Nazione: USA
Anno: 1984
Durata: 90'


Nel Lower East Side di Manhattan c'è un quartiere che si chiama Alphabet City, perché le strade che lo percorrono portano i nomi delle lettere dell'alfabeto. Tra l'Avenue A e l'Avenue D si estende il più grande mercato clandestino della droga.
II re di Alphabet City è il diciannovenne Jolinny: conosce tutti e gode della protezione di un boss della malavita, Gino. Un nuovo venuto, Juani, sta aspettando di portargli via il lavoro e il territorio. Gino chiede a Johnny di bruciare il palazzo in cui vive sua madre, per ricevere i soldi dell'assicurazione. Johnny parla con la madre, ma questa si rifiuta di andarsene. La sorella di Johnny, Sophia, pensa soltanto a divertirsi e non si rende conto della gravità della situazione. Johnny non può ubbidire, e capisce che finalmente è arrivata l'ora di lasciare Alphabet City per sempre: non è lì che vuol restare. Torna al Village e spiega alla moglie Angie che le cose si stanno mettendo male e che bisogna lasciare la città immediatamente. Mentre Angie prepara il bambino per la partenza, Johnny scende ad Alphabet City per compiere per l'ultima volta il suo giro notturno.


Uno degli elementi più affascinanti del film è la fotografia: sia per quanto riguarda il taglio delle inquadrature, sia per l'illuminazione così irreale, che dipinge la citt` di viola, rossi e gialli. Come hai lavorato con Oliver Wood?
Oliver è stato uno degli otto fotografi che ho intervistato prima di decidermi. Siamo andati immediatamente d'accordo. Lui ha capito subito la mia intenzione di trasformare la città in un carnevale. Di questo ne parlavo pochissimo con i produttori, anche perché loro, così come la maggioranza della troupe, non aveva mai visto i miei film. Oliver non aveva mai visto Subway Riders che presentava in merito certe idee molto simili: da un lato è stato anche un bene perché mi ha permesso di parlare senza dovermi riferire a nessun lavoro passato. Con Oliver preparammo in anticipo l'illuminazione e le posizioni della cinecamera per ogni scena. La nostra idea era di dare ad ogni scena un colore diverso, senza alcun principio denominato comune, il quale sarebbe poi dovuto uscire dal montaggio. Per questa ragione abbiamo girato alcune scene con un diverso stock di pellicola. Per quanto riguarda l'illuminazione abbiamo usato un minimo parco luci, al fine di dare al film uno sguardo spettrale. Volevo inoltre che la luce non fosse da film, ma che invece lo fosse il colore. Lavorando sul concetto che la luce è colore abbiamo proceduto a montare i colori uno sull'altro, al fine di renderli i più densi possibile.

L'idea di fondo che emerge da alcune scene del film è quella della velocità, del ritmo.
Il film è stato pensato per essere veloce. Ma il risultato, cioè quello ottenuto attraverso un montaggio in cui io non ho avuto quasi potere, è troppo veloce, nel senso che mentre ti lascia percepire il tempo del protagonista, non ti permette di sentire quello del milieu.

Non sei, dunque, soddisfatto del montaggio del film?
No, penso che avrebbe potuto riuscire meglio. Il problema risale alle riprese. Abbiamo avuto ventitre giorni per girare il film e non ce ne hanno concessi tre in più per ripetere certe scene ora tagliate. Poi il film è stato completamente costruito in tre mesi di postproduzione, di cui il primo è stato completamente sprecato.

Pensi che Alphabet City aiuterà la tua reputazione di filmaker internazionalmente apprezzato, di autore moderno?
No, ma non credo nemmeno che la danneggerà. Se devo essere sincero non è che questo fatto mi tocchi molto, perché quello è il mio passato. Non credo che si possa distruggere la propria reputazione da quel punto di vista. Il problema è quello di fare dei buoni film, e non credo che Alphabet City sia un cattivo film, è un film piacevole da vedersi ed è questo quel che conta. Per alcune persone Alphabet City significa guadagno e questo non mi far` certo del male. Spero che la prossima volta avrà soprattutto la possibilità di decidere di più sulla qualit` finale del prodotto. In Alphabet City è stato un po' come se a Los Angeles dicessero: non cerchiamo di fare il meglio, tanto funziona lo stesso. Nei miei primi film ho imparato che bisogna cercare di fare il meglio che si può, qualunque siano le circostanze in cui agisci. Allora il semplice fatto di fare era un trionfo. È molto facile degradarsi se si smette di pensare in quel modo (Guido Chiesa, "Frigidaire", giugno 1984).

Biografia

regista

Amos Poe

Amos Poe (Tel Aviv, Israele, 1950) è considerato uno dei fondatori del cinema No Wave. Tra i suoi film appartenenti a questo movimento, il documentario Night Lunch (coregia di Ivan Král, 1975), il suo primo lungometraggio Unmade Beds (1976), lo stesso The Blank Generation (1976), The Foreigner (1978) e Subway Rider (1981). Nel 1984 ha diretto Alphabet City, tuttora il suo film più celebre.

FILMOGRAFIA

Amos Poe:
Unmade Beds (1976), The Foreigner (1978), Subway Rider (1981), Alphabet City (id., 1984), Triple Bogey on a Par Five Hole (1991), Dead Weekend (tv, 1995), Frogs for Snakes (Delitti d’autore, 1998), Just an American Boy (doc., 2003), Empire II (2007), La commedia di Amos Poe (2010), A Walk in the Park (doc., 2012), Happiness Is a Warm Gun (2015).

Amos Poe, Ivan Král:
Night Lunch (doc., 1975), The Blank Generation (doc., 1976).

Cast

& Credits

Regia: Amos Poe.
Sceneggiatura: Gregory Heller, Amos Poe.
Fotografia: Oliver Wood.
Musica: Nile Rodgers.
Suono: Richard Brause.
Scenografia: Steven Lineweaver, Terence McCorry.
Montaggio: Grahame Weinbren.
Interpreti e personaggi: Vincent Spano (Johnny), Kate Vernon (Angie), Michael Winslow (Lippy), Zohra Lampert (Mama), Jami Gertz (Sophia), Laura Carrington (Louisa), Raymond Serra (Gino), Daniel Jordano Quani), Kenny Marino (Tony).
Direttore di Produzione: Ben Gruberg.
Produzione: Andrew Braunsberg.
Distribuzione: Atlantic Releasing Corporation, 9000 Sunset Boulevard, 900, Los Angeles, Ca. 90069.
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