Nazione: Italia, Francia
Anno: 1963
Durata:


La vicenda è ambientata a Venezia. Bonifacio, un giovane sui vent'anni, è in attesa di un lavoro. Ha appena avuto un colloquio. (…) Deve aspettare i risultati del test che gli hanno fatto, ha un'ora e mezza di tempo, la durata del film. Durante questo lasso di tempo passeggia per la città ponendosi delle domande; fa quel che in francese si chiamerebbe un esame di coscienza: ma non è proprio così, più precisamente si pone il problema del rapporto fra ciò che lui è e ciò che dovrebbe essere per ottenere il suo posto nella società. (…)
Eccolo mettersi a immaginare tutto ciò che potrebbe fare per evitare di accettare il posto: aprire un bordello, fare una rapina, diventare un vogatore, ecc. Dopo aver vagabondato per Venezia ritorna, senza neanche accorgersene, alla sede della ditta per conoscere il risultato del test, ma sul cancello d'entrata vede un cartello su cui è scritto "Il lavoro, nobilita": a quel punto se la squaglia. Avrete capito che il mio è un film contro il lavoro (Tinto Brass, Introducing Tinto Brass, in "Cinéma", n. 103, 1966, p. 9).


Biografia

regista

Tinto Brass

(Milano, 1933) si laurea in giurisprudenza nel 1957, ma, appassionato più di cinema che di legge, si trasferisce a Parigi dove lavora come archivista alla Cinémathèque di Langlois, per poi tornare in Italia e collaborare come aiuto regista con autori come Cavalcanti, Rossellini e Ivens, prima di esordire nel lungometraggio con Chi lavora è perduto (In capo al mondo) nel 1963. Successivamente si confronta con vari generi (la fiaba fantascientifica del Disco volante, 1964, il western all’italiana di Yankee - L’americano, 1966, e il giallo di Col cuore in gola, 1967), avvicinandosi al clima libertario del ’68 con Nerosubianco (1969) o La vacanza (1971) per poi dedicarsi a partire da Salon Kitty (1976) esclusivamente al genere erotico.

FILMOGRAFIA

Chi lavora è perduto (In capo al mondo) (1963), Ça ira - Il fiume della rivolta (doc., 1964), La mia signora (ep. L’uccellino; L’automobile, 1964), Il disco volante (1964), Yankee - L’americano (1966), Col cuore in gola (1967), Nerosubianco (1969), L’urlo (1970), Dropout (1971), La vacanza (1971), Salon Kitty (1976), Io, Caligola (1979), Action (1980), La chiave (1983), Miranda (1985), Capriccio, (1987), Snack Bar Budapest (1988), Paprika (1991), Così fan tutte (1992), L’uomo che guarda  (1994), Fermo posta Tinto Brass (1995), Monella (1998), Tra(sgre)dire (2000), Senso ’45 (2002), Fallo! (2003), Monamour (2005).

Dichiarazione

regista

Il protagonista del film, Bonifacio, è un intellettuale?
No. Ma è un personaggio che pensa, in guerra contro tutti i principi stabiliti. Un'altra cosa importante: c'è un veneziano con cui Bonifacio gioca costantemente sull'ironia del linguaggio, con una sorta di utilizzazione polivalente del vocabolario. Sono persuaso che a Parigi molti penseranno a Boris Vian.

Il film ha avuto una buona resa commerciale in Italia?
Sì. Io stesso sono stato sorpreso dal risultato. I quarantacinque milioni di lire spesi sono stati recuperati in poche settimane.

(Introducing Tinto Brass, in "Cinéma", op. cit. pp. 9-12)


Nel mio primo film, Chi lavora è perduto c'era anche il mio amore, che è di tutti o quasi i miei film, per i personaggi marginali, che mi sono cari perché detesto le persone potenti che condizionano la vita altrui. Forse questo mi deriva da un fatto familiare, mio padre era un uomo molto autoritario, quindi io avevo delle insofferenze violente nei confronti delle istituzioni e dei potenti mentre mi trovavo bene con chi era uno sconfitto o un escluso. Questo anche nella vita, nel privato, non è che frequentassi gente a me omologa sul piano sociale. Magari anche perché, così a naso o ereditariamente, dato che sono di origine russa, mi è sempre piaciuta l'anarchia. E non perché è un fatto di violenza ma perché è soprattutto un fatto di amore. (…)
Chi lavora è perduto è un film sull'amarezza di una generazione di fronte al boom che girai in anni di boom. Il soggetto rispecchiava parecchio quello che è sempre stato il mio atteggiamento: quanto più la realt` è consolatoria tanto più provocatorie devono essere le proposte di carattere culturale e artistico. Il che magari può farmi nascere il dubbio che oggi, essendo la realt` tanto provocatoria, si dovrebbero fare film consolatori... Il film più che nei fatti e autobiografico nelle emozioni. Ci ho messo Venezia perché è la citt` che conoscevo meglio, ci ho messo le rabbie fredde, solo apparentemente calme che sono poi le rabbie così come le esprimono i veneziani, cariche di ironia, senza dichiarazioni di fanatismo ma filtrate dal disincanto. Venezia è una citt` disincantata, ne ha viste talmente tante per cui non si meraviglia quasi più di niente o le sue meraviglie le esterna in termini ironici, beffardi...
È stato il mio primo film. Lo feci nel '63 e oggi viene considerato un'opera prima di rilievo. Al tempo in cui usci non ebbe lo stesso trattamento dai critici, e questo è un ripensamento abbastanza tipico da parte loro, perché in genere non afferrano al volo le novit`. La prima versione, prima di essere conciata dalla censura e ritirata dal commercio, si intitolava In capo al mondo. Passò dei guai perché non c'era ancora la legge attuale sulla censura, e allora la commissione addetta lo aveva ritenuto offensivo della morale, della famiglia, della patria, di tutto, tanto che mi dissero: 'Lo rifaccia, poi ne riparliamo". Invece di rifarlo gli cambiai il titolo in Chi lavora è perduto, e nel frattempo era cambiato anche il governo. Il titolo non cambiava il film, il governo non cambiava la situazione di merda in cui ci trovavamo, però era arrivato il centrosinistra che si pensava fosse più liberale. Morale: col cambio del titolo gli addetti fecero finta che si trattasse di un film diverso e, evitando di apportargli alcun taglio e di apportargli i veti tirati in ballo per In capo al mondo, il film uscì identico alla versione originale, senza più recare offesa a nessuno (Franca Faldini, Goffredo Fofi, a cura di, L'avventurosa storia del cinema italiano 1960-1969, op. cit., p. 233)

Cast

& Credits

Regia, soggetto e montaggio: Tinto Brass.
Sceneggiatura: Tinto Brass, Franco (Kim) Arcalli.
Dialoghi: Giancarlo Fusco, Tinto Brass.
Fotografia: Bruno Barcarol.
Scenografia: Raul Schultz.
Costumi: Danilo Donati.
Musica: Piero Piccioni.
Interpreti e personaggi: Sady Rebbot (Bonifacio B.), Pascale Audret (Gabriella), Tino Buazzelli (Claudio), Franco Arcalli (Kim), Piero Vida (Gianni), Gino Cavalieri (il padre), Giuseppe Cosentino (il generale), Sartorelli (il sergente), Enzo Nigro (Marietto), Monique Messine (la modella), Carletto Chia (Bonifacio bambino).
Produzione: Moris Ergas, per Zebra Film Roma-Franco London Film Parigi.
Distribuzione: Dear Film-20th Century Fox.
Menu