Nazione: URSS
Anno: 1963
Durata: 90'


Vitautas Zalakjavicjus, lituano, dopo prove di poco conto, si fece notare per un curioso film a episodi, Zvye gheroi (Eroi vivi, 1960): tre episodi erano stati diretti da altrettanti giovani lituani, sul labile motivo comune della figura centrale di un bambinoeroe, ma estremamente vari, e Zalakjavicjus escogitò una intelligente soluzione per coordinarli; constatando la natura riflessa e disimpegnata di queste esercitazioni periferiche, che ripetevano, quasi esaurendoli, gli schemi tipici della cinematografia russa "centrale" (il racconto classico di bella evidenza illustrativa, la novella sentimentale e moralistica, il film "poetico") iniziò il proprio episodio con una trovata semplice ma rivelatrice, rimpicciolendo le immagini del penultimo episodio in uno schermo televisivo e piazzando davanti ad esso i due ragazzi protagonisti del suo breve sketch. Liberatosi così, con un giudizio netto, degli scherni, egli può fornire un esempio, davvero inedito (almeno nel '60) di indagine della realt` attraverso un uso spregiudicato dell'occhio dell'obiettivo, che pedina con una libera proiezione nel quotidiano i due fratelli nella citt`. Così egli riesce persino ad enucleare con autonoma sincerit` nella registrazione viva delle reazioni dei ragazzi le forze motrici di una societ` in espansione. Il talento di sperimentatore di Zalakjavicjus è confermato nel suo film più complesso e singolare, Chronika odnogo dnja (Cronaca di un giorno, 1964), votato a una totale impopolarit`, ignorato dalla critica, e che è forse l'incontro più stimolante con il cinema sovietico d'oggi: è l'impostazione di un'arditissima ricerca nel mondo dei valori, adottante in larga parte un metodo euristico di ascendenza resnaisiana. E questa presenza di Resnais, avvertibile anche in una tipica forma di ipermnesia figurativa non è imitazione ma meditata applicazione e assimilazione di forme ostiche ma utili, indicazione, sia pure ancora un po' approssimativa, di un impegno "rovesciato" delle forme dell'avanguardia e dell'irrazionalismo. Così la frantumazione di un mondo e di un comportamento sono il necessario complemento per un loro superamento verso un nuovo umanesimo, anche se il nesso è ancora un po' faticoso, e stona nel finale un'ombra di moralismo, e la non perfettissima maturazione linguistica (però a momenti ammirevoli impiglia talora il procedere delle intenzioni). Attraverso un confronto serrato e violento fra un vecchio giudice e un giovane scienziato incontratisi all'aeroporto di Villnius in attesa di un aereo che dovrebbe portarli alle esequie di un comune conoscente, lo scienziato Muratov, a Leningrado, e che in realt` non arriver` mai, attraverso una requisitoria implacabile sul presente e l'eccitazione della memoria del passato si cerca di ricostruire la verit` su Muratov. I due si lasciano e si ritrovano di continuo, vagando nella nebbia scura di Villnius: tutt'intorno ogni cosa assume una trasparenza spettrale, una realt` impastata d'angoscia (una macchina calcolatrice impazzita con i numeri che si inseguono vorticosi, un gelido bar con gli avventori distanti e impietriti, trombe di scale vuote, cupe). Il giovane assistente di Muratov aveva, unico fra gli allievi, abiurato gli studi di cibernetica, interrotti da una condanna ufficiale di Stalin, e nel presente ripete fatalmente in ogni atto "quel gesto" quel rifiuto di coscienza: assistette a un assassinio senza intervenire e ora non sa intraprendere una nuova vita con la donna che per lui ha abbandonato il marito (quest'ultimo rapporto è espresso nelle sequenze più belle del film, tese e angosciose: la ricerca di un letto per la coppia in un mondo meschino e falsamente conformistico è davvero una sorta di allegoria potente). Nell'ultima parte il giudice sembra suggerire al giovane la via di una rinascita proprio nel momento in cui lo distrugge totalmente in una chiarificazione brutale: abbiamo cosi un suggerimento di sintesi dopo il dissolvimento di una linea etica d'azione.

Giovanni Buttafava, Il giovane cinema sovietico, "Bianco e nero", n. 11, novembre 1966

Biografia

regista

Vitautas Zalakjavicjus

Vitautas Zalakjavcjus è nato il 14 aprile 1930. Termina i corsi di regia di Michail Ciaureli al VGIK nel 1956. Lavora nella natia Lituania, poi, negli anni '70 alla Mosfil'm. Membro del Partito Comunista dal 1961. Artista del Popolo della Repubblica Russa (1980) e Lituania (1981).

FILMOGRAFIA

1957: Utoplennik (L'annegato), mm; 1958: Poka ne pozdno (Finché non è tardi), co-regia Ju. Fogel'man; 1959: Adam chocet byt'Celovekom (Adamo vuoi essere uomo); 1960: Zivye geroi (Eroi vivi) due episodi del film; 1964: Chronika odnogo dnja (Cronaca di un giorno); 1965: Nikto ne chotel umirat' (Tutta la verità su Colombo), per la tv; 1973: Eto sladkoe slovo, svoboda (Questa dolce parola, libertà); 1975: Avarija (Avaria) per la tv; 1979: Kentavry (I centauri); 1981: Rasskaz o neizvestnogo celoveka (Racconto di uno sconosciuto); 1983; Izvinite pozaljusta (Scusate, prego).

Cast

& Credits

Regia, soggetto e sceneggiatura: Vitautas Zalakjavicjus.
Fotografia: A. Araminas.
Musica: da composizioni di Grieg ed E. Val'sis.
Suono: K. Zabulis.
Scenografia: A. Nicus.
Interpreti e personaggi: Bronjus Babkauskas (Rimsa), Ivan Dmitriev (Muratov), Agii'mantas Masjulis (Venckus), E. Zebertavicjute (Janina), Ivan Ozerov (Boris), Donatas Banionis (Donatos).
Produzione: Studi cinematografici lituani.
Prima proiezione pubblica: 7-9-1964.
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