Nazione: USA
Anno: 1969
Durata: 4'45''


Institutional Quality inizia con un'immagine della nuca di una ragazza e un rapido stacco sul suo volto, come se lo schermo fosse un libretto appoggiato dal lato della copertina e poi rigirato. Una ruvida voce formale dice: "Questo è un test. È un test sulla vostra capacit` di seguire direttive". Non è un test sulla capacit` di rispondere a domande o di assimilare idee. Vengono date delle istruzioni: "Fate esattamente quello che vi dico", "Non fate domande", "Non fate supposizioni", "Non vi preoccupate", "Non guardate l'immagine", "Ascoltate attentamente il primo problema". Queste istruzioni sollecitano delle risposte che negherebbero l'illusione in un film narrativo, e con la loro impossibilit` predicono future sfere di innovazione. Come nella struttura di gioco a quiz di Bleu Shut di Robert Nelson e nelle operazioni di conteggio implicate in Zorns Lemma di Hollis Frampton, lo schermo, invece dell'identificazione unidirezionale (percettiva o emotiva), genera una tensione, un dialogo attivo con l'osservatore nella forma dell'anticipazione del movimento sullo schermo e del l'elaborazione di informazioni contraddittorie.
Compare l'immagine di un salotto terribilmente borghese (l'equivalente contemporaneo di un interno di Vermeer, con una televisione lampeggiante che occupa il posto di una figura): divano, specchio, ringhiera di ferro battuto, lampada da tavolo. Dopo vari secondi, un cuscino sulla sinistra e un telo drappeggiato sulla ringhiera scompaiono. Quando vengono dati degli ordini, "Accendete la televisione" (è gi` accesa) e "Mettete il numero 5 su quello che vorreste toccare", da un angolo entra una mano gigante e mette un numero sulla televisione. Questa alterazione di scala appiattisce immediatamente la prospettiva della stanza e ricorda allo spettatore il suo proprio spazio e la sua inattivit` fisica. Le richieste assumono la forma di disgiunzioni esistenziali: "Mettete via l'ombrello" (non ci sono ombrelli nell'immagine), "Mettete il numero 18 su quello che vorreste toccare". Il salotto (gradualmente coperto da una serie di numeri discontinui) si vede solo a tratti dopo la richiesta iniziale, sostituito prima da una serie di vari test con scelte multiple (un ordine di "accendere la lampada" coincide con un problema di percezione profonda che riguarda due uova illuminate), da un elenco di parti di proiettore cinematografico, e infine da una dimostrazione di procedimenti di proiezione. Il ronzio del test verbale continua ininterrotto ("Ascoltate, ascoltate ancora") fino all'ordine "Scrivete il vostro nome e cognome al fondo del film. Ora posate la matita". Il film, 4 minuti e mezzo di durata, è finito.
La sua brevit` e il testo ovvio esauriscono immediatamente la spiegazione. È, in effetti, un film sugli errori di interpretazione, sulla quantit` di informazioni prese per buone, elaborate automaticamente, in situazioni di luogo comune, percezione non estetica, specificatamente applicate ad esercizi di apprendimento. Ma c'è anche il riconoscimento della natura essenzialmente contraddittoria del cinema come autentico documento/reinterpretazione, che deriva da una strategia di personalizzazione per mezzo del distanziamento; in realt`, la disgiunzione tra l'oggetto filmico, una striscia avvolta su un rullo (un'immagine che compare per un attimo verso la met` del film) e la sua proiezione. Questo viene evocato metaforicamente con un passaggio stupendamente ironico: all'inizio della dimostrazione del proiettore, una sovrimpressione crea l'effetto disorientante di perforazioni della pellicola non allineate o lacerate che incespicano dentro un proiettore. In modo molto logico, il passaggio, ed il film, finisce con una "vampata" che segnala la fine di un rullo e il ritorno alla luce bianca. Si passa dalla considerazione degli elementi della tessitura del fotogramma alla sua meccanica, a come viene messo in movimento, e infine alle operazioni di contraddittoria evidenza e di deliberata imprecisione tecnica.
È opportuno, a questo punto, notare brevemente la curiosa tonalit` di colore dell'opera di Landow. Si è tentati di definirlo colore commerciale, dato che presenta gli squallidi rossi e blu della televisione e dei primi technicolor. Le immagini danno un senso di documento, di reperto (intensificato dai grigi acquosi delle sequenze in bianco e nero), anche quando sono prodotte autonomamente. Landow è attratto dalla nozione di "facsimile", di "contraffatto", e la funzione primaria del suo colore è referenziale, più che espressiva.

Paul S. Arthur, "Artforum", settembre 1971

Biografia

regista

George Landow

Cast

& Credits

Filmmaker: George Landow.
Assistenza tecnica al montaggio: Masako Takahashi.
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