Nazione: Italia
Anno: 1949
Durata: 109'


Francesca, giovane cameriera succube di un ladro, Walter, ruba i gioielli della padrona. I due amanti si danno convegno alla stazione: è il giorno del transito da Milano dei convogli di mondine. Francesca e Walter, per far perdere le loro tracce, si uniscono a queste, una delle quali, Silvana, si insospettisce dei loro maneggi. Francesca parte con quel convoglio di mondine, costretta ad ingaggiarsi, per non destare sospetti. Alla fine del viaggio, le ragazze raggiungono il cascinale, dove le attende la visita medica; Francesca riesce ad eluderla, avendo addosso i gioielli. Silvana se ne è accorta; la sera nel camerone l'accusa di ladra, allora le compagne costringono Francesca a farsi perquisire; nulla le viene trovato. L'indomani incomincia il duro lavoro della risaia. Silvana, in omaggio alla sua esuberante bellezza, ottiene da un sorvegliante mansioni meno faticose; così conosce Marco, sergente in un reparto che sta compiendo esercitazioni. La sera, le mondine scendono sull'aia a ballare con i contadini. Silvana è la più desiderata; c'è Marco con il quale essa si accompagna. Frattanto Francesca va a recuperare i gioielli nascosti nei pressi della cascina. Silvana e Marco la sorprendono: questa l'accusa, ma Marco dice che ciascuno deve risolvere da sé i propri errori. L'indomani, quando le mondine vanno, come di consueto, a bagnarsi, Francesca si confida con Silvana, imputando la propria disonestà all'invidia per la vita facile della padrona ed all'amore per Walter ed anche, le dice d'aver compreso nella vita severa delle mondine una solidarietà che la induce a redimersi. Una notte, mentre le mondine sono per i campi con i loro innamorati, Marco chiede a Silvana di sposarlo, ma la ragazza si schernisce con civetteria. Poco dopo Francesca ferma Marco per avere il suo consiglio, ma questi elude le domande. Durante una festa per il matrimonio di una mondina con un contadino, Walter rimane compare sull'aia. Francesca si accorge che questi si interessa a lei solo per i gioielli rubati. Walter rimane alla cascina, attratto da Silvana; la quale soggiace alla sua spavalda sicurezza. Più volte Francesca mette in guardia Silvana da Walter, ma questa è ormai caduta sotto il fascino di costui. Una alluvione offre l'occasione alle mondine di manifestare la loro abnegazione verso la risaia. Si giunge così all'ultimo giorno.
In magazzino c'è il riso destinato in premio alle mondine. Queste stanno partecipando alla festa d'addio. Francesca viene a sapere che Walter ha organizzato il furto del riso nel magazzino e che per mettere in atto, senza tema di sorprese, il suo piano, provocherà un violento allagamento delle risaie. Infatti, poco dopo, mondine, contadini e soldati sospendono la festa e con generoso slancio si adoperano per arginare le acque. Francesca, allora, cerca Marco ed insieme accorrono al magazzino. Mentre i complici di Walter si dileguano, Marco e Walter, in presenza di Francesca e Silvana, ingaggiano una lotta drammatica. Ferito Marco, Francesca impugna la sua rivoltella e, dopo una angosciosa intimazione, uccide Walter che cerca di fuggire. Silvana, sconvolta, in un momento di disperazione si suicida lasciandosi cadere da una draga. L'indomani le mondine, prima di partire verso le loro case, tributano alle salme un pietoso omaggio. Anche Francesca parte, ma Marco, che ne ha compreso l'animo buono, la rassicura che saprà attenderla.

Documentazione stampa d'epoca

È dallo studio di questa realtà le risaie e le mondine da una documentazione diretta che De Santis si propone di risolvere la vicenda su un piano drammatico-sociale: passando cioè dal nudo fatto di cronaca ad una fantasia realistico-poetica che prenda le mosse dalla realtà e in questa rimanga in una rielaborazione e trasfigurazione atta a fermare una sintesi di condizione umana. Ma l'insegnamento di Renoir si annulla in "Riso amaro": non si verifica il binomio verità di Tombolo (vedi tra l'altro, il "boogiewoogie"). Tale morbosità deriva in parte dalla origine geografica e meridionale di De Santis, ma poesia; il paesaggio dalla sua funzione spirituale e interiore passa spesso all'elemento spettacolare, proprio come nel comune genere "western", al quale evidentemente De Santis tende ancora una volta portandolo ad un gusto estetizzante e pittorico che si rifà ora ad Eisenstein ora a Donskoi: e in tutto questo esiste un maggiore squilibrio rispetto a Caccia tragica; maggiore appare il conflitto tra due maniere e concezioni opposte che disdegnano e rifiutano una fusione in sede artistica: è insomma ancora un contenuto che cerca di appoggiarsi ad una forma inadeguata: pertanto il primo, nel vano tentativo d'uniformarsi alla seconda, passa dalla verità ad una non verità, alla arbitrarietà della vicenda, di quasi tutti i personaggi e delle loro situazioni interne. Cade così anche l'unica giustificazione che De Santis poteva addurre su un piano propagandistico: di fare accettare al pubblico cioè, con elementi da film spettacolare all'americana, un contenuto ideologico o comunque una certa situazione sociale, un aspetto amaro della nostra vita.
Dallo studio della realtà e degli ambienti nasce dunque una realtà arbitraria, falsa. Se sono giustificati, per i motivi accennati, gli atteggiamenti sensuali di Silvana, non lo sono quelli di altre mondine. Una eccessiva compiacenza erotica si sposta dal campo individuale e critico di un costume a quello collettivo di tutta una classe che a quel costume non appartiene. La camerata, che vuole peraltro stabilire un parallelo tra la vita dura del soldato e quella non meno dura delle mondine (e queste, quando si recano a lavorare sono messe in fila indiana, proprio come i primi mentre ritornano dall'esercitazione), la camerata prende spesso le sembianze di una casa equivoca; e gli incontri tra le mondine e i loro amici occasionali, di sera dopo il lavoro, hanno l'irruenza e la natura di relazioni che ricordano l'atmosfera ancor più da certe influenze che stanno tra il cinema americano tipo Gilda e Duel in the Sun al "lupanare provinciale" di un Machaty, pur essendo la natura dei simbolismi intenzionali o risolti di Riso amaro (la camerata-caserma, la collana, e via dicendo) ben lontana da quella cara al regista cecoslovacco. Su questo erotismo, che aumenta il conflitto tra contenuto e forma, De Santis poggia anche per ottenere quell'adesione di pubblico che davvero non è mancata, se ad esempio gli incassi della prima milanese di Riso amaro hanno addirittura superato quelli fatti, sempre a Milano, con la prima di Duel in the Sun. E su un piano spettacolare e nello stesso tempo calligrafico più che psicologico, egli è ossessionato da una tecnica complessa nell'impiego dei movimenti di macchina, che porta ad effetti acrobatici e formali sorprendenti.

Guido Aristarco, "Cinema", n. 24, 15 ottobre 1949


Quando De Santis, stanco delle interpretazioni volgari e devianti, decise di "rivelare" il vero senso del film, la sua posizione fu espressa chiaramente: "Il tema centrale di Riso amaro è questo: la denuncia della corruzione che, con mezzi apparentemente innocenti, una certa ideologia americana ha diffuso in Europa Occidentale; tale ideologia è riuscita a diffondere i suoi veleni anche tra gli strati più sani del popolo, specialmente in mezzo alla gioventù, cui essa si è presentata con l'amabile volto del boogie woogie, del chewing gum e del facile lusso..."
Ma forse tale denuncia non era così esplicita, se così pochi se ne accorsero, forse i piatti della bilancia non pendevano da una parte sola. Perché quel che De Santis mette in scena non è in realtà la denuncia (che resta un'intenzione extracinematografica) ma il conflitto, sfumato e non manicheo, fra la cultura "americana" e la cultura popolare italiana. [...] In un certo senso, se si fa astrazione dalle sue volontà normative, la critica del tempo non sbagliava nel riportare Riso amaro a un conflitto tra temi e figure del positivo e immagini del negativo. Tematiche del positivo: innanzitutto la presenza costante del lavoro e della fierezza di classe. È appunto nelle risaie e nei cortili della cascina che hanno luogo i gesti di solidarietà fra le mondine, che si ricompone il conflitto fra "regolari" e "clandestine" in immagini corali conquistate dal lento sollevarsi della gru. Ideologia e estetica del "totale": la cascina è un microcosmo solo apparentemente separato. Dall'alto, la macchina da presa scopre che il muro che divide l'interno dall'esterno, le donne venute da fuori dagli uomini del posto, è continuamente valicato: il desiderio intreccia gli amori e l'unità sociale. Questo è il luogo della cultura popolare. Ma in questo ambiente irrompe la diversità: diversità di Silvana rispetto alle compagne, diversità di Walter che si intrufola di nascosto nella cascina con le sue ambizioni e la sua spregiudicatezza. Ed ecco appunto le figure della perversione, le frustate con cui Walter aggredisce Silvana prima di possederla sotto una fitta pioggia, quella pioggia che accentua il desiderio ma impedisce il lavoro. Il rapporto fra Walter e Silvana, nato nei magazzini dove lui si è nascosto, fra i mucchi di riso lambiti da armoniosi chiaroscuri, si concluderà, con la scoperta della sua falsità, nei locali del macello, in mezzo a quarti di bue sanguinolenti, dove Walter muore rimanendo appeso a un gancio da macellaio. Sono le sequenze giudicate esemplari del "cattivo gusto", del "grandguignolismo" di De Santis, e che individuano invece la sua ricerca di un cinema crudo, aggressivo, antiborghese.

Alberto Farassino, Giuseppe De Santis, Moizzi, Milano 1978

Biografia

regista

Giuseppe De Santis

Giuseppe De Santis (Fondi 1917 - Roma 1997) comincia a occuparsi di cinema negli anni '40 come critico, sceneggiatore e aiuto di Luchino Visconti in Ossessione (1942). Partecipa alla Resistenza romana e, nel 1946, collabora con Aldo Vergano per Il sole sorge ancora. Nel 1947 esordisce nella regia con Caccia tragica e, due anni dopo, firma il suo capolavoro Riso amaro. Nel 1950 è la volta di Non c'È pace tra gli ulivi, girato nel Lazio e ideale continuazione del film precedente. Successivamente firma Roma ore 11, uno dei suoi maggiori successi internazionali. In Jugoslavia realizza La strada lunga un anno (1958), mentre si reca in Unione Sovietica per Italiani brava gente (1964), uno dei suoi lavori più emozionanti. Dopo un lungo silenzio, partecipa alle riprese di Oggi è un altro giorno (1995).

FILMOGRAFIA

Caccia tragica (1947), Riso amaro (1949), Non c'È pace tra gli ulivi (1950), Roma ore 11 (1951), Un marito per Anna Zaccheo (1953), Giorni d'amore (1954), Uomini e lupi (1956), La strada lunga un anno (1958), La garÁonniÈre (1960), Italiani brava gente (1964), Un apprezzato professionista di sicuro avvenire (1972), Oggi è un altro giorno (1995).

Cast

& Credits

Regia: Giuseppe De Santis.
Soggetto: Giuseppe De Santis, Gianni Puccini, Carlo Lizzani.
Sceneggiatura: Corrado Alvaro, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Carlo Musso, Ivo Perilli, Gianni Puccini.
Fotografia: Otello Martelli.
Soggetto: Anna Gobbi.
Musica: Goffredo Petrassi, Armando Trovajoli.
Montaggio: Gabriele Variale.
Interpreti e personaggi: Silvana Mangano (Silvana Melega), Doris Dowling (Francesca), Vittorio Gassman (Walter Granata), Raf Vallone (Marco Galli), Checco Rissone (Aristide), Nico Pepe (Beppe), Adriana Sivieri (Celeste), Lia Corelli (Amelia), Maria Grazia Francia (Gabriella), Dedi Ristori (Anna), Anna Maestri (Irene); Mariemma Bardi (Gianna), Maria Capuzzo (Argentina), Isabella Zennaro (Giuliana), Carlo Mazzarella (Mascheroni), Ermanno Randi (Paolo), Antonio Nediani (Nanni), Mariano Englen (capomonda).
Produzione: Dino De Laurentiis per Lux Film
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