Nazione: Francia
Anno: 1959
Durata: 75'


Michel, un giovanotto di formazione intellettuale, campa di furtarelli. Da quando ha rubato dei soldi a sua madre, vive da solo. Pescato durante un tentato furto, cerca di spiegare all'ispettore di polizia che lo interroga l'esaltazione del ladro esperto, tradendo malinconicamente e apertamente il proprio senso di superiorit` rispetto alla societ`, insieme ad una tendenza all'autodistruzione. Viene rilasciato, ma tenuto sotto controllo. La morte della madre di Michel e le reazioni dei suoi amici Jacques e Jeanne ne risvegliano la coscienza. Ma quando incontra un maestro borsaiolo che lo addestra e lo prende con sé come socio, torria al furto con entusiasmo e dedizione, ma anche pessimismo. L'ispettore intanto temporeggia, un po' per mancanza di prove concrete, un po' perché è veramente interessato al senso di colpa di Michel. In un momento di crisi e dopo aver saputo che Jeanne gli è legata, Michel lascia improvvisamente la Francia col bottino, spendendo tutto in gioco e donne. Torna qualche anno dopo e trova Jeanne sola e abbandonata con un figlio del suo amico Jacques. Tenta di aiutarla, ma viene preso e messo in galera. Jeanne va a trovarlo e lui si rende conto di amarla. Finalmente riesce ad essere in pace con se stesso.

R. V.
("Monthly Film Bulletin", n. 321, 1960)


Non le nasconderemo, Robert Bresson, la nostra sorpresa all'annuncio del soggetto di Pickpocket, che inizier` a girare tra qualche giorno.
Un soggetto è un pretesto. E poi noi siamo poco responsabili delle idee che ci vengono, lo siamo un po'di più di ciò che ne facciamo. Il mio ultimo film, Un condamné ` mort s'est échappé, mi aveva orientato verso le mani. La straordinaria abilit` delle mani, la loro intelligenza! Mi sembra di ricordare di aver letto in Pascal (andrebbe verificato) una frase che iniziava con "l'anima ama la mano".
L'anima d'un borseggiatore, la mano d'un borseggiatore… C'è del meraviglioso nel borseggio. Le è mai capitato di sentire l'agitazione che mette nell'aria la presenza d'un ladro? È inesplicabile. Ma il cinema è proprio il dominio dell'inesplicabile.
(…) Mi piacerebbe rendere palpabile che le strade che prendiamo nella vita non portano sempre a destinazione. Voglio dire alla destinazione prevista.
Vorrei fare un film di mani, sguardi, oggetti, rifiutare tutto ciò che è teatro. Il teatro uccide il cinema (e il cinema uccide il teatro). In un film è l'uomo che ci vuole. L'attore, anche (e soprattutto) pieno di talento, ci d` d'un essere umano un'immagine troppo semplice, quindi falsa. Non è quel che i miei interpreti mi mostrano l'importante. È tutto ciò che mi nascondono. Uno sguardo, colto di sorpresa, può essere sublime.
(…) "I gesti ci scoprono", ha detto Montaigne (anche qui, andrebbe verificato). Per me i gesti e le parole non sono l'essenziale d'un film. L'essenziale è quella cosa, o quelle cose, che essi provocano.

R. Bresson
("Arts", 17 giugno 1959).


Pickpocket è il primo film di Robert Bresson. Quelli che ha fatti prima non erano che degli abbozzi. Come dire - per chi conosce il valore di questo cineasta - che l'uscita di Pickpocket è una delle quattro o cinque grandi date della storia del cinema.
È degno di nota che il nuovo film di Bresson, a differenza dei precedenti, sia stato concepito, scritto, realizzato, montato e sia uscito nel giro di dieci mesi, come se il periodo dei brancolamenti sia tramontato per sempre. Pickpocket è un film profondamente ispirato, un film libero, istintivo, ardente, imperfetto e sconvolgente. Chiarisce tutti i malintesi: se negate questo film, è il cinema come arte autonoma che mettete in discussione.
In Pickpocket non c'è più aneddoto, cioè pretesto estraneo al discorso reale del film e che, il più delle volte, lo maschera, quello che i produttori chiamano "un buon soggetto", "una buona storia", con psicologia finale, sviluppo drammatico ecc. Ci sono soltanto dei simboli, d'una semplicit` luminosa, che compongono un'allegoria o, più esattamente, ciò che nel Vangelo si chiama una parabola. Voltando definitivamente le spalle alla drammaturgia, Bresson ha fatto un film contemplativo, un film di riflessione morale, che sta al cinema tradizionale come Pascal e Balzac.
Di cosa ci parla Bresson? Non sperate di saperlo leggendo il voluminoso dossier stampa consacrato al suo film. "Non fanno che guardare e non vedono, non fanno che ascoltare e non capiscono". "Non un critico" ha detto (o voluto dire) ciò che un bambino di dodici anni un po' catechizzato scoprir` immediatamente: il ladro è l'uomo, siete voi, sono io; è nelle mani di Dio - questo poliziotto dallo sguardo indulgente o terribile; ma si ribella, orgoglio, peccato supremo (la parabola è pascaliana); non è ben protetto dal suo angelo custode, il nostro gonzo, e di caduta in caduta la grazia divina si fa strada in lui nei panni d'una ragazza, un po'allocca all'inizio, ma sublime all'epilogo, sublime esso stesso.
Se possedete queste semplici chiavi il film di Bresson si ordina sotto i vostri occhi come un quadro di Giotto o una cantata di Bach. L'arte di Bresson ha la forza ingenua, il candore smaliziato, la certezza inquieta e inquietante dei grandi artisti della tradizione cristiana. Citiamolo: "Mi metto su una strada. Non cerco, trovo. È nel momento in cui trovo che mi rallegro".

Louis Malle
("Arts", 30 dicembre 1959)


L'oggettivazione dell'uomo è, in Pickpocket, stabilit` su tutti i piani. Tutta la personalit` fisica di Michel è affermata una volta per sempre; quasi come un ingrediente chimico le cui caratteristiche ci siano tutte note. La camera, le porte, la scala, questa scenografia intima di Michel aderisce costantemente al personaggio e la sua presenza è tanto più precisa quanto la sua apparenza è più neutra. Bresson non manca di rendere evidente la presenza del tavolo, dei mobili, delle porte. Quando Michel lascia la sua camera, lo segue fino alla rampa di scale. Così, quando il poliziotto arriva da Michel, anche se non manifesta alcuna brutalit`, anche se questo commissario è la cortesia in persona, abbiamo l'impressione d'una sconvenienza, d'una violazione. Così, è stato notato che al suo ritorno da Londra Michel ha lo stesso vestito di prima della partenza. È che tutto ciò che appartiene alla sua personalit` fisica è stato definito una volta per tutte. Non solo: l'intero scenario del film è atemporale: impossibile situare il caffè. Quanto all'ippodromo, niente ci indica che si tratti di Longchamp. Lo immaginiamo perché non ci sono tanti ippodromi attorno a Parigi. Infine, questa dizione "falsa" (che in realt` è solo neutra, cioè senza intenzione prima) va nello stesso senso: non sono più degli esseri individuali che imitano la vita, ma degli individui quasi archetipici che ci danno dei frammenti di se stessi.
Infatti questa oggettivazione degli eroi non vuole dipingerci la pietrificazione dell'uomo (non stupisce tuttavia che Francis Ponge, il più grande poeta francese dell'oggetto, abbia appassionatamente amato Pickpocket), ma solo mettere a nudo il conflitto delle anime. I due problemi di Michel: acquisire la tecnica del furto e lottare contro quest'imperio del furto divengono - soprattutto il primo - problemi astratti posti universalmente dall'oggettivazione dei soggetti. Di più: la tecnica del furto si acquisisce solo con l'addestramento, una modellistica dell'oggetto. Non è mai per necessit` che Michel, come ci viene presentato, ruba. E nemmeno per vizio: non è un cleptomane, non è un malato. Non ruba patologicamente. Ruba per darsi un valore, perché il furto è il modo di esprimere la sua anima. Le discussioni col commissario non vertono mai sul fatto penale, ma sul suo significato. Quanto alla storia d'amore, è certamente una delle più profonde che siano mai state descritte su uno schermo, perché questo lungo cammino d'un essere verso un altro mentre si svolge in lui un altro cammino ci viene mostrato dall'interno. Se le sbarre separano i due protagonisti, nell'ultima scena, le anime si sono ritrovate: il vento soffia dove vuole… Il cinema è una scrittura, non è uno spettacolo". Questa celebre frase di Bresson è anche una professione di fede e la migliore definizione della sua arte. Questa austerit` dei temi, questi conflitti ridotti alla toro essenza più assoluta sono calati in una lingua secca e curiosamente efficace. Se Bresson non ignora nulla delle risorse della tecnica, sembra che la frantumi come annichila i suoi attori. La cosa più strana è che, in questo desiderio di dare solo l'essenziale, raggiunge il massimo di spettacolarit`. Questo film, per il fatto stesso di presentarsi come una ricerca, per il fatto stesso che nessuna scena superflua ne intralcia la composizione, diviene la suspense più totale che si sia mai potuta ammirare, e senza nessuno degli artifici abituali.

J. Wagner
("'Cahiers du Cinéma", n. 104, 1960)

Biografia

regista

Robert Bresson

Cast

& Credits

Regia, soggetto e sceneggiatura: Robert Bresson.
Fotografia: L.-H. Burel.
Scenografia: Pierre Charbonnier.
Montaggio: Raymond Lamy.
Musica: Jean-Baptiste Lulli.
Interpreti e personaggi: Martin La Salle (Michel), Marika Green (Jeanne), Jean Pelegri (l'ispettore di polizia), Dolly Seal (la madre), Pierre Leyniarie (Jacques), Kassagi (primo complice), Pierre Etaix (secondo complice), César Gattegno (un ispettore).
Produzione: Agnès Delahaye.
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