Nazione: Francia
Anno: 1956
Durata: 25'


Una giovane donna ricca inganna il marito pittore con un giovanotto che le regala una pelliccia. La donna non sapendo come giustificare al marito la presenza della pelliccia, la mette in una valigia e la deposita in un guardaroba. Tornata a casa la donna presenta al marito un biglietto del guardaroba spiegando che lo ha trovato per caso, e lo tormenta fino a convincerlo a ritirare la valigia. Nella valigia però c'è solo un consunto soprabito tarlato. Sbalordita la donna corre dall'amante, lo accusa di averla ingannata e rompe il rapporto. Ad una festa, quella sera, resta di sasso alla vista della pelliccia indossata dalla graziosa sorella; ma non può dire neppure una parola.

("Monthly Film Bulletin", n. 315, 1960)


(…) Volevo tentare di dare la massima gravit` a un aneddoto da boulevard; volevo che la fine fosse sentita quasi come tragica; era ispirata molto a Les dames du bois de Boulogne, evidentemente; così come il dialogo voleva ispirarsi a Cocteau - che è il grande ispiratore segreto dei cineasti francesi, il punto in comune fra Lola, Truffaut, certi lavori di Godard, e adesso Garrel.

J. Rivette
("Cahiers du Cinéma", n. 204, 1968)


Rivette aveva girato nell'appartamento di Claude Chabrol, con il costo della sola pellicola, un film di venti minuti, Le coup du berger (1956); alla fine delle riprese, il produttore Pierre Braunberger aveva visto il film, se lo era assunto in carico, e aveva sostenuto le spese per il completamento. Successivamente questo breve film è stato venduto in tutto il mondo.
Ciascuno di noi aveva pensato: se Le coup du berger fosse stato di un'ora più lungo avrebbe costituito un dignitosissimo lungometraggio girato per una somma dieci volte inferiore a quella del film francese medio.
L'esempio di Le coup du berger mi spinse a girare Les mistons (1958) poi Claude Chabrol si decise a tentare l'avventura del grande film con Le beau Serge e, contemporaneamente, i più prestigiosi autori di cortometraggi, Alain Resnais e Georges Franju, si vedevano proporre il loro primo lungometraggio. Era fatta.
Sì, era fatta, ma era a Jacques Rivette che lo dovevamo, perché tra tutti noi era il più ardentemente risoluto a passare ai fatti.

F. Truffaut
(I film della mia vita, Marsilio, Venezia 1978)


C'è sempre una certa mancanza di pudore nel citare su una rivista i nomi e cognomi che si possono ritrovare nel sommario. Ma se abuso così delle mie prerogative di ultimo arrivato nella troupe, è che con l'irrisoria esperienza d'un anno di giornalismo mi sento un po' in disparte di fronte a dei compagni di squadra la cui intesa risale a una decina d'anni.
È stato spesso rimproverato ai "Cahiers du Cinéma", non tanto ai loro capo-redattori, sempre in stato di ammirevole disponibilit`, quanto ai loro giovani leoni, uno spirito di parrocchia. Confesso che non molto tempo fa, quando li vedevo calare alla Cineteca o nelle sale più culturali di Parigi, ero discretamente impressionato da quella stupefacente squadra d'assalto. Non arrivavo a pensare che esistesse in seno al commando una sorta di terrorismo che li costringesse a optare tutti per gli stessi film. Ma dovevo riconoscere che esteticamente parlando si spalleggiavano mica male. Poi ho potuto rendermi conto che quella omogeneit` era più una questione di cuore che di spirito: non c'era nessuna parola d'ordine prestabilita, e se gli articoli avevano quell'efficacia e forse anche quell'apparente monotonia, è perché beneficiavano d'una redazione del tutto particolare; prima d'essere stampate le pagine passavano per quegli urlatoi collettivi che erano i fumoir dei cinema, i viali di Parigi e le brasserie del Palais-Royal; inoltre, avevano uno stile comune, erano tutti scritti da apprendisti registi.
Jacques Rivette, per primo, si lanciò nei 35 mm. Era l'estate scorsa. Oggi si può vedere Le coup du berger prima della proiezione di Trois jours ` vivre; poi François Truffaut ha portato a termine Les mistons, che ha appena presentato ai suoi amici, e Jean Luc Godard sta finendo Charlotte et Véronique, primo d'una serie di episodi comici scritti in collaborazione con Eric Rohmer. Infine, in novembre Claude Chabrol inizier` un lungometraggio, Le beau Serge.
Finora non ho parlato molto del Coup du berger, l'unico discorso che dovrebbe interessarmi qui. Ma ci tenevo prima di tutto a iscrivere la fatica individuale di Jacques Rivette in un movimento collettivo.
Il soggetto del Coup du berger è semplice come un problema di matematica: da ciò il titolo attinto al vocabolario dei giocatori di scacchi. Potrebbe essere altrettanto bene l'argomento d'un vaudeville o d'una commedia italiana. Invece è qualcosa di diverso: una giovane moglie escogita un sotterfugio per giustificare agli occhi del marito una pelliccia regalatale dall'amante. La mette in una valigia al deposito bagagli e pretende di averne trovato per caso lo scontrino in un taxi. Per rendere più verosimile il suo inganno e, nello stesso tempo, compromettere l'uomo che inganna, manda a cercare la valigia lo stesso marito. Quando l'aprir` la pelliccia sar` scomparsa. All'ultima sequenza del film, capir` chi l'ha giocata.
Questo riassunto non vuole preludere alla lunga esegesi d'un autore che è ancora alla sua opera prima, e confesso di avere qualche scrupolo a recensire questo Coup du berger, la cui migliore prefazione potrebbe ben essere l'articolo che lo stesso Rivette ha scritto su queste colonne a proposito di L'alibi era perfetto.
So che Jacques Rivette preferisce a ogni altro i riferimenti musicali e non sarebbe vano citare a proposito del suo film una partitura di Stravinsky piuttosto che una pellicola cinematografica. Tuttavia, chi conosce questo redattore dei "Cahiers" non può non rimanere colpito dalle affinit` che lo uniscono a Fritz Lang. Oggi mi limiterò ai soli problemi posti dai personaggi del Coup du berger, nessuno dei quali è simpatico a prima vista: abbiamo prima di tutto l'amante, quello che regala e non capisce: rappresenta il postulato; poi tutto s'organizza attorno alla giovane moglie, Claire. Claire è per il suo amante ciò che suo marito è per lei. I tre personaggi non esistono che l'uno in rapporto agli altri e si giustificano per una sorta di corrispondenza morale. Infine, c'è l'altra, quella che sancisce il baratto: si ignora il suo grado di astuzia, ma tutto lascia supporre che sia sua la responsabilit` di aver stabilito le regole di questo gioco degli inganni. I personaggi hanno perduto tutto il loro valore individuale, sono ormai solo dei concetti umani e, quindi, tanto più umani quanto meno individuali".
Questa frase che Jacques Rivette ha applicato a Fritz Lang e al suo L'alibi era perfetto potrebbe benissimo essere attribuita al Coup du berger. Nell'autore di Quando la citt` dorme, esattamente come nel suo allievo, si può distinguere la stessa inclinazione per quei drammi che prendono il loro slancio di secondo grado. Non è un caso se L'alibi era perfetto e Coup du berger sono film da vedere almeno due volte, perché la loro ultima sequenza mette in nuova luce l'intreccio iniziale. Si capisce, in queste condizioni, come non solo la regia richieda un rigore impeccabile - raggiunto, qui - ma anche la direzione degli attori debba essere inflessibile. Jacques Rivette ha curato con scrupolo e amorosamente i suoi personaggi un po' canaglie, e i suoi criteririguardo al cast, per quanto sorprendenti, non mancano mai di affascinare: è il caso della scelta di Etienne Loinod, attore non professionista, e di Anne Doat, il cui volto così dolce non manca di ricordarci le eroine più tipiche di Otto Preminger.
Attualmente il nostro amico ha appena terminato il copione d'un film il cui soggetto costituisce, a mio parere, una vera meditazione sull'attualit`. Dipende solo da un produttore che un giorno lo si possa vedere nero su bianco e, perché no, a colori.

C. de Givray
("Cahiers du Cinéma", n. 77, 1957)

Biografia

regista

Jacques Rivette

(Rouen, Francia, 1928 - Parigi, Francia, 2016) comincia ad occuparsi di cinema come critico dei «Cahiers du cinéma» e verso la fine degli anni '50 sia come teorico che come cineasta è tra i promotori della nouvelle vague. Dopo essere stato assistente di Becker, nel 1960 esordisce con Paris nous appartient, dando inizio ad una riflessione sui rapporti fra il teatro (o l'arte in generale) e la vita che segnerà l'intera sua produzione. Con Susanna Simonin, la religiosa (Suzanne Simonin, le religieuse de Diderot, 1966), Rivette conosce il successo, ma anche le maglie della censura, mentre con L'amour fou (1967), presentato in versione restaurata nell'edizione n. 41 del Festival, con e i film successivi si afferma come uno dei maestri più grandi e segreti del cinema moderno.

FILMOGRAFIA

Le coup du berger (cm, 1956), Paris nous appartient (1960), Suzanne Simonin, le religieuse de Diderot (Susanna Simonin, la religiosa, 1966), L'amour fou (1968), Out 1 Noli me tangere (1970), Out 1 Spectre (1971), Céline et Julie vont en bateau (1974), Duelle (1976), Noroît (1976), Merry-Go-Round (1981), Le Pont du Nord (1981), Paris s'en va (1981), L'amour par terre (L'amore in pezzi, 1984), Hurlevent (1985), La bande des quatre (Una recita a quattro, 1989), La Belle noiseuse (La bella scontrosa, 1991), Jeanne la Pucelle Les Batailles (Giovanna d'Arco. Prima parte, 1994), Jeanne la Pulcelle Les Prisons (Giovanna d'Arco, il processo. Seconda parte, 1994), Haut bas fragile (Alto basso fragile, 1995), Secret Defense (1998), Va savoir! (Chi lo sa?, 2000), Histoire de Marie et Julien (2002), Ne Touchez Pas la Hache (La duchessa di Langeais, 2006), 36 vues du Pic Saint-Loup (Questione di punti di vista, 2009).

Cast

& Credits

Regia: Jacques Rivette.
Sceneggiatura: Jacques Rivette, Claude Chabrol, Charles Bitsch.
Fotografia: Charles Bitsch.
Montaggio: Denise de Casabianca.
Musica: François Couperin.
Interpreti e personaggi: Virginie Vitry (la moglie), Anne Doat (sua sorella), Etienne Loinod (il marito), Jean-Claude Brialy (l'amante).
Produzione: Claude Chabrol, Pierre Braunberger.
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