Nazione: Italia
Anno: 1949
Durata: 111'


La famiglia di Luigi Goretti, bracciante agricolo, composta di padre, madre e sei figli, viene alloggiata per intercessione dei proprietari, nel casolare abitato dai coloni Serenelli, padre e figlio, nella malsana zona paludosa, vicino a Nettuno. I Serenelli accolgono con aperta ostilit` i nuovi venuti. Luigi Goretti è un lavoratore instancabile, ma ben presto la malaria l'uccide. La famiglia, rimasta priva del suo capo, è esposta più che mai alle prepotenze dei Serenelli. Il vecchio, ubriacone e dissoluto, fa una corte assidua alla vedova; ma viene da questa risolutamente respinto. Il figlio Alessandro è preso da una passione morbosa per la figlia maggiore Maria, ancora quasi bambina. Da prima cerca d'attirarla con qualche piccolo dono, poi tenta d'usarle violenza. Ma la piccola gli resiste decisamente e gli sfugge, eccitando sempre più le malvagie brame del giovane, che giunge al punto di minacciarla. In un giorno di luglio, nell'ora più calda, mentre tutti sono fuori a lavorare, Alessandro obbliga Maria ad entrare in casa ed accecato dall'ira per la ferma resistenza della fanciulla, la colpisce replicatamente con un punteruolo. Trasportata all'ospedale, la poveretta muore dopo atroci sofferenze sopportate con ferma fede e dopo aver perdonato al suo assassino.

Segnalazioni cinematografiche C.C.C., vol. XXVI, 1949


La critica cinematografica, abituata com'è sulla scia delle altre e per comodit` o per pigrizia a schematizzare, a classificare, a incasellare in appositi compartimenti questa o quella opera, ha inserito Cielo sulla palude nel cosiddetto neorealismo italiano, cadendo in nuove confusioni e in nuovi equivoci: ha infatti parlato di "neorealismo" perché Genina si è ispirato a fatti autentici, perché ha girato il film nei posti ove si svolse l'azione e perché infine si è valso in linea di massima di attori non professionisti: di "tipi", di autentici contadini. Confusioni grossolane e assurde quanto quelle in cui sono incorsi altri recensori, che invece identificano il cosiddetto neorealismo nella cronaca pura e semplice ed escludono che Cielo sulla palude possa rientrare in questo neorealismo soltanto perché il titolo del film è simbolico, e altri simbolismi l'opera conterrebbe. Alla stessa stregua non sarebbe "neorealista" neppure Sciusci` o Ladri di biciclette, in quanto il cavallo bianco e la bicicletta sono due simboli.
Il problema, si sa, è ben diverso, si tratta di verit` artistica o di non verit`: sono i risultati che contano, e non certi schemi di comodo. [...] All'indagine introspettiva Genina preferisce una descrizione non tanto in funzione del racconto e dei rapporti interiori quanto volta ad esercitazioni formalistiche: egli si lascia sedurre dalla calligrafia. E, se pur ispirandosi al Patini non cade nel "lacrimogeno", si avvicina al patetico deamicisiano, tramuta la grazia di certe situazioni insistite (quelle dei bambini) in leziosit`: in quanto esprime questa grazia per mezzo di atteggiamenti graziosi. Quando vengono a mancare anche gli elementi calligrafici, il film cade generalmente in una retorica che ricorda certe scene di L'assedio dell'Alcazar o di Bengasi. Non per questo Cielo sulla palude è opera mediocre. Fra i film più o meno ambiziosi da Genina diretti in Italia, questo è senza dubbio il migliore.

Guido Aristarco, "Cinema", n. 28, 15 dicembre 1949


Nella sceneggiatura su cui ha lavorato Genina, apportandovi svariate modifiche, la violenza di Cielo sulla palude era ancor più sottolineata, dalla descrizione della vanga che, sospinta dal piede paterno, entra nella terra, alla madre che fora le orecchie di Maria per mettervi degli orecchini, in un'anticipazione degli squarci che il coltello avrebbe esercitato sul suo corpo. E nella preghiera col padre veniva esplicitato "benedetto sia il frutto del ventre tuo, Gesù", che è l'esatto rovescio di quella volont` negativa, come la sterilit` della palude, dei rifiuti di Maria. Il film è oltretutto, per l'ennesima volta, un dialogo a distanza fra Genina e Rossellini, dove alla follia malgré tout vitale di Il miracolo (Amore, 1948, con Anna Magnani) si risponde con una forzatura verso il vuoto. Non a caso uno degli incontri violenti tra Maria e Alessandro avviene quando si incrociano sul campo durante la semina, come inconsapevoli di quella vita che, attorno e da loro stessi disseminata, continua.
Ma in tutto il film viene a dominare, oltre la flagranza, ricercata e amata, delle voci, il potere della parola che uccide, per dirla con un remoto, non visibile film geniniano. A Maria dicono che la serpe (vipera, dice lei) si vendicher` uccidendola, stacco su Alessandro disteso nel campo: la vipera Alessandro la uccider`. [...]
Da una testimonianza di Adriano Cambellotti apprendiamo inoltre che Genina ha voluto girare la sequenza dell'omicidio in un set sospeso, su cui, come se si trattasse (e si trattava) di un violento atto sessuale, dovevano essere presenti pochi indispensabili componenti della troupe.

Sergio Grmek Germani, Il cinema di Augusto Genina, PordenoneTorino 1989

Biografia

regista

Augusto Genina

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Augusto Genina.
Soggetto: Madame E. Psorulla, Augusto Genina, Suso Cecchi D'Amico, Fausto Tozzi.
Fotografia: G.R. Aldo.
Scenogratia: Virgilio Marchi.
Soggetto: Anna Maria Fea, Adriano Cambellotti.
Musica: Antonio Veretti.
Montaggio: Edmondo Lozzi, Otello Colangeli.
Interpreti e personaggi: Ines Orsini (Maria Goretti), Mauro Matteucci (Alessandro Serenelli), Giovanni Martella (Luigi Goretti), Assunta Radico (Assunta Goretti), Francesco Tomolillo (Giovanni Serenelli), Rubi Dalma (la contessa Teneroni), Michele Malaspina (conte Teneroni), D. Viglione Borghese (il dottore).
Produzione: Renato Bassoli per Artisti Associati.
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