Nazione: Italia
Anno: 1949
Durata: 101'


Il pretore Guido Schiavi, arrivando a Capodarso, piccolo paese della Sicilia, si imbatte nel pretore uscente, che lo consiglia di fuggire quell'ambiente dominato dal sopruso e dall'odio. Ma il giovane Magistrato è deciso a compiere la sua missione. In paese tutti lo accolgono con malcelata diffidenza; unico a dimostrargli lealtà è un ragazzo: Paolino. Fra i gravi problemi della zona, il Pretore cerca di risolvere la situazione dei minatori in seguito alla chiusura della miniera, cercando di indurre i proprietari, i baroni Lo Vasto, a riaprirla. Questa iniziativa gli concilia, a sua insaputa, la simpatia del capo della mafia; il Barone apparentemente lo asseconda, ma in realtà è irritato che il Pretore si interessi nei suoi affari non sempre corretti, e dopo averlo inutilmente cercato di corrompere ordina ad un sicario di ucciderlo, ma il Pretore riporta soltanto lievi ferite. Frattanto i minatori, esasperati per il prolungarsi della loro situazione, invadono la miniera; il Pretore costretto ad opporre la forza, finisce per avere contro tutto il paese. Disgustato e amareggiato, egli sta per abbandonare la partita. Durante un litigio, la Baronessa accusa il marito d'esser stato il mandante nell'attentato al Pretore. Colto dal panico, il Barone si rende irreperibile. La Baronessa allora si rivolge al Magistrato, con il quale era sorta una viva reciproca simpatia; questi, in una crisi di depressione, le dice di voler lasciare il paese e le esterna i suoi sentimenti. La Baronessa è decisa a seguirlo, allorché giunge notizia dell'assassinio di Paolino. Esasperato, il Pretore convoca la popolazione sulla piazza e pronuncia un atto di accusa contro tutti. La sua appassionata requisitoria giunge a scuotere le coscienze; il capo della mafia si rivela, affermando di volersi sottomettere alla legge, e gli stessi mafiosi, allora, circondano l'assassino di Paolino e lo consegnano al Pretore. Per la prima volta, nella piazza di Capodarso risuona, fra il generale rispetto, la frase rituale: "In nome della legge...".

Dal visto di censura n. 5362, 8 marzo 1949



Il racconto è serrato e vigoroso, le immagini suggestive, il paesaggio sfruttato magistralmente, i movimenti precisi. Se in qualche punto tradisce l'influenza di altri autori (l'apparizione della mafia in cima alla collina che ricorda analoghe situazioni nel "western", l'idillio di Paolino e Vastianedda nel fienile) Germi ha tuttavia maturato i temi riproponendoli con uno stile suo inconfondibile. E ci sembra che siano anche approfondite le relazioni sociali tra i diversi personaggi, da una parte la misera popolazione di zolfatari, dall'altra la nobilt` feudale del barone conservatore. Negli intendimenti dell'autore la mafia svolge una funzione equilibratrice, da ceto medio.
Non sappiamo fino a che punto questa impostazione sia esatta, non abbiamo una conoscenza diretta della situazione locale e dobbiamo credere a Germi e gli crediamo perché è evidente la sua presa di posizione a favore delle classi più misere. Per coloro che troveranno discutibile il finale, che vi noteranno una frattura con l'andamento e l'impostazione di tutta l'opera, noi siamo d'accordo col regista. Ammettiamo un certo tono retorico, diciamo pure la preoccupazione del "lieto fine" (del resto gi` contenuto nel romanzo) ma consideriamo l'ultima parte (dalla morte di Paolino allo stacco con il suono delle campane) come una favola, come un augurio, come una speranza che un giorno finalmente la Sicilia non si senta più così staccata e lontana dal resto dell'Italia, che la mafia non si creda più l'unica depositaria della giustizia, ma che alla giustizia vera ed alla legge si sottometta riconoscendone l'autorit`.

Alfredo Panicucci, "L'Avanti!", 9 aprile 1949


Si è più volte parlato degli equivoci di diversa natura in cui spesso cadono i molti detrattori di certo nostro cinema, i quali confondono, come del resto molti registi, il cosiddetto "neorealismo" con la formula. Tali detrattori di solito partono dal concetto (errato per qualsiasi forma di espressione) che i "panni sporchi si lavano in casa" per arrivare alla conclusione che, in ogni modo, il "mito" di questo cinema poggia sempre sui soliti film: Roma citt` aperta, Pais` e Sciusci`. [...] Ma diventa davvero un "mito", e falso, il fermare la nuova "scuola" italiana ai tre film citati. De Sica ha creato, ad esempio, Ladri di biciclette, e accanto ai De Sica e ai Rossellini ci sono i Visconti, i De Santis, i Germi. Il quale, con In nome della legge, si inserisce definitivamente tra i nostri maggiori registi. [ ... ]
Nel film In nome della legge, più che imitazioni del "western" americano, troviamo con esso punti di contatto che derivano da analoghe situazioni e da analoghi elementi umani e materiali. Nella "mafia" si identificano i fuori legge del West, nel pretore lo sceriffo, nel signorotto feudale certi avventurieri del Texas, nella Sicilia le praterie. Cambiano i nomi, certe caratteristiche, ma la sostanza è sempre la medesima; e simili i problemi umani e sociali. È anche per questo che In nome della legge non andrebbe giudicato, a rigore, in proporzione diretta alla ambientazione siciliana più o meno fedele alla realt`, bensì alla verit` artistica di una ambientazione universale e personale; non alla Sicilia chiusa nei suoi limiti geografici, ma ad una Sicilia di Germi, la quale simbolizzi qualsiasi altra regione o paese dove si verifichino gli stessi fenomeni e problemi da risolvere. E appunto in questo senso universale e personale che il film di Germi assume, secondo noi, un più ampio valore e che la sua Sicilia è più vera della Sicilia stessa. [...]
Nel linguaggio "rozzo" di Germi, che a prima vista sembrerebbe del tutto privo di ricerche formali e pittoriche, di composizioni architettuali e scenografiche, si avvertono talvolta proprio tali ricerche: si vedano certe angolazioni (il carrettiere visto attraverso le gambe del bandito con la doppietta puntata), certe inquadrature della piazza paesana, con la chiesa che domina e le donne sedute contro i muri, oppure l'introduzione del barone, all'inizio, visto di riflesso, sullo specchio. La conoscenza del mezzo tecnico, l'impiego del materiale plastico e del sonoro, testimoniano in Germi una matura coscienza artigiana (inteso questo aggettivo nel suo significato più ampio e nobile) la quale conduce, almeno nelle sequenze accennate di In nome della legge, al linguaggio.

Guido Aristarco "Cinema", n. 13, 30 aprile 1949


In nome della legge è un film che utilizza il neorealismo per raccontare un'avventura che d` alla fame, alla povert`, all'isolamento della gente di Sicilia, funzioni generative per un racconto romanzesco impiantato su ruoli e in una ambientazione tipicizzante, propria del "film d'avventura" (si ricordi, per esempio, l'uso degli spazi in correlazione con i successivi episodi della storia; ossia l'uso dello spazio in funzione distribuzionale: il caffè, la pretura, la piazza, la camera che il pretore affitta e la cui finestra d` sul giardino del barone). Il montaggio articola lo scontro tra il giusto nella legge e il giusto fuorilegge, il cui destinante è il corrotto barone, proprietario delle miniere di zolfo. L'assetto territoriale del film connota molto bene lo spazio di scontro, le distanze tra la Legge e i suoi tutori e l'omert` dei paesani, nonché l'abbandono secolare in cui giacciono quelle contrade: le strade polverose, le case ammucchiate, calcinate, la piazza sassosa dove giunge la sgangherata corriera. Gli interni, le abitazioni con i loro poveri arredi, il caffè, gli interni del palazzo del barone connotano le distanze sociali. li codice prossemico è usato opportunamente per rappresentare due diverse concezioni della giustizia, entrambe onorevoli, il pretore con il suo fido carabiniere e la mafia a cavallo. Si confrontano a distanze che li definiscono due forze vitali: la mafia, misteriosamente potente, onnipresente, appare la prima volta nel film inquadrata dal basso mentre sfila, a cavallo, lungo un argine, potenziata per la distanza (anche psicologica) rispetto alla strada, più bassa, che il pretore e il suo carabiniere stanno percorrendo. La mafia si esalta nell'incontro con il pretore ma anche costui si rivela coraggioso, impavido, per le stesse ragioni, ossia per l'uso funzionale delle distanze, naturalmente in combinazione con gli altri, molteplici codici della finzione filmica. Con In nome della legge Germi tenta d'introdurre il neorealismo nell'ambito dell'industria cinematografica.

Alfredo Canziani, Gli anni del neorealismo, La Nuova Italia, Firenze 1977

Biografia

regista

Pietro Germi

Pietro Germi è nato a Genova nel 1914, ed è morto a Roma nel 1974.

FILMOGRAFIA

Il testimone (1945), Gioventù perduta (1947), In nome della legge (1949), Il cammino della speranza (1950), La città si difende (1951), La presidentessa (1952), Il brigante di Tacca del Lupo (1952), Gelosia (1953), Amori di mezzo secolo (regia dell'episodio Guerra 1915 - 1918, co-regia con Glauco Pellegrini, Antonio Pietrangeli, Mario Chiari, Roberto Rossellini, 1953), Il ferroviere (1956), L'uomo di paglia (1958), Un maledetto imbroglio (1959), Divorzio all'italiana (1961), Sedotta e abbandonata (1963), Signore e signori (1965), L'immorale (1967), Serafino (1968), Le castagne sono buone (1970), Alfredo Alfredo (1972).

Cast

& Credits

Regia: Pietro Germi.
Soggetto: Giuseppe Mangione tratto dal romanzo "Piccola Pretura" di Giuseppe Guido Loschiavo.
Sceneggiatura: Aldo Bizzarri, Federico Fellini, Pietro Germi, Giuseppe Mangione, Mario Monicelli, Tullio Pinelli.
Fotografia: Leonida Barboni.
Scenografia e Soggetto: Gino Morici.
Musica: Carlo Rustichelli.
Montaggio: Rolando Benedetti.
Interpreti e personaggi: Massimo Girotti (il pretore Guido Schivi), Jone Salians (baronessa Teresa Lo Vasto), Camillo Mastrocinque (barone Lo Vasto), Turi Pandolfini (Don Fifi), Peppino Spadaro (avv. Faranda), Saro Urzí (il maresciallo), Ignazio Balsamo (Ciccio Messana), Saro Arcidiacono (il cancelliere), Nanda De Santis (Lorenzina "la scanniota"), Charles Vanel (massaro Turi Passalacqua).
Produzione: Lux Film.
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