19° TORINO FILM FESTIVAL
Omaggio a Jean-Marie Straub e Daniele Huillet

TROP TÔT, TROP TARD

TROP TÔT, TROP TARD
di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet
Nazione: Francia, Egitto
Anno: 1980
Durata: 100'


E' stato sempre difficile per noi dire qualcosa su tutti i nostri film e ci siamo quasi sempre rifiutati di farlo; nel caso di questo film però l'impossibilit` è ancora maggiore, perché finora in nessuno dei nostri film tutto è stato così «aperto», così libero, che gli spettatori stessi (e noi due, come primi spettatori) possono creare e apprendere relazioni, nessi, «rapports», per decifrare, collegare e «interpretare» la realt`, o meglio, le realt`. A questo riguardo c'è da dire che non si tratta di una «fiction», ma di ciò che si definisce «documentario», anche se questo modo di documentare è nuovo, credo (ma con dei precedenti, ad esempio La sortie des usines Lumière), non una narrazione «plausibile», nessun interprete - si narrano lotte, rivolte, fallimenti, ritardi o anticipazioni, statistiche; si rappresenta storia, topografia, geografia, geologia, luce, luci, venti, e nuvole, terra (trasformata e lavorata dall'uomo), tracce - cancellate o ancora visibili - e cielo (molto cielo); si cerca di trovare il punto di vista giusto (il più giusto), l'altezza giusta, la proporzione giusta tra cielo e terra, in modo da poter effettuare delle panoramiche senza dover cambiare la linea dell'orizzonte, anche per 160 gradi.
Vengono mostrati molti teatri dell'oppressione, della ribellione, si ascoltano i rumori del presente, viene raccontata la storia di classe della Francia nei mesi che precedettero il 1789 con le parole di Friedrich Engels e una voce di donna (la mia!, in tedesco con accento francese, affinché esista un legame con i paesaggi e i nomi), e poi, da una voce d'uomo con accento arabo, la storia delle lotte contadine in Egitto e della liberazione dai colonizzatori occidentali, ma non dell'oppressione di classe nel proprio paese.
Differenze tra tempo storico e tempo «eterno» (!), ciò che è uguale, ciò che è completamente diverso, dove lo spazio diviene tempo (ciò che appartiene alla storia, ma è anche l'«essenza» della cinematografia), fin dove si possa procedere nell'analisi con strumenti precisi come macchina da presa e nagra, che però non sono mai precisi abbastanza e tuttavia molto più precisi dei nostri sensi: anche questo deve trovare in qualche modo «espressione» in questo film…
A questo riguardo posso ancora raccontare la storia della sua genesi: molti anni fa (dopo Einleitung… credo, dunque, nel 1972), Werner Dütsch ci chiese se volevamo girare per la sua sezione un film con solo «immagini fisse». Jean-Marie rispose che un film del genere gi` esisteva (La Jetée di Chris Marker) e che in linea di principiko odiava le foto…
Poi girò Moses und Aron, dove, nella grande panoramica della prima scena (chiamata di Mosé), si attua la scoperta della geologia mescolata alla storia umana e, nelle due ultime panoramiche del primo atto - e durante il viaggio di documentazione che facemmo nel 1972 -, la scoperta dell'Egitto e dei suoi paesaggi. In quel periodo Jean-Marie lesse un giorno la postfazione al libro di Mahmud Hussein (gli autori, che in realt` sono due, furono internati in un campo di concentramento sotto il regime nasseriano e ora vivono e lavorano a Parigi) - Luttes sociales en Egypte - e ne rimase colpito. Nacque allora l'idea di tornare in Egitto per girarvi qualcosa sull'Egitto nel cuore del paese stesso. Straub, che era stato amnistiato, poté tornare in Francia; riscoprì grazie all'esilio, ai soggiorni in Italia (in Germania si apprende la lotta di classe, in Italia si impara invece il vedere) e in Egitto (cioè Africa e una cultura ancora Contadina) il prorpio paese.
Allora Straschek ci regalò i carteggi di Marx e Engels ed io lessi questa lettera di Engels a Kautsky, che piacque molto a Straub e che era anche un mezzo per «correggere» la nostalgia e collegare Parigi e il paese.
Nel 1976 abbiamo girato Fortini/Cani, in cui è contenuto l'abbozzo di questo Trop tôt, trop tard: la lunga sequenza sulle Apuane e a Marzabotto (resistenza e massacro). Poi, con un po' di lavoro, tutto si è combinato, riunito, strutturato, così com'era…
(Danièle Huillet, da un programma del Goethe Institut di Roma, fonte originale non reperita, 1982)

(…) Nel giugno 1980 gli Straub sono andati a filmare per quindici giorni nella campagna francese. Sono stati visti in luoghi improbabili quali Tréogan, Mottreff, Marbeuf, o Harville. Sono stati visti aggirarsi nei pressi di grandi citt`: Lione, Rennes. La loro idea, quella che presiede all'esecuzione di questo opus 12 della loro opera (gi` vent'anni di cinema!), era quella di filmare così come sono oggi un certo numero di luoghi citati in una lettera inviata da Engels al futuro rinnegato Kautsky. In questa lettera (letta, off, da Danièle Huillet) Engels descrive, cifre alla mano, la miseria delle campagne alla vigilia della Rivoluzione francese. I luoghi, lo sospettavamo, sono cambiati. Innanzi tutto, sono deserti. La campagna francese, dice Straub, ha un «aspetto fantascientifico, da pianeta abbandonato». Ci si vive, forse, ma non ci si abita più. I campi, i sentieri, gli steccati, i filari di alberi, sono tracce dell'attivit` umana, ma gli attori sono gli uccelli, qualche automobile, dei rumori, il vento.
Nel maggio 1981 gli Straub sono in Egitto e filmano altri paesaggi. La guida questa volta non è Engels, ma un marxista più recente, l'autore delle recentemente famose Luttes de classes en Egypte, Mahmoud Hussein. Sempre off, la voce di un intellettuale arabo racconta in francese (ma con l'accento) la resistenza contadina all'occupazione inglese fino alla rivoluzione «piccolo-borghese» di Neguib del 1952. Ancora una volta, i contadini si rivoltano troppo presto, e arrivano troppo tardi quando si tratta del potere. Questo ritornello ossessivo è il «contenuto» del film.
È proposto fin dall'inizio, come un motivo musicale: «che i borghesi, in questa come in altre occasioni, furono troppo vigliacchi per sostenere i loro interessi/che dalla Bastiglia in poi fu la plebe a dover fare tutto il lavoro» (Engels).
Il film è dunque un dittico. Uno, la Francia. Due, l'Egitto. Nessun attore, nessun personaggio, soprattutto nessuna comparsa. Se c'è un attore in Trop tôt, trop tard, è il paesaggio. Questo attore ha un testo: la Storia (i contadini che resistono, la terra che resta) di cui è la testimonianza vivente. Questo attore recita con più o meno talento: la nuvola che passa, un volo di uccelli, un gruppo di alberi piegati dal vento, una schiarita, ecco di cosa è fatta la recitazione del paesaggio. È un modo di recitare meteorologico. Non se ne erano più visti di simili da molto tempo. Dal muto, per essere esatti. (...)
Trop tôt, trop tard è, per quanto ne so, uno dei rari film che, dopo quello di Sjöström, abbia filmato il vento. Bisogna vederlo - e sentirlo - per crederci. È come se la macchina da presa e la piccola troupe prendessero il vento come una vela e il paesaggio come un mare. La macchina da presa gioca con il vento, lo segue, lo precede, ritorna indietro come una palla di jokan. Come se fosse tenuta al guinzaglio o asservita a un'altra macchina come quella inventata da Michael Snow in quel film sbalorditivo che era La Région centrale (in Snow anche il terreno di gioco della macchina da presa era una sorta di pianeta abbandonato. Una cosa spiegava l'altra).
(...) Con Trop tôt, trop tard si tenta un esperimento con noi, su di noi: in certi momenti iniziamo a vedere (dell'erba piegata dal vento) prima di sentire (il vento responsabile di quel piegarsi). In altri momenti, prima sentiamo (il vento) e poi vediamo (l'erba). Immagini e suoni sono sincroni, eppure, in ogni istante, ognuno di noi può fare esperienza dell'ordine in cui ordina le proprie sensazioni. È dunque un film sensazionale.
Questo vale per la prima parte, il deserto francese. Nell'Egitto sovrappopolato le cose vanno diversamente. Lì i campi non sono più vuoti, vi badano dei fellah, non si può più andare dappertutto, filmare chiunque come meglio si crede. Il terreno di gioco torna ad essere il territorio degli altri. Gli Straub (chi conosce i loro film sa che su questo non transigono) pensano che sia molto importante che un cineasta non disturbi la gente che filma. Bisogna dunque vedere la seconda parte di Trop tôt, trop tard come uno strano gioco, fatto di avvicinamenti e arretramenti, in cui i cineasti, più agopuntori che meteorologi, cercano il luogo - l'unico, quello buono da dove la loro macchina da presa potr` riprendere la gente senza disturbarla. (...)
Questi scrupoli sorprenderanno. Non sono molto diffusi. Filmare, soprattutto in campagna, significa in genere devastare tutto, fare irruzione nella vita della gente, fare un quadretto contadino, del regionalismo, del ritorno a, dello stantio, del museo. Perché il cinema appartiene alla citt`, e nessuno ha mai saputo veramente cosa sarebbe un «cinema contadino», radicato nel vissuto, nello spazio-tempo contadino. Bisogna dunque vedere gli Straub, abitanti di citt`, navigatori di terraferma, perduti. Bisogna vederli in mezzo ai campi con il dito bagnato levato in alto per sentire il vento, e l'orecchio teso verso quello che dice. In quel momento, la sensazione più nuda serve da bussola. Tutto il resto, etica ed estetica, contenuto e forma, ne consegue.(...)
(Serge Daney, «Libération», 20-21 febbraio 1982)

Biografia

regista

Jean-Marie Straub

Jean-Marie Straub (Metz, Francia, 1933) ha lavorato, come assistente, per registi come Robert Bresson, Abel Gance, Jean Renoir o Jacques Rivette, esordendo nel 1963 insieme a Danièle Huillet, che da quel momento sarà sua compagna di vita e di lavoro, con il cortometraggio Machorka - Muff, tratto da un racconto di Heinrich Böll. Hanno realizzato il loro primo lungometraggio, Cronaca di Anna Magdalena Bach, nel 1968. Da allora hanno diretto una trentina di film, confrontandosi con autori come Friedrich Hölderlin o Cesare Pavese. Nel 2006 sono stati omaggiati, a Venezia, di un Leone speciale per l’innovazione del linguaggio cinematografico.

FILMOGRAFIA

 filmografia essenziale/essential filmography

Machorka - Muff (coregia/codirector Danièle Huillet, cm, 1963), Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1968), Moses und Aaron (Mosè e Aronne, coregia/codirectorDanièle Huillet, 1975), Dalla nube alla resistenza (coregia/codirector Danièle Huillet, 1979), Der Tod des Empedokles (La morte di Empedocle, coregia/codirector Danièle Huillet, 1987), Lothringen! (coregia/codirectorDanièle Huillet, cm, 1994), Sicilia! (coregia/codirector Danièle Huillet, 1999),Une visite au Louvre (coregia/codirector Danièle Huillet, 2004), Corneille-Brecht (cm, 2009), O somma luce (2010), Jeonju Digital Project 2011 - Un héritier (cm, 2011).

Danièle Huillet

Danièle Huillet nasce a Parigi il 1° maggio 1936. Cresce in campagna e ritorna a Parigi verso il 1948. Studia al liceo Jules Ferry. Si prepara per l'IDHEC ma si rifiuta di scrivere sul film Menèges di Yves Allégret che ritiene indegno di una prova d'esame.

Cast

& Credits

Regia: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Testo: da una lettera di Friedrich Engels a Karl Kautsky e da un brano della postfazione di Luttes de classe en Egypte di Mahmoud Hussein.
Fotografia: William Lubtchansky, Caroline Champetier (in Francia), Robert Alazraki e Marguerite Perlado (in Egitto).
Suono: Louis Hochet, Manfred Blank.
Montaggio: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet.
Commenti e voci: Danièle Huillet (prima parte), Bhagat el Nadi (seconda parte).
Produzione: Straub/Huillet.
Riprese: due settimane in Francia (giugno 1980), tre settimane in Egitto (giugno 1980).
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