Nazione: Italia
Anno: 1965
Durata: 107'


In una villa decadente vivono, insieme alla madre cieca, quattro fratelli. Augusto, il maggiore, è l'unico ad avere una vita sua, delle amicizie e una fidanzata. Giulia è psicologicamente ferma all'età della preadolescenza. Leone, debole e malato, è costretto sempre a subire. Ale, infine, è il più insofferente, il meno disposto a fingere o a scendere a compromessi, anche lui è malato.
Ale pensa di "liberare" Augusto dal resto della famiglia. Ha intenzione di uccidersi, con gli altri due fratelli e la madre, in un incidente d'auto da lui organizzato. Ma durante la strada si distrae e dimentica il suo piano. In città incontra un amico e insieme progettano di mettersi ad allevare cincillà. Chiede poi ad Augusto i soldi necessari, ma questi glieli rifiuta dicendo che la madre costa molto. Ale uccide la donna facendola cadere da una scarpata. Durante il funerale confessa a Giulia la propria responsabilità. La morte della madre non muta i torbidi e complessi rapporti fra i quattro. Un giorno Ale uccide Leone nella vasca da bagno. Giulia lo vede, cade a terra e rischia una paralisi. Quando Augusto decide di andarsene, Ale per fermarlo gli rivela di essere il responsabile dei due omicidi. Ormai ha in pugno la situazione. In camera sua, mentre danza ascoltando "La Traviata", viene colto da un attacco epilettico, chiama in aiuto la sorella, che pur avendo sentito le urla, non si muove. Le ultime convulsioni, e poi la morte.

Biografia

regista

Marco Bellocchio

Marco Bellocchio (Piacenza, 1939), realizza il suo primo lungometraggio, I pugni in tasca che trionfa a Locarno nel 1965. Nel 1967 realizza La Cina è vicina, che vince il premio Speciale della Giuria alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia. Ha inoltre fondato una società di produzione, la Filmalbatros, volta alla promozione di giovani registi.

FILMOGRAFIA

Abbasso il zio (cm, 1961), I pugni in tasca (1965), La Cina è vicina (1967), Nel nome del padre (1972), Sbatti il mostro in prima pagina (1972), Il gabbiano (1977), Diavolo in corpo (1986), La visione del sabba (1988), La condanna (1991), Il sogno della farfalla (1994), Il principe di Homburg (1997), La balia (1999), L'affresco (cm, 2000), L'ora di religione (2002), Appunti per un film su «zio Vanja» (2002).

Dichiarazione

regista

Il titolo I pugni in tasca vorrebbe esprimere l'atteggiamento volontariamente malato di Alessandro, nel suo comportamento pubblico e famigliare; atteggiamento di rivolta a una condizione esistenziale che non si manifesta mai sotto forma di cosciente rifiuto, ma che si esalta nella solitudine e prova la sua forza in un'area fantastica dominata dai sogni, dove le frustrazioni e le impotenze si accumulano e si moltiplicano. Chi tiene i pugni in tasca si avvia inesorabilmente verso le conseguenze estreme della propria ignavia: quanto più i pugni sono rimasti stretti nell'angustia di una progressiva incapacità di azione, tanto più incontrollabile e fatale esploder` infine il desiderio di rivolta e la troppo compressa vocazione al male. (…)
M'interessava riconoscere un motivo tipico di un adolescente che, pur essendo abitualmente sconfitto, ed essendo complice della propria condizione, cerca sempre le giustificazioni ad essa e crede di trovarle addebitando ai propri genitori, alla propria nascita, al proprio passato le ragioni della sua debolezza e infelicità L'esperienza di Alessandro è abbastanza comune, cioè chiunque, riferendo la propria adolescenza a quella di Alessandro può scoprire dei motivi comuni. (…) Naturalmente l'esperienza di Alessandro ha delle risoluzioni estreme e nella pratica è imparagonabile alle nostre; di comune rimane la volontà, che e sempre della stessa natura, dell'adolescente di riuscir sempre a trovare delle ragioni alla propria impotenza che escludano qualsiasi responsabilità personale. Appunto l'epilessia acquista prima di tutto un significato di scusa, per averla. Alessandro si sente esonerato da qualsiasi dovere. La malattia è la giustificazione migliore perché di solito non si richiede all'ammalato una presenza morale, ma ci si accontenta che sopravviva. È chiaro che se Alessandro non fosse stato epilettico si sarebbe creato degli altri alibi; in questo senso, ripeto, ne I pugni in tasca l'epilessia e soprattutto il simbolo di questa ipocrisia adolescenziale. (…)
Augusto è il peggiore e lo si può far rientrare in un discorso di denuncia abbastanza tradizionale. Come la fidanzata del resto. D'altronde in Alessandro, nella sua rivolta, c'è sempre una tale immodestia, un narcisismo così sfrenato e al tempo stesso una rassegnazione così pavida e irresponsabile, che le sue "esecuzioni" perdono qualsiasi valore esemplare. Ozioso tutto il giorno Alessandro vuole naturalmente diventare uomo e crede di poterlo fare evitando la via più lunga e difficile, la via umile e redditizia del lavoro quotidiano, del progresso insensibile e costante e scegliendo invece quella più breve, che immediatamente possa dare dei frutti tangibili. Perché le sue allucinazioni di ricostruire la famiglia e darle uno splendore che non ha mai conosciuto partono sempre dal presupposto che da questa fantastica rinascita debbano essere esclusi i famigliari a suo giudizio irrecuperabili. Ma appunto per non aver compreso nella sua rivoluzione personale la madre e il fratello, Alessandro non va oltre l'assassinio. Appunto questa sfiducia di recuperare la famiglia intera scopre tutta la morbosità e la decadenza del comportamento di Alessandro, che con il delitto inaugura una consuetudine che sarà sempre costretto a rispettare. (…)
Per alcuni registi progressisti è necessario creare un personaggio positive, che raccolga in sé tutti quei valori morali che a loro preme di salvare. Questo personaggio e un coro che giudica a voce o con l'espressione del volto il comportamento degli altri caratteri. Al contrario ne I pugni in tasca la moralità è affidata soltanto allo stile: uno stile freddo, obiettivo, spietato che rivelasse un atteggiamento di permanente ironia e di distacco da una materia così malsana e seducente, per evitare allo spettatore qualsiasi equivoco e permettergli una disapprovazione costruttiva, di comune accordo con l'autore (Adriano Aprà, Luigi Martelli, Maurizio Ponzi, Stefano Roncoroni, Intervista con Marco Bellocchio ,in "Filmcritica", n. 161, 1965, pp. 489-494).

Cast

& Credits

Regia, soggetto e sceneggiatura: Marco Bellocchio.
Aiuto regia: Vittorio De Sisti.
Fotografia: Alberto Marrama.
Operatore alla macchina: Giuseppe Lanci.
Scenografia: Rosa Sala.
Costumi: Gisella Longo.
Montaggio: Aurelio Mangiarotti (Silvano Agosti).
Musica: Ennio Morricone.
Organizzazione: Enzo Doria.
Interpreti e personaggi: Lou Castel (Ale), Paola Pitagora (Giulia), Marino Masd (Augusto), Liliana Gerace (madre), Pier Luigi Troglio (Leone), Mauro Martini (il barnbino), Jeannie Mac Neil (Lucia), Gianni Schicchi (Tonino), Alfredo Filippazzi, Stefania Troglio, Gianfranco Cella, Celestina Bellocchio, Irene Agnelli, Lella Bertante.
Produzione: Doria Cinematogratica.
Direttore di produzione: Ugo Novello.
Distribuzione: International Film Company.
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