Nazione: Italia
Anno: 1958
Durata: 95'


Vito Polara, un giovane e ambizioso napoletano, vive grazie al contrabbando di sigarette. Ben presto si rende conto che se vorrà far fortuna dovrà trovare il modo di entrare nell'organizzazione camorristica che controlla il mercato ortofrutticolo. Ci riuscir` grazie a un prestito e all'iniziale tolleranza di Salvatore Ajello, il potente capo dell'organizzazione.
Vito crede ormai di avere la fortuna in pugno: si fidanza e acquista un lussuoso appartamento. Carico di debiti è costretto a trasgredire gli ordini di Ajello. Costui ha imposto il blocco delle forniture di pomodori per una settimana, Vito invece ne promette una certa quantittà a un grossista. Quando i contadini, impauriti dagli uomini di Ajello, si rifiutano di caricare il prodotto, Vito abbandona la cerimonia nuziale per eseguire lui stesso le operazioni di carico e portare i carri sino ai Mercati Generali. Ad attenderlo trover` però Ajello che lo uccider` a revolverate.


Nella Sfida il pregio maggiore era un certo schematismo nei personaggi, che, anzi, fu criticato da alcuni. A quello schematismo tenevo molto: perché era richiesto dai personaggi, che erano schematici ed elementari. Un farabutto non può essere mai oggetto di un approfondito esame se non lo si prende come argomento principale di una storia, di un film. (...)
Il personaggio interpretato da Suarez era uno che cercava di rompere una certa cerchia per i suoi interessi personali, ma era simile agli altri. Non era la ribellione di un uomo contro le ingiustizie. Era un farabutto come gli altri che voleva fare il farabutto per conto proprio. Non tutti l'hanno capito. Volli fare il ritratto di un uomo negativo, negativo quanto gli altri
Ho trovato abbastanza giusta la critica che mi ha attribuito un certo cinismo una certa freddezza nel raccontare la vicenda della Sfida. Ma era voluto. Quel che chiamavano cinismo, freddezza per me era una certa obiettivit` nel vedere certe cose dal di dentro. Che è quello che poi Moravia ha definito naturalismo: cioè la rappresentazione dei fatti senza un'evidente presa di posizione dell'autore. Secondo me, però, la presa di posizione c'è fin da quando uno sceglie un certo argomento, sceglie la condotta dei suoi personaggi e li fa agire. Non c'è una condanna di un personaggio nei confronti degli altri; e come le dicevo prima, nella Sfida come si può condannare il capo-guappo più di Suarez, guappo che pretende prendere il suo posto? Si possono preferire sentimentalmente, come personaggi: io posso amare di più un personaggio che un altro proprio per ragioni sentimentali, o estetiche, diciamo. Però per raccontare i fatti nell'interno di un gruppo di quel genere, bisogna avere quell'obiettivit` che consente di poterli rappresentare senza appassionarsi alle loro vicende. Io non mi sono appassionato alle loro vicende.

(Napoli è il cuore del mondo, in "Schermi" n. 18, 1959, pp. 308-14)


A proposito de La Sfida si è parlato spesso di influenze del gangsters-film, di Dassin, di Kazan, del cinema sociale americano del dopoguerra.
Si possono sicuramente trovare queste influenze, ma assimilate, diffuse, perché questo genere di cinema mi ha sempre interessato e non perché volessi poi farvi riferimento. Amo i film costruiti solidamente, che riescono a esprimersi in modo attuale, a porre un problema particolare che abbia una relazione con dei valori universali, tradizionali, con quelle forme abituali di racconto e di narrazione. E così che si esprime certo cinema americano. È possibile che la mia ammirazione per questo genere sia arrivata a questa mia prima esperienza cinematografica, come agli altri miei film. (...)
I problemi del rapporto tra l'uomo e la societ` mi hanno sempre interessato particolarmente. Prima di fare l'analisi della societ` ho preferito tentare l'analisi di una societ` che conoscevo bene. Così ho scelto Napoli.

(Michel Ciment, Goffredo Fofi, Paolo Gobetti, Entretien avec Francesco Rosi, in "Positif", n. 69, 1965, pp. 5-6)

Biografia

regista

Francesco Rosi

(Napoli, 1922) è aiuto regista di Luchino Visconti per La terra trema (1948) e nel 1952 dirige alcune sequenze di Camicie rosse (1952) di Goffredo Alessandrini. Esordisce nel lungometraggio con La sfida (1958), premiato a Venezia con il Premio speciale della giuria. Con Salvatore Giuliano (1962) inaugura il genere del film inchiesta e con Le mani sulla città (1963), che vince il Leone d’oro a Venezia, denuncia la corruzione del sistema politico italiano. Dopo il fiabesco C’era una volta (1967), torna all’impegno con film come Uomini contro (1970), Il caso Mattei (1972) e Cristo si è fermato a Eboli (1979). Nel 1997 realizza La tregua, un film che aveva in mente da più di trent’anni.

FILMOGRAFIA

Camicie Rosse (Anita Garibaldi) (coregia/codirector Goffredo Alessandrini, 1952), La sfida (1958), I magliari (1959), Salvatore Giuliano (1962), Le mani sulla città (1963), Il momento della verità (1965), C’era una volta (1967), Uomini contro (1970), Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano (1973), Cadaveri eccellenti (1976), Cristo si è fermato a Eboli (1979), Tre fratelli (1981), Carmen (1984), Cronaca di una morte annunciata (1987), 12 registi per 12 città (ep. Napoli, 1989), Dimenticare Palermo (1990), Diario napoletano (doc., 1992), La tregua (1997).

Dichiarazione

regista

In "La sfida" il pregio maggiore era un certo schematismo nei personaggi, che, anzi, fu criticato da alcuni. A quello schematismo io tenevo molto: perché era richiesto dai personaggi, che erano schematici ed elementari. Un farabutto non può essere mai oggetto di un approfondito esame se non lo prende come argomento principale di una storia, di un film. (...)

Il personaggio interpretato da Suarez era uno che cercava di rompere una certa cerchia per i suoi interessi personali, ma era simile agli altri. Non era una ribellione di un uomo contro le ingiustizie. Era un farabutto come gli altri che voleva fare il farabutto per conto proprio. Non tutto l'hanno capito. Volli fare il ritratto di un uomo negativo, negativo quanto gli altri. (...)

Ho trovato abbastanza giusta la critica che mi ha attribuito un certo cinismo, una certa freddezza nel raccontare la vicenda de "La sfida". Ma era voluto. Quel che chiamavano cinismo, freddezza per me era una certa obiettività nel vedere certe cose dal di dentro. Che è quello che poi Moravia ha definito "naturalismo": cioè la rappresentazione dei fatti senza un'evidente presa di posizione dell'autore. Secondo me, però, la presa di posizione c'è fin da quando uno sceglie un certo argomento, sceglie la condotta dei suoi personaggi e li fa agire. Non c'è la condanna di "un" personaggio nei confronti degli altri; e come le dicevo prima, ne "La sfida" come può condannare il capo-guappo più di Suarez, guappo che pretende di prendere il suo posto? Si possono preferire sentimentalmente, come personaggi: io posso amare di più un personaggio che un altro proprio per ragioni sentimentali o estetiche, diciamo. Però, per raccontare i fatti nell'interno di un gruppo di quel genere, bisogna avere quell'obiettività che consente di poterli rappresentare senza appassionarsi alle loro vicende. Io non mi sono appassionato alle loro vicende. (...)

"Napoli è il cuore del mondo" , in "Schemi", n.18, 1959, pp 308-14

A proposito de "La sfida" si è parlato spesso di inflienze del gangsters' film, di Dassin, di Kazan, del cinema sociale americano del dopoguerra.

Si possono sicuramente trovare queste influenze, ma assimilate, diffuse, perché questo genere di cinema mi ha sempre interessato e non perché volessi poi farvi riferimento. Amo i film costruiti solidamente, che riescono a esprimersi in modo attuale, a porre  un problema particolare che abbia una relazione con dei valori universali, tradizionali, con quelle forma abituali di racconto e di narrazione. È così che si esprime certo cinema americano. È possibile che la mia ammirazione per questo genere sia arrivata a quest mia prima esperienza cinematografica, come agli altri miei film. (...)
I problemi del rapporto tra l'uomo e la società mi hanno sempre interessato particolarmente. Prima di fare l'analisi della società ho preferito tentare l'analisi di "una" società che conoscevo bene. Così ho scelto Napoli.

Michel Ciment, Goffredo Fofi, Paolo Gobetti, "Entretien avec Francesco Rosi", in Positif, n. 69, 1965, pp.5-6.

Cast

& Credits

Regia e soggetto: Francesco Rosi.
Sceneggiatura: Francesco Rosi, Suso Cecchi D'Amico, Enzo Provenzale.
Aiuto-registi: Giulio Questi, Nando Cicero.
Assistente: Roberto Pariante.
Fotografia: Gianni Di Venanzo.
Operatore alla macchina: Enrico Menczer.
Scenografia: Franco Mancini.
Costumi: Marila Carteny.
Montaggio: Mario Serandrei.
Musica: Roman Vlad.
Fonico: Ovidio Del Grande.
Interpreti e personaggi: José Suarez (Vito Polara), Rosanna Schiaffino (Assunta), Nino Vingelli (Gennaro), Decimo Cristiani (Salvatore Ajello), Pasquale Cennamo (Ferdinando Ajello), Jose Jaspe (Raffaele), Tina Castigliano (la madre di Vito), Elsa Valentine, Ascoli (la madre di Assunta), Ubaldo Granata (Califano), Ezio Vergari (Antonio), Concetta Petito (zia Rosa), Rosita Pisano (la lavandaia), Elsa Fiore (la sorella di Vito).
Produzione: Franco Cristaldi per la Lux - Vides Cinecitt` (Roma) - Suevia Film (Madrid).
Negativo: Istituto Luce.
Distribuzione: Lux Film.
Menu