Nazione: URSS
Anno: 1962
Durata: 90'


Durante la seconda guerra mondiale Ivan, un ragazzo dodicenne, è rimasto orfano (la sua famiglia è stata distrutta dai tedeschi). Diviso tra l'odio che troppo presto ha appreso e il bisogno tutto infantile di tenerezza e di protezione, Ivan si affeziona a tre soldati che stanno al fronte e che io impiegano come esploratore e staffetta. In effetti egli si comporta da adulto, troppo maturo ormai per andare a scuola con i suoi coetanei. li ragazzo è alla sua ultima missione al fronte, e proprio quella notte, il nemico scatena l'offensiva. I soldati a cui Ivan è affezionato, vengono impiccati, il ragazzo li vede morire. A Berlino molti anni dopo, nell'archivio della polizia segreta qualcuno ritrova i fascicoli riguardanti i civili uccisi dai nazisti: tra questi, vi è anche la foto di Ivan.

M.N., G.D.F., in Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario Universale del Cinema, Ed. Riuniti, Roma 1984, pag. 519.

Ivan è folle, è un mostro; è un piccolo eroe; in verit` è la più innocente e toccante vittima della guerra: questo ragazzo al quale non si potr` fare a meno di voler ben è stato forgiato dalla violenza e l'ha interiorizzata. I nazisti l'hanno ucciso quando hanno ucciso sua madre e massacrato gli abitanti del suo villaggio. Eppure, vive. Ma altrove, in quell'istante irrimediabile nel quale ha visto cadere il suo prossimo. Io ho visto alcuni giovani algerini allucinati, plasmati dai massacri. Per loro non c'è differenza tra l'incubo della veglia e gli incubi notturni. Erano stati uccisi, volevano uccidere o farsi uccidere. Il loro accanimento eroico è anzitutto l'odio e la fuga da una insopportabile angoscia. Se si battevano, nel combattimento fuggivano l'orrore, se la notte li disarmava, se ritornavano, nel sonno, alla tenerezza della loro et`, l'orrore rinasceva, rivivevano il ricordo che volevano dimenticare. Così è Ivan. Ed io penso che anzi va lodato Tarkovskij per aver mostrato così bene come, per questo bambino teso al suicidio, non ci sia differenza tra giorno e notte. In ogni caso, non vive con noi. Le azioni e le allucinazioni si corrispondono strettamente.
Guardate i rapporti che egli mantiene con gli adulti: vive in mezzo alle truppe, alcuni ufficiali brava gente, coraggiosa, ma "normale", che non ha dovuto patire un'infanzia tragica lo raccolgono, si occupano di lui, gli vogliono bene, vorrebbero ad ogni costo "normalizzarlo", spedirlo nelle retrovie, a scuola. Il bambino potrebbe, apparentemente, come nella novella di Solochov, trovare tra loro un padre per sostituire quello che ha perduto. Troppo tardi: egli non ha più bisogno neppure dei genitori; in modo più profondo ancora che questa privazione, è l'orrore incancellabile del massacro visto a ridurlo alla solitudine.
Gli ufficiali finiscono per considerare il bambino con un miscuglio di tenerezza, di stupore e di diffidenza dolorosa: vedono in lui quel mostro perfetto, tanto bello e quasi odioso che il nemico ha radicalizzato, che si afferma soltanto attraverso impulsi assassini (per es. il coltello) e che non può troncare i legami della guerra e della morte, che, adesso, ha bisogno di questo universo sinistro per vivere, che, in mezzo ad una battaglia, è liberato dalla paura e che, nelle retrovie, sarebbe travolto dall'angoscia. La piccola vittima sa ciò che gli occorre: la guerra che lo ha fatto il sangue, la vendetta. Così, i due ufficiali gli vogliono bene; quanto a lui, tutto ciò che si può dire, è che non li detesta. L'amore, per lui, è una strada sbarrata per sempre. Gli incubi, le allucinazioni non hanno nulla di gratuito. Non si tratta di un pezzo di bravura e neppure di un sondaggio praticato nella "soggettivit`" del bambino: essi restano perfettamente oggettivi, si continua a vedere Ivan dall'esterno come nelle scene "realistiche"; la verit` è che il mondo intero per questo bambino è un'allucinazione e che lo stesso bambino, mostro e martire, è in questo universo un'allucinazione per gli altri. È per questo che la prima sequenza ci introduce nel mondo vero e falso che è quello del bambino e della guerra, descrivendoci tutto a partire dalla corsa del bambino attraverso i boschi fino alla falsa morte della madre (è morta davvero ma l'avvenimento che non conosceremo mai perché è sepolto troppo nel profondo era differente; non ritorna mai alla superficie se non attraverso trascrizioni che gli tolgono un poco del suo nudo orrore). Follia? Realt`? L'una e l'altra: in guerra tutti i soldati sono folli; il bambino mostro è una testimonianza obiettiva della loro follia perché è lui il più folle. Non si tratta dunque né di espressionismo né di simbolismo ma di un modo di raccontare che l'argomento stesso esige, e che il giovane poeta Voznesenski chiamava "surrealismo socialista". Sarebbe stato necessario penetrare più profondamente le intenzioni dell'autore per comprendere lo stesso significato del tema: la guerra uccide coloro che la fanno anche se sopravvivono ad essa. E, in senso ancor più profondo, la storia, con un unico movimento, reclama i propri eroi, li fa e li distrugge rendendoli inadatti a vivere senza soffrire nella societ` che essi hanno contribuito a forgiare. È stato lodato Un uomo da bruciare nello stesso momento in cui si faceva il viso dell'armi contro L'infanzia di Ivan. Si sono rivolti elogi agli autori di quel film, peraltro onorevolissimo, perché avevano reintrodotto la complessit` nell'eroe positivo. È vero, gli hanno dato del difetti la mitomania per esempio. Hanno indicato nello stesso tempo la devozione del personaggio alla causa che difende e il suo autentico egocentrismo. Ma io non trovo in questo niente di veramente nuovo. In definitiva i migliori prodotti del realismo socialista ci hanno sempre presentato, nonostante tutto, degli eroi complessi, sfumati, hanno esaltato il loro merito avendo cura di sottolineare certe debolezze. In verit` il problema non è quello di dosare vizi e virtù dell'eroe ma di mettere in discussione l'eroismo stesso. Non per rifiutarlo, ma per comprenderlo.
Di questo eroismo, L'infanzia di Ivan mette in luce contemporaneamente la necessit` e l'ambiguit`. Il bambino non ha né piccole virtù né piccole debolezze: è radicalmente ciò che la storia ha fatto di lui. Scagliato nella guerra suo malgrado, è tutto intero fatto per la guerra. Ma se fa paura ai giovani soldati che gli stanno intorno è perché non potr` mai più vivere nella pace. La violenza che è in lui, nata dall'angoscia e dall'orrore, lo sorregge, lo aiuta a vivere e lo spinge a reclamare missioni pericolose di esploratore. Ma che ne sar` di lui dopo la guerra? Se sopravvive, la lava incandescente che è in lui non si raffredder` mai. Non c'è qui, nel senso più stretto del termine, una notevole critica dell'eroe positivo? Lo si mostra qual è, doloroso e magnifico, si fanno vedere le fonti tragiche o funebri della sua forza, si rivela che questo prodotto della guerra, perfettamente adatto alla societ` guerriera, è per questo stesso condannato a diventare asociale nell'universo della Pace. Così fa la storia degli uomini: li elegge, li cavalca e li fa crepare sotto di sé. In mezzo agli uomini della pace, che accettano di morire per la pace e fanno la guerra per la pace, questo bambino marziale e folle fa la guerra per la guerra. E proprio per questo vive, in mezzo a soldati che gli vogliono bene in una solitudine insopportabile. È un bambino, tuttavia.
Quest'anima desolata conserva la tenerezza dell'infanzia ma non può più sentirla né tanto meno esprimerla. Oppure, se ad essa si abbandona nei suoi sogni, se li incomincia nella dolce distrazione dei lavori quotidiani si può star sicuri che essi subiranno una inevitabile metamorfosi in incubi. Le immagini della felicit` più elementare finiscono per farci paura: conosciamo la fine. Eppure quella tenerezza repressa, spezzata, è viva in ogni istante; Tarkovskij si è curato di avvolgerne Ivan: è il mondo. Il mondo nonostante la guerra e perfino, a volte, a causa della guerra (penso ai cieli mirabili traversati da palle di fuoco). In verit`, il lirismo del film, il suo cielo dissodato, le sue acque tranquille, le sue foreste senza numero, sono la vita stessa di Ivan, l'amore e le radici che gli sono negate, ciò che egli era, ciò che è ancora senza potersene mai ricordare, ciò che gli altri vedono in lui, attorno a lui, ciò che egli non può più vedere. Non conosce nulla di più toccante che quella lunga sequenza: la traversata del fiume, lunga, lenta, straziante: nonostante la loro angoscia e la loro incertezza (era giusto far correre tutti quei rischi a un bambino?) gli ufficiali che l'accompagnano sono penetrati da quella dolcezza desolata, tremenda. Ma il bambino, con la fissazione della morte, non nota nulla, balza a terra, scompare: va verso il nemico. La barca ritorna verso l'altra riva; in mezzo al fiume, regna il silenzio: il cannone si è chetato. Uno dei soldati dice all'altro: "Il silenzio, è la guerra...".
In quello stesso istante il silenzio esplode: grida, urla, è la pace. Folli di gioia, i soldati sovietici hanno invaso la Cancelleria di Berlino, salgono di corsa le scale. Uno dei due ufficiali l'altro è morto? ha trovato in un ridotto alcuni fascicoli; il III Reich era burocratico: per ogni impiccato, una foto, un nome su un elenco. Il giovane ufficiale vede su uno di essi la foto di Ivan. Impiccato a dodici anni. In mezzo alla gioia di una nazione che ha pagato duramente il diritto di proseguire la costruzione del socialismo, c'è fra tanti altri questo buco nero, una puntura d'ago irrimediabile: la morte di un bambino nell'odio e nella disperazione. Nulla, neppure il comunismo avvenire riscatter` questo. Nulla: ci viene mostrata qui senza via di mezzo la gioia collettiva e questo modesto disastro personale. Non c'è neppure una madre per confondere dentro di sé dolore e fierezza: una perdita secca. La societ` degli uomini progredisce verso i suoi fini, i vivi realizzano quegli scopi con le loro proprie forze e tuttavia, quel piccolo morto, minuscola spazzatura della storia, rimane una domanda senza risposta che non compromette nulla ma che fa vedere tutto sotto una luce nuova: la Storia è tragica. Lo diceva Hegel. E anche Marx, il quale aggiungeva che essa progredisce sempre attraverso i suoi lati peggiori. Ma noi non lo dicevamo quasi più, in questi ultimi tempi insistevamo sul progresso e ci dimenticavamo le perdite che nulla può compensare. L'infanzia di Ivan viene a ricordarci tutto ciò nel modo più insinuante, più dolce, più esplosivo. Un bambino muore. Ed è quasi una happy end giacché egli non poteva sopravvivere.

Jean-Paul Sartre, "Lettera all'Unit`", 9 ottobre 1962

Biografia

regista

Andrej Tarkovskij


FILMOGRAFIA

Ubijtsy (Gli uccisori, coregia/codirector Alexander Gordon, Marika Beiku, cm, 1958), Segodnja uvolnenija ne budet (Non cadranno foglie stasera, coregia/codirector Alexander Gordon, cm, 1959), Katok i Skripka (Il rullo compressore e il violino, cm, 1960), Ivanovo detstvo (L’infanzia di Ivan, 1962), Andrej Rublëv (id., 1966), Soljaris (Solaris, 1972), Zerkalo (Lo specchio, 1975), Stalker (id., 1979), Tempo di viaggio (coregia/codirector Tonino Guerra, 1983), Nostalghia (id., 1983), Offret (Sacrificio, 1986).

Cast

& Credits

Regia e montaggio: Andrej Tarkovskij.
Soggetto: dal racconto Ivan di Vladimir Bogomolov.
Sceneggiatura: V. Bogomolov, Michail Papava.
Fotografia: Vadim Jusov.
Musica: V. Ovcinnikov.
Scenografia: V. Chernjaev.
Interpreti e personaggi: Kolja Burljaev (Ivan), Valentin Zubkov (capitano Kholin), I. Tarkovskaja (madre di Ivan), E. Zarikov (tenente Galcev), V. Maljavina (Maxa), D. Miljutenko (il vecchio), S. Krylov (Katasanov), N. Grin'ko (Grjaznov).
Produzione: Mosfil'm.
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