Nazione: Giappone
Anno: 1969
Durata: 103'


Jihei, un mercante di carta di Osaka, è innamorato di Koharu, una cortigiana che tuttavia non è in grado di mantenere. La sua gelosia viene accesa da un ricco e volgare mercante, Tahei, che si vanta della possibilità di riscattare Koharu. La donna è a sua volta innamorata di Jihei e di tanto in tanto allontana i suoi clienti per poter stare con l'uomo che ama. I due innamorati iniziano a pensare che il suicidio sia l'unica via per realizzare il loro desiderio d'unione.
La moglie di Jihei, Osan, intuisce le intenzioni del marito e fa tutto ciò che le è possibile per salvarne la vita. Ella si fa carico degli affari del negozio di carta, mentre egli langue geloso e malato d'amore. La donna arriva a impegnare ogni oggetto di valore, compresi i vestiti dei bambini. Inutilmente prova a fare appello al senso di responsabilità di Jihei nei confronti dei suoi due bambini. Disperata scrive allora a Koharu chiedendole di rinunciare al marito e di por fine alla loro relazione.
Il padre di Osan sorprende la figlia insieme a Jihei nel bel mezzo del terribile tentativo di salvare Koharu rinunciando a tutti i loro averi. L'uomo, pieno di rabbia, porta via la figlia chiedendo il divorzio. Jihei è così libero di seguire il suo destino. Tagliatisi i capelli, come segno di liberazione dalle responsabilità terrene, i due si suicidano dopo una notte d'amore in un cimitero.

Audie Bock, Japanese Film Directors, Kodansha, Tokyo 1985, p. 352


In linguaggio moderno si può definire Shinoda un "kyuto", un uomo cioè dal fascino irresistibile. Egli elimina dalle sue opere tutto ciò che è futile e superfluo, facendo così che esse liberino un'energia che pervade tutto di una calda atmosfera. Il suo grande talento è evidente in quello che è considerato il suo capolavoro: Shinju ten no Amijima. La semplice bellezza di quest'opera è stata la fonte del suo successo e della sua fortuna, ma, nello stesso tempo, essa è stata anche causata dalle difficoltà finanziarie che l'hanno segnata; probabilmente la "semplice bellezza" del film non sarebbe stata tale se Shinoda avesse avuto a disposizione più fondi. Shinoda, che è entrato alla Shochiku nel 1953, due anni prima di Yoshida Yoshishige, e un anno prima di Oshima Nagisa, ha realizzato film come Koi no katamichi kippu (Un biglietto di sola andata per l'amore, 1960), Kawaita mizuumi (Il lago prosciugato, 1960), Namida o shishi no tategami ni (Le lacrime sulla criniera del leone, 1962), Kawaita hana (Fiore secco, 1963) ed altri ancora, che attaccavano la sclerotizzazione della società, e, come unico rappresentante del movimento della Nuberu Bagu rimasto alla Shochiku, è stato a lungo al centro dell'attenzione. Ha tentato anche la via del teatro, ma senza successo. Dopo che Oshima e Yoshida avevano lasciato la Shochiku, Shinoda era rimasto, inflessibile, cercando di dar vita a personaggi in un certo senso emarginati, a degli "outsider". Con il film Ansatsu (Assassinio, 1964), estendeva questa scelta alla figura dei "ronin" (i samurai senza padrone), nell'epoca Bakumatsu (ultimo scorcio dell'era Tokijgawa). Ma l'anno seguente, dopo aver terminato la realizzazione di Ibun Sarutobi Sasuke (Sarutobi Sasuke ascolta un'altra storia), dava le dimissioni dalla Shochiku. Shokei no shima (L'isola del castigo, 1966), la prima opera come regista indipendente, fu un terribile fiasco. L'anno dopo fondava una sua casa di produzione cinematografica e portava sullo schermo Akanegumo (Nuvole al tramonto), affidando il ruolo di protagonista principale all'attrice lwashita Shima, che aveva sposato lo stesso anno. Il film è la storia del triste amore fra un disertore e una donna povera, un buon lavoro che interrompeva per un attimo un periodo di crisi e difficoltà che però sembrava non volessero finire. Nel 1969 eccolo portare sullo schermo un film da soli 10 milioni di yen, tratto da un'opera di Chikamatsu Monzaemon. Era la realizzazione di un sogno che coltivava da quando era studente. Aveva per lungo tempo tenuto in serbo il progetto, fino a quando non erano arrivati i finanziamenti necessari, anche se si trattava di una cifra con la quale era molto difficile pensare di poter realizzare un simile film. Tuttavia sono state proprio queste avversità che gli hanno fornite l'energia e la forza, di cui aveva bisogno. Si è concentrato così su Chikamatsu, un uomo di spettacolo, un artista, un "kawaramono" (uomo di teatro). "Il film è l'incontro con un uomo" ha detto Shinoda. Al film hanno collaborato molte persone. Fra coloro che conobbe nel suo cosiddetto "periodo buio", Shinoda ha invitato a collaborare alla sceneggiatura la poetessa Tomioka Taeko e il compositore Takemitsu Toru. Quando si era allontanato dalla Shochiku, dopo aver rifiutato i soldi offertigli, ciò che Shinoda sentiva profondamente era di essere un "uomo di spettacolo". La sua figura è vicina a quella di Chikamatsu che, diventato un uomo di teatro dopo aver abbandonato la sua posizione di samurai, restò escluso dalla società. Il mondo che Chikamatsu descrive è il mondo del dolore, che nasce dall'opposizione tra la forza della passione e quella del dovere, è il mondo feudale, è, infine, la storia della giovane Koharu e del venditore di carta Jihei che, assorbiti dal mondo dell'eros, finiscono col compiere il rituale doppio suicidio. I fatti vengono descritti fra realtà e finzione, introdotti e strutturati dal ritmo musicale del No. Sono legate l'una all'altra la sensibilità del poeta e del musicista. Shinoda, che ha rinunciato a trasporre opere di scrittori commerciali, dimostra qui il suo talento, insieme a quello di Takemitsu, che si era fino ad allora preso cura delle musiche di gran parte dei suoi film, e della Tomioka, profonda conoscitrice del carattere musicale delle parole. L'incontro di questi tre individui era già di per sé garanzia di successo; essi tuttavia non si sono limitati alla semplice trasposizione di un capolavoro classico, ma hanno anche stabilito delle connessioni fra le opere del "Joruri" (teatro dei burattini) e Chikamatsu, fra i tempi moderni e la cultura di duecentocinquanta anni fa. Riguardo al modo di trasporre la storia di Chikamatsu, sorsero alcune divergenze, che continuarono anche dopo l'inizio delle riprese. Pare che Shinoda abbia avuto un battibecco telefonico con la Tomioka a proposito della scelta del cimitero, come ambiente di una scena del film. Cimitero niente affatto presente nel dramma originale.
Tutto ciò è comunque indice di quella ricerca di una fine elaborazione, che sta a monte di una creazione atipica come questa. Per quanto riguarda la ripresa "dietro le quinte", con cui il film inizia, non si tratta di una vera e propria novità; tuttavia essa esprime la risoluta intenzione da parte del regista di introdurre con la massima chiarezza il sentimento tipico del mondo originale del "Joruri". Il fatto che i "kurogo" (assistenti di scena del kabuki; il termine designa anche i burattinai minori del Joruri) girino qua e là fra le teste e i corpi delle "marionette" che giacciono disordinatamente sulla scena, che essi guidano dei personaggi man mano che il dramma si sviluppa, assume le caratteristiche di una rappresentazione di tipo rivoluzionario. Il film si basa interamente sul testo "Joruri", che a sua volta deriva dal corpus teatrale del kabuki. Alla fine del breve prologo, si scorge furtivamente, da dietro, una lunga fila di ponti, tipica delle "rappresentazioni d'addio": è qui che Jihei taglia la gola di Koharu, scena che nel Joruri viene per ultima. Tuttavia anche questa scelta, di suggerire il finale, deriva dalla tradizione di Chikamatsu. Dopo che il titolo del film viene letto ad alta voce da un narratore, entrano in scena i protagonisti. Su di un ponte arcuato appare per un attimo la figura di Jihei (Nakamura Kichiemon), che subito si dilegua. È una scena che conferisce un alone di mistero all'inizio del film. Sotto quel ponte vi sono due cadaveri: sono proprio lo stesso Jihei e Koharu (Iwashita Shima). È uno sguardo gelido quello che osserva la disgrazia dei due protagonisti, messa in contrasto con la fila di personaggi vestiti di bianco che attraversano il ponte. Jihei, che era una persona di buon senso e responsabile, è sposato con Osan (interpretata sempre da Iwashita Shima) con la quale ha avuto due bambini. Tuttavia negli ultimi tre anni non ha fatto altro che sperperare i soldi con Koharu, e frequentare assiduamente le case di tolleranza nei quartieri di piacere. Durante l'era Genroku (16881703) la classe mercantile acquistò molta influenza e ciò che contava era solo il denaro. Era una società in via di sviluppo. Simbolo e rappresentante di questo mondo è Tahei (Komatsu Hosei), l'arricchito, che è solito dire "commercianti, samurai, avventori, per me sono tutti clienti". Tahei decide, anticipando Jihei, di riscattare Koharu; per l'umiliato Jihei non c'è altra via che il suicidio con la stessa Koharu. Il fratello maggiore di Jihei, che ha capito cosa sta per accadere, si finge un cliente e chiede a Koharu quali siano le loro reali intenzioni, anche Osan invia una lettera a Koharu, con la quale la implora di non spingere il marito al suicidio. Osan prova tuttavia anche della compassione per la donna che ha fatto uscire di senno il proprio uomo. Proprio questo spirito di autosacrificio, che sta fra il dovere e la passione, è il fine di Chikamatsu. Shinoda se ne è reso conto, e risponde a ciò affidando entrambi i ruoli femminili alla stessa attrice. Interviene il padre di Osan che riconduce alla casa di un tempo la figlia. Tutto questo fa precipitare la situazione, fino alla morte dei due protagonisti che in tal modo si liberano dall'incantesimo dell'eros. Le scenografie del film, che si ispirano ai "kusa zoshi" (libri illustrati) del pittore Eisen, appartenente al mondo dell'Ukiyoe e si avvalgono dell'arte di Awazu Kiyoshi e delle calligrafie monocrome di Shinoda Toko, dimostrano una ben delineata tendenza all'astrattismo. Bisogna ricordare inoltre come la figura dei "kurogo", che compaiono e scompaiono dalle scene, influenzino profondamente, anche se in maniera graduale, i due protagonisti fino a condurli alla morte, o se vogliamo li sollecitano e li attirano verso la catastrofe. A questo proposito non sono mancate dure e fastidiose critiche al film che non ne hanno riconosciuto l'effettivo valore.
Piuttosto che avventurarmi in supposizioni desidero riportare questa frase di Shinoda: "Shinju ten no Amijima è stato realizzato in modo tale da riprodurre il pensiero e lo stile di Chikamatsu. I "kurogo" rappresentano l'occhio della cinecamera; rappresentano colui che agisce per soddisfare il desiderio del pubblico di scoprire il segreto dei due protagonisti; rappresentano infine lo stesso Chikamatsu che è l'autore del dramma". È possibile intravvedere, attraverso queste parole, l'elaborazione intellettuale compiuta da Shinoda. È una sfida al mondo, ma anche l'entusiasmo e la segreta ambizione di superare lo stesso Chikamatsu. Questo film infatti esprime sentimenti e passioni in modi molto differenti dagli altri film tratti dai drammi di Chikamatsu, come quelli diretti da Mizoguchi Kenji, Uchida Tomu, Horikawa Hiromichi e Masumura Yasuzo. Inoltre, la modernità del film, così tipica di Shinoda, è dovuta non solo alla forte personalità e predisposizione dell'autore, ma anche al suo essere un film da soli 10 milioni di yen. Shinoda ha infatti saputo utilizzare a suo favore le ristrettezze economiche dando vita ad una creazione originale. Anche grazie alla collaborazione dello scenografo Awazu Kiyoshi, a cui Shinoda ha richiesto di creare qualcosa di veramente unico, che però costasse meno di un milione di yen.
Grazie alla buona sorte Shinoda è riuscito a trovare il tempo e il personale, riducendo o eliminando tutto ciò che era superfluo. L'incredibile bottino è costituito da numerosi premi, fra cui quello del concorso "Mainichi eiga", e il primo posto fra i migliori dieci film giapponesi dell'anno della rivista "Kinerna Junpo", senza parlare dei riconoscimenti alle musiche di Takemitsu Toru e alla doppia interpretazione di Iwashita Shima. È giusto dire che è il miglior film di Shinoda, e che i risultati sono andati ben oltre le sue più rosee aspettative. Ci sono state anche numerose critiche che imputavano al film un eccesso di astrazione che rendeva difficile al pubblico capirne il reale significato e le intenzioni di fondo. Tuttavia, anche grazie alla distribuzione dell'A.T.G., il film ha avuto successo fra il pubblico. E ancora oggi Shinoda non ha abbandonato l'idea di realizzare altri film tratti da Chikamatsu.

Murayama Yoshikuni in Eigashijo besuto nihyaku shirizu. Nihon eiga (La serie dei migliori duecento film della storia del cinema. Il cinema giapponese), Kinema Junpo sha, Tokyo 1982, pp. 348-9

Biografia

regista

Shinoda Masahiro

Cast

& Credits

Regia: Shinoda Masahiro.
Sceneggiatura: Tomioka Taeko, Takemitsu Toru, Shinoda Masahiro dal dramma omonimo di Chikamatsu Monzaemon.
Fotografia: Narushima Toichiro.
Luci: Okuyama Yasuo.
Scenografia: Awazu Kiyoshi.
Musica: Takemitsu Toru.
Suono: Nishizaki Hideo.
Interpreti e personaggi: Iwashita Shima (Koharu/Osan), Nakamura Kichiemon (Jihei), Komatsu Hosei (Tahei), Takita Yusuke, Fujiwara Kamatari.
Produzione: Hyogensha - A.T.G.
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