, Gassman che rappresentavano un'Italia mostruosa come nel memorabile I mostri di Risi. A quella tipologia borghese che rappresenta l'italiano medio si sostituisce un mondo in cui non si salva più nessuno, in cui non ci sono le categorie borghesi, i proletari, i sottoproletari, la lotta, né la simpatia di classe. Nel nostro mondo c'è una sola verità: l'uomo è un pezzo di merda.
Berlusconi si inserisce perfettamente dietro questa galleria di personaggi estremi. Se Giordano è una sorta di Alberto Sordi portato alle estreme conseguenze, in Berlusconi vediamo il pezzo di merda, il bastardo che è l'italiano in generale. Non c'era da parte nostra un disegno lucido rispetto al personaggio Berlusconi, lo chiamiamo in causa come una sorta di deus ex-machina in grado di far riuscire la scena. Sentivamo che B era l'italiano al suo peggio. Se negli anni 50 e 60 dentro i personaggi della commedia all'italiana c'è un guizzo di umanità, di riscatto e di riscatto, con B sentiamo che si era arrivati al punto di non ritorno.

D: Cosa significa raccontare la storia di B attraverso la Sicilia?
R: Belluscone, una storia siciliana è il titolo di questo film interminabile a cui lavoro ormai da una vita. Belluscone, con due l, è il modo in cui viene chiamato dai siciliani meno abbienti. La cosa più evidente la disse tanti anni fa Bossi quando definì B un milanese con il cuore siciliano. Berlusconi è la Sicilia, il suo rapporto con la Sicilia è qualcosa di strepitoso. B deve tutto alla Sicilia fin dalle origini, ha a che fare con dei siciliani: Dell'Utri, un tale Giuseppe Azzaretto, fondatore della Banca Rasini che permetterà a B di costruire la sua enorme fortuna, e poi Mangano, Bontade, gli uomini di cosa nostra. Berlusconi è più siciliano dei siciliani e non c'era bisogno che arrivasse il mio film a raccontarlo. Proprio riflettendo su questo mi sono trovato nella situazione di fare l'ennesimo documentario su una storia già raccontata molte volte, quella dei rapporti di B e dei suoi uomini qui in Sicilia con la mafia. Mi sono accorto che non era la direzione giusta, che non mi potevo permettere di fare un mestiere che non era il mio e ho preferito raccontare l'amore, la simbiosi che molti siciliani hanno sentito per e con B. Ho messo B in secondo piano e ho portato in primo piano una storia parallela con un altro protagonista, un doppio di B, un piccolo impresario di feste di piazza e agente di cantanti neomelodici (universo che già conoscevo per aver fatto anni fa Enzo, Domani a Palermo). Attraverso questo mondo fatto di piccole storie, anche sordide, al limite del grottesco e del paradossale, racconto B e la sua sicilianità risulta ancora più evidente e forte.

D: Cos'è tecnicamente questo film? Un documentario? Una finzione?
R: Un regista come me, cioè un regista che vive ai margini della produzione cinematografica più corrente, industriale, più officiale, che vive in periferia, lontano dai centri di produzione, il problema sempre più pressante è quello di riuscire a sopravvivere coerentemente senza rinnegare ciò che ho cercato di mettere insieme in 25 anni. 
Un anno e mezzo fa, decidere di fare un documentario su B, che all'epoca era ancora al Governo, da un lato voleva dire tornare su un personaggio al quale io, noi, Ciprì ed io, eravamo, tra mille virgolette, affezionati e che ci aveva portato fortuna, dall'altro lato era il tentativo di fare qualcosa che potesse essere [ride], detto da me, commerciale.
I tempi, come spesso succede al sottoscritto, si sono allungati. Nel frattempo B è caduto, Dell'Utri è stato condannato, pure B è stato condannato a 4 anni di carcere e all'interdizione dai pubblici uffici. Un'era è passata. Pochi mesi dopo la caduta di B ho deciso di cambiare il film: da documentario a  è diventato una specie di ibrido. Il film tecnicamente è un Frankenstein composto da una piccola parte di riprese girate da noi, ma soprattutto da materiale di repertorio tutto siciliano, di televisioni locali siciliane, di cantanti neomelodici che si esibiscono in trasmissioni e radio locali, più o meno conniventi con mondi astratti. Ci sono diversi contributi: nostri operatori e fonici che cambiano nel corso del tempo come cambia la qualità delle immagini di repertorio. Questo oggetto non oggetto, credo dia l'idea, anche sul piano simbolico, di un mondo, quello di Berlusconi, della Sicilia, dell'Italia che è Frankenstein, spezzettato, fatto di tante anime, di tante dimensioni, di tante realtà. Il film per me fa parte di un dittico, è la parte seconda di Enzo, domani a Palermo, il documentario che io e Ciprì dedicammo a un altro impresario alla fine degli anni 90. Anche quello era un viaggio nel mondo delle organizzazioni delle comparse cinematografiche che racchiudeva tutta una serie di umanità diverse e sembrava un primo commiato da qualcosa che stava scomparendo. Ci ritorno anni dopo, quasi a chiudere in maniera più cupa quel racconto che avevamo cominciato con Enzo, domani a Palermo. In questo senso è l'addio definitivo a un mondo, a una Palermo che non esiste più, e per la quale non so sia giusto avere rimpianti, benché questo presente e il futuro che si prospetta rischi di provocarli.

Menu