Nazione: Kazakhistan
Anno: 1961
Durata: 98'


[...] Il film si svolge durante la costruzione della miniera a cielo aperto di Turoszów, il più grande investimento degli anni sessanta, di cui parlarono stampa, televisione, cinegiornali, documentari. In Zloto non ci sono sogni, visioni o deformazioni, Has non ha avuto bisogno di una scenografia molto articolata per creare l'effetto di una situazione fuori del comune: lo stesso paesaggio del cantiere di Turoszów costituiva un elemento insolito di per sé. Questa volta la realt` esterna viene subordinata all'universo individuale. Al proprio arrivo in quell'angolo di mondo a due passi dalla frontiera, ogni personaggio si aspetta o fugge da qualcosa. Un Ragazzo, interpretato da Wladyslaw Kowalski, arriva a Turoszów coll'autostop. Di lui non sappiamo né il nome né il cognome, gli altri lo chiamano "Primo" o "Kajtek": non è un normale operaio, addetto a lavori pesanti, fugge dalla giustizia. Dalle scarne informazioni dei dialoghi veniamo a sapere che faceva l'autista e che deve aver investito un uomo (ma alla fine si sapr` che si trattava di un cane). Ma c'è anche un'altra interpretazione del significato della sua presenza e del suo atteggiamento un po' isterico. Tutta la sua storia è un'invenzione estemporanea: è un mitomane, un maniaco? Si tratta forse di uno scrittore ai suoi primi passi? Del resto gi` il commento fuori campo all'inizio del film ricorda le prime frasi di un romanzo incompiuto. [...] Qualche tempo fa Krzysztof Toeplitz ha notato che il vero eroe di Zloto era la fantasia rigogliosa di un uomo in azione. Era questa la modernit` del film, che annunciava gi` Walkower di Skolimowski. La realt` qui non è scissa tra la sfera del reale, niente suggerisce che il protagonista stia immaginando qualcosa. Ciò nonostante, l'esistenza di tutti i personaggi che si muovono davanti a quell'assurdo paesaggio, un paesaggio che da lontano ricorda il mare, è come ipotetica, come sorta dal caos davanti a noi.
Zloto voleva essere una provocazione sui generis: il suo carattere provocatorio nasce dal fatto che tutti i personaggi che vi compaiono "creano" qualcosa. Per ognuno di loro il lavoro a Turoszów è finalizzato a trasformare in realt` una qualche illusione, a conquistare il metaforico "oro" del titolo, simbolo della felicit`, cui pensano continuamente. La felicit` dell'operaio (Jerzy Turek) è una fattoria con un allevamento di polli, quella del geologo (Krzysztof Chamiec) è collezionare le pietre che raccoglie durante gli scavi; la felicit` di Edzio sassofonista della taverna locale (Tadeusz Fijewski) si identifica con una tournée in Bulgaria, quella della ragazza del bar (Barbara Krafftówna) con il fare conoscenza con la gente dell'altra parte del bancone. Al bar si incontrano tutti. Osservando quell'accolita di persone che recitano davanti a lei il loro "teatrino delle marionette", la barista osserva i suoi clienti con ironia. "Non mi piacciono i tragici" confida al Ragazzo, che alla fine naturalmente come conviene ad ogni flirt ben costruito viene ammesso al suo boudoir. Come il Ragazzo, la barista è una "creatrice" consapevole. Se la presenza di lui introduce un carattere drammatico, quella di lei uno ironico, da commedia. All'ingegneregeologo si addice invece il tono tragico dei romanzi di Zeromski. E lui che completa, per puro caso, il ritratto di uno scapestrato, ingenuo per finta, di un criminale mancato, che vorrebbe invece ricondurre sulla retta via. Purtroppo la tisi non perdona: l'ingegnere muore per aver preso freddo aspettando il Ragazzo, sulla frontiera: aveva creduto a tutte le sue menzogne, al suo piano di fuga in Occidente, alla sua ricerca dell'oro. Ma anche questo tono non è quello dominante. Quel bizzarro ingegnere che colleziona uomini, pietre preziose e farfalle non è che una delle tante figure create da Has. Falliti? Inventori? Fatto sta che il Ragazzo cade in mezzo a loro come dentro a una rete. Non ha una biografia, uno stile, ha solo una fantasia morbida e rapida, recita varie parti contemporaneamente. Per le ballerine (Doris, Judy e Mary, un trio esotico) che dividono l'alloggio con lui è il "primo" uomo che hanno incontrato in quel posto, per la barista è il "tragico", il "braccato", per l'ingegnere un bambino ingenuo, che dev'essere redento. Nel frattempo il Ragazzo cambia volto e biografia, passando da un personaggio all'altro. Sta cercando qualcosa. Ma cosa? Cos'è per lui l'"oro"? Non lo fa forse e semplicemente per avere qualcosa di interessante? In questo modo il tema del film viene dominato dal gioco delle illusioni, dalla convenzione del flirt o del "teatrino" che si recita sullo sfondo di un paesaggio industriale.
Ma la provocatoriet` di Zloto ha anche un'altra dimensione, riguarda il regolamento di conti tra il regista e i suoi critici. Il film ha porto l'occasione ad Has di staccarsi dal suo "vecchio" tema, dall'etichetta di poeta nostalgico di un mondo ormai scomparso. Con questo film Has dimostra invece che il suo dramma delle illusioni, a cominciare dal documentario Moje miasto (La mia citt`, 1950), può venir messo in scena perfino nel luogo che lui ha meno posseduto, totalmente privo di passato: sono gli uomini che vi sono arrivati a portarselo dietro. La miniera a cielo aperto non ha niente a che vedere con i tipici motivi del regista, come il "vicolo", l'interno del dormitorio per gli operai non è un vecchio "ripostiglio" dove trovare oggetti preziosi ed antichi: anche qui però, all'ombra delle scavatrici, c'è spazio sia per il "vicolo" che per l'idillio o il "ripostiglio", bastano poche foto ritagliate dalla rivista "Film" ed attaccate sopra il letto, le pietre che l'ingegnere ha scavato nella terra e disposto sul suo tavolo. Non a caso quel suo "rimestare nella terra" è poeticamente paragonato al frugare in una vecchia soffitta. Tutto ciò che Has tocca può appartenere al passato, alla natura, perfino alla fisiologia si trasforma in cultura, in mito, in un luogo popolato, trasfigurato e posto al di fuori del tempo.

Tadeusz Sobolewski, Nasz iluzjon, "Kino" (Varsavia), n. 5, 1980


Tutti i suoi film sembra che testimonino l'ossessione della solitudine e che insieme privilegino in modo particolare i personaggi in bilico.
Sì. Non è una scelta consapevole, ma è vero. Credo che sia il modo in cui concepisco la solitudine dell'uomo moderno che, nel suo isolamento, non riesce a superare certe situazioni. I miei personaggi non sono dei deboli: vorrebbero agire, ma non possono. Non sono neanche degli stupidi. Sa, è difficile vivere in modo positivo e se ci si prova si incontrano un mucchio di ostacoli. Vivere in modo regolare e giusto è come trovare il fondamento di se stessi ed è questo che vogliono realizzare i miei personaggi.
Nei suoi film ci sono elementi autobiografici? Ad esempio, non c'è qualcosa di lei nell'ingegnere di Zioto (L'oro)?
Sì, ma solo fino a un certo punto. Il suo lato debole è che parla troppo e non agisce; non facendolo, cerca di farlo fare agli altri.
Alcuni suoi film in Polonia sono "maudits": lei sa perché?
Lei sa che cos'è stato il cinema polacco fino al 1956. Io ho voluto andare in una direzione diversa e questo non è stato ben visto: non so proprio perché.
Lei come si colloca all'interno del cinema polacco?
Non lo so. Adesso ho una posizione che mi sembra buona, ma ho dovuto farmi strada da solo. Anche ora sono solo. Lavoro dal 1945, ma il cinema come tale è una cosa ambigua, complessa e diversificata; anche dopo tutti i film che ho fatto, non mi sembra di essermi espresso completamente, Credo che adesso potrò incominciare a farlo.
I suoi prossimi film avranno gli stessi temi di quelli passati?
Ognuno di noi è legato al proprio passato: è come un insegnamento, a cui si fa sempre appello: ci si ritorna sempre, come per attingere a una sorgente. Ma da parte mia non è una scelta deliberata neanche questa, è un fatto immediato. Penso che se riprendo spesso questo tema è perché io stesso sono fatto così e perciò questa è la mia direzione naturale.
Sembra che lei metta molto di sé nei suoi film.
- No, non si tratta di autobiografie. È vero che cerco di trasporre in altri le mie riflessioni sulla gente e su me stesso, ma questo è tutto. Il difficile per me è trovare un soggettista che mi assecondi.
In questi personaggi che non riescono a realizzarsi e che si ritrovano in quasi tutti i suoi film, dobbiamo vedere una presa di posizione nei confronti della societ` in generale?
- No, non esattamente. Penso che le condizioni sociali siano accettabili per un individuo mediocre, ma per quelli di valore esse sono impossibili. Oggi per i polacchi le condizioni di vita sono buone, ma molte cose arrivano agli individui dall'esterno. A questo punto le persone finiscono per desiderare di avere tutto, senza voglia di lottare. […].
Credo che lei presti una particolare attenzione al décor.
- Il décor è molto importante, ogni film ha un'ambientazione particolare, che è legata un po' al personaggio che ci vive dentro. Pertanto mi servo della scenografia e dei costumi per esprimere I miei personaggi. In genere lavoro con un grafico, Skarzinski, e intervengo solo per alcuni particolari. […]
Un'ultima domanda: crede di aver subito l'influenza di qualcuno, come regista?
Non credo. Voglio dire che sono stato influenzato da elementi estranei al mondo del cinema: quelli che derivano dalla mia formazione di pittore e dall'ammirazione per la letteratura in generale e per quella americana in particolare. Nel cinema mi piace molto Lewis Milestone.

Entretien avec Wojciech Jerzy Has, a cura di François Chevassu, "Image et Son", n. 170171, febbraiomarzo 1964

Biografia

regista

Wojciech Jerzy Has

Regista e sceneggiatore. Nato il 1 0 aprile 1925 a Cracovia. Studia all'Accademia di Belle Arti e contemporaneamente frequenta i Corsi di Avviamento alla Cinematografia di Cracovia. E assistente di S. Wohf e J. Wyszomirski per il film Dwie godziny (Due ore, 1948). Dal 1948 lavora alla WFD (Casa di Produzione dei Film Documentari) e dal 1950 alla WFO (Casa di Produzione dei Film Didattici), dove realizza numerosi cortometraggi. Docente alla Scuola di Cinema di Lódz. Dal 1981 direttore artistico del gruppo "Rondo". Film (esclusi i cortometraggi documentari): 1948: Harmonia, mm.; 1957: Petla (Il cappio); 1958: Pozegnania (Gli addii); 1959: Wspólny pokój (La stanza comune); 1960: Rozstanie (L'addio); 1961: Zloto (L'oro); 1962: Jak byc kochana (Come essere amata); 1964: Rekopis znaleziony w Saragossie (Il manoscritto trovato a Saragozza); 1966: Szyfry (Codici cifrati); 1968: Lalka (La bambola); 1973: Sanatorium pod Klepsydra (La clessidra); 1982: Nieciekawa historia (Una storia poco interessante); 1984: Pismak; 1986: Osobisty pamietnik grzesznika (Diario intimo di un peccatore), 1988: Niezwykla podróz Baltazara Kobera (L'insolito viaggio di Balthazar Kober), Polonia-Francia.

Cast

& Credits

Regia: Wojciech Jerzy Has.
Sceneggiatura: Bohdan Czeszko.
Fotografia: Stefan Matyjaszkiewicz.
Scenografia: Jerzy Skarzynski.
Musica: Lucjan M. Kaszycki.
Interpreti e personaggi: Wladyslaw Kowalski (il Ragazzo), Krzysztof Chamiec (Piotr), Barbara Krafftówna (la cameriera), Adam Pawlikowski (l'ingegnere), Tadeusz Fijewski (Edzio), Aleksander Fogiel ("Vecchio"), Elzbieta Czyzewska (Dorota), Danuta Korolewicz (moglie di Piotr), Halina Dobrucka (Maria), Teresa Mikolajczuk (Janka), Zdzistaw Maklakiewicz (Smutny), Jan Kobuszewski (cameriere), Marian Wojtczak (primo autista) Marian Wisniewski (secondo autista), Maria Bednawska (Franusiowa), Wojciech Siemion e Jerzy Turek (coinquilini).
Produzione: "Kamera".
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