Nazione: Kazakhistan
Anno: 1963
Durata: 100'


Dal momento che nella mia ultima "Lettera da Varsavia" non avevo dedicato una sola parola a Kazimierz Kutz, Marcel Martin ne ha dedotto che l'autore di Milczenie occupi nel cinema polacco una posizione secondaria. La qual cosa è assolutamente falsa. L'autore di Milczenie (un film totalmente incompreso a Venezia, dove è stato giudicato sotto il profilo delle sue presunte tendenze antireligiose), aveva debuttato sei anni fa con un film modesto, realista e umano, Krzyz walecznych (Medaglia al valore). Ma gi` il suo film successivo, Nikt nie wola (Nessuno chiama), sovvertendo la costruzione drammaturgica convenzionale, aveva rivelato tutta l'originalit` del suo talento. Ludzie z pociagu (La gente del treno), il suo terzo film, può essere paragonato alla prosa proustiana: partendo da un soggetto molto convenzionale (l'attesa di un treno in una piccola stazione di provincia, sotto la minaccia di una rappresaglia tedesca), Kutz disegna una galleria di ritratti umani e conferisce a ogni gesto una profonda esattezza psicologica. Milczenie è ora una nuova tappa della sua ricerca sui problemi morali ed esistenziali. Bisogna subito dire che Milczenie è senza dubbio un film poco accessibile al pubblico. Inoltre rischia di essere frainteso fuori dalla Polonia, in paesi in cui i problemi religiosi hanno minore importanza e in cui il dramma che si svolge nella coscienza di un prete responsabile delle disgrazie di un bambino cieco può lasciare lo spettatore indifferente. Questo film, difficile per il grande pubblico, talvolta misterioso, ci sorprende tuttavia per la bellezza delle sue immagini severe, per il ritmo lento del racconto, per la penetrazione nelle profondit` dell'animo umano. Benché ateo, Kazimierz Kutz non cerca di mettere in cattiva luce il prete. Ci d` invece il ritratto impressionante di un vecchio, alla soglia della morte, che ritrova la possibilit` di un rapporto con gli altri, da lungo tempo smarrito, e che paga caro la sua colpa.

Konrad Eberhardt, Lettre de Varsovie, "Cinéma 64", n. 91, dicembre 1964


Il protagonista perde la vista: è per questo motivo che il film ha una forma visiva più intensa e più acuta. Mi piacerebbe anche che il film fosse discreto, di fattura tradizionale e quasi prosaica. Tuttavia cerco di superare questi limiti e di far nascere ogni sequenza dalla realt`, di avanzare verso un risultato psicologico, verso il mondo soggettivo dei personaggi, portando il personaggio a una reazione individuale. Non si tratter` né di un film religioso, né di un film imperniato sulla menomazione fisica in se stessa. Non mi interessa il problema dell'intolleranza, perché credo che gli aspetti più generali dei problemi qui sollevati siano senz'altro più importanti: per esempio il segreto conflitto per influenzare l'animo umano e il problema della resistenza. Attraverso le poche modifiche portate al libro da cui è tratto il soggetto, molte soluzioni sembreranno più chiare, e il significato del film sar` più profondo. Ogni scena in cui sar` presente il ragazzo sar` seguita da una domanda posta al sacerdote. Naturalmente sarebbe stato più facile fare un film con una tesi ben definita, ma non era nostra intenzione farlo. li dramma del sacerdote è come quello del ragazzo, è il dramma di un essere umano, ma l'evoluzione di questi due caratteri avviene secondo due linee divergenti: quella del sacerdote conduce alla morte, quella del ragazzo alla vita. A dispetto dell'infermit`, a dispetto della persecuzione... Il prete non è affatto un vigliacco, ma è incapace di assumere una posizione netta e precisa, non è in grado di sostenere sulle sue spalle di vecchio il pesante fardello del problema cui deve far fronte e che gli si chiede di risolvere. Non voglio cercare di giustificarlo, in questo film non mi interessano il peccato o il castigo; tutto quello che voglio fare è porre un certo numero di problemi d'ordine morale, mettere in luce il destino e i drammi degli esseri umani, e insistere su questo silenzio, che non solo può essere molto espressivo, ma può essere anche un mezzo molto potente.

Kazimierz Kutz, dichiarazione riportata in "Image et Son", n. 170171, febbraiomarzo 1964


Szczygiel, l'autore del libro, ha perso la vista in tenera et` ed ha conosciuto, oltre all'immancabile compenso (o se vogliamo ingigantimento) uditivo, l'incremento dell'immaginazione propriamente visiva. La sua memoria visiva è fenomenale, i suoi sogni sono a colori. È capace di andare a fare reportage presso le masserie di Stato e descrivere la natura, i fiori, i pesci... A leggere il libro, specie la parte riguardante l'infanzia del protagonista, risulta una registrazione a dir poco sbalorditiva di particolari cinematografici quale non potrebbe scaturire dall'opera di un autore vedente. Scrivere una sceneggiatura equivale appunto a reperire un certo quantitativo di dettagli originali, irripetibili fuori da un certo contesto, per ordinarli quindi in una sequenza visiva. Intraprendendo la realizzazione di questo film mi sono inoltrato sul pericoloso sentiero della problematica sociale. Si aspettava da parte degli uni un film anticattolico, da parte dei cattolici un film che non ledesse i loro sentimenti. Da parte mia ho creduto nella possibilit` di girare un film antifideistico e l'ho fatto. In sostanza mi è andata male, perché gli uni vi hanno comunque visto una matrice anticattolica, gli altri completamente l'inverso. Insomma, non ho soddisfatto nessuna delle parti. Milczenie è stato per me, come cineasta e come uomo, una bella avventura. Ho affrontato per la prima volta un problema serio quale la vecchiaia. Ho dovuto studiarla rispettivamente nel laico e nell'ecclesiastico. Sono due cose differenti. In Polonia il prete cattolico è isolato dalla societ`, vive nella sua canonica, a due passi dal posto di lavoro. Coltiva quell'isolamento in quanto fondamentale attributo della sua professione. Ogni autorit` deve isolarsi. In definitiva trascorre tutta la sua esistenza in solitudine, una solitudine che nella vecchiaia assume tratti ben più vistosi che per gli altri individui. Il laico trova conforto nei familiari, nei nipoti... La vita gli offre stimoli e compensazioni tali da fargli vivere piacevolmente la terza et`. Per un prete la vecchiaia può risultare drammatica. Insorgono spesso deviazioni. Il bisogno di vivere insieme al Dio, il parlare in continuazione di Lui, lo portano spesso ad un atteggiamento di confidenzialit` esagerata nei confronti della divinit`. Il confine tra quello che è reale e quello che non lo è viene a perdersi, e per molti preti è proprio questa l'unica strada possibile. Altri invece tornano bambini, nel vero senso della parola. Perché nella sfera puramente biologica la loro vita è vuota. Un prete non prolunga la sua esistenza mediante la discendenza. L'aver affrontato questa ed altre problematiche affini connesse al film mi ha reso più profondo come uomo. Oggi ho coscienza del limite delle potenzialit` umane, della fine, dell'alternativa. Possiamo dire che la figura del santo ubriacone rappresenti una variante esteriore, estremizzata, del destino del giovane mutilato. Ho una tendenza maniacale, quella di non varcare il confine dell'obiettivit`. Ritengo che ciascun individuo sia irripetibilmente autonomo e che intaccare tale autonomia significhi puntare dritti alla mistificazione (è comunque un "colpo basso", un semplificare, una grafomania cinematografica dei nostri tempi). Il cinema ha la possibilit` di riportare su uno schermo tutte le sfumature dell'animo umano mediante strumenti "esteriori". lo non ho mai superato quella soglia. Sarebbe stato facile, poi, soprattutto in un film come questo, darsi alla descrizione di stati interiori. Il vanto di aver girato Milczenie nasce fra l'altro dall'aver saputo rinunciare a questa splendida opportunit`. Non è, sia ben chiaro, un film riuscito in tutto e per tutto, ma si tratta pur sempre della riduzione di un libro, e dietro il libro si cela un autore. Ad un certo punto, perciò, le mie competenze, le mie possibilit` si esauriscono. Ma è un film che apprezzo moltissimo. Vi ho teso al massimo lo sforzo di trovare l'equivalente sensibile di stati psichici e psicologici.

Intervista con K. Kutz, "Kultura filmowa", n. 2, 1979

Biografia

regista

Kazimierz Kutz

Regista e sceneggiatore. Nato il 16 febbraio 1929 a Szopienice. Nel 1954 si laurea alla Scuola Superiore di Cinema di Lódz. Negli anni 1972-78 direttore artistico del gruppo di produzione "Silesia". Negli anni 1979-82 insegnante alla Facoltà di Radio e Televisione dell'Università Slesiana di Katowice. È anche regista di teatro. Assistente alla regia di Pokolenie (Generazione, 1954) e Kanal (I dannati di Varsavia, 1956) di Wajda, di Cien (L'ombra, 1956) di Kawalerowicz e di Zarnach (L'attentato, 1958) di Passendorfer.
Film: 1958: Krzyz walecznych (Medaglia al valore); 1959: Jesienny dzien (Giorno d'autunno) cm.; 1960: Nikt nie wola (Nessuno chiama); 1961: Ludzie z pociagu (La gente del treno); Tarpany (Tarpani); 1963: Milczenie (Il silenzio); 1964: Upal (Afa); 1966: Ktokolwiek wie (Chiunque sappia); 1967: Skok (Scasso), prima proiezione 1969; 1969: Sol ziemi czarnej (Il sale della terra nera); 1971: Perla w koronie (La perla della corona); 1973: Mecz (La partita), doc. tv, prima proiezione 1981; 1974: Linia (La linea); 1975: Znikad donikad (Da nessuna parte e verso nessuna parte); 1979: Paciorki jednego rózanca (I grani di un rosario); 1983: Na strazy swej stac bede (Sarò guardiano di me stesso); 1985: Wkrótce nadejda bracia (Tra poco arrivano i fratelli).

Cast

& Credits

Regia: Kazimierz Kutz.
Soggetto: dal romanzo omonimo di Jerzy Szczygiel.
Sceneggiatura: Jerzy Szczygiel, Kazimierz Kutz.
Fotografia: Wieslaw Zdort.
Scenografia: Ryszard Potocki.
Musica: Wojciech Kilar.
Interpreti e personaggi: Kazimierz Fabisiak (il parroco), Miroslaw Kobierzycki (Stach), E1zbieta Czyzewska (Kazia), Maria Zbyszewska (Stefa), Zbigniew Cybulski (Roman), Tadeusz Kalinowski (Wójcik), Edward Raczkowski (Firganek), Stefan Wroncki (Grzegorz), Zygmunt Zintel (Sitnik), Halina Luszczewska (Bejcowa), Grzegorz Kowalski (Leszek), Józef Sajdak (Tadek), Helena Chaniecka, Aleksander Fogiel, Stanislaw Igar, Janusz Ktosinski, Zygmunt Listkiewicz, Jerzy Markuszewski, Ryszard Marzecki, Józef Pilarski, Karol Rómmel, Miroslaw Szonert, Antoni Zukowski.
Produzione: "Kadr".
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