Nazione: RFT
Anno: 1968
Durata: 21'


La visione di questi film d` una gran pace paragonabile a quella del bambino prima di addormentarsi. I film di Wenders sono fatti per la gente che ha conservato intatto questo ricordo. Qui viene concreta la meravigliosa utopia che il bambino ancora è in grado di immaginarsi. L` dove è Silver City, anche "Blue Jay Way" non è molto lontano. Sogno; si annulla l'estraneit` delle cose; cade ogni barriera: l'immersione è totale.
Silver City è un film che esprime la nostalgia della mancanza della parola un tempo regnante in paradiso, un film della pace totale. Meravigliosamente è bandita da Silver City la violenza brutale a cui è soggetto oggi ogni abitante delle metropoli sovraffollate. File di macchine, riprese dall'alto, si muovono silenziosamente in una citt` quasi deserta, quiete le colombe come in nessun altro posto.
Silver City si compone di una successione di totali, ciascuno della durata di tre minuti (trenta metri di pellicola). Manca ogni montaggio brusco da un'inquadratura a un'altra: il caricatore finisce, la pellicola cambia colore all'inizio e alla fine. Fotogrammi di pellicola nera compaiono irregolarmente all'interno dell'inquadratura imitando il movimento delle palpebre. Il film è stato girato a Monaco ma della citt` non resta quasi nulla. Silver City esiste solo sullo schermo. Dato che le riprese sono state sempre effettuate al mattino, molto presto, le immagini danno totalmente sul blu. Tutto quanto non brilla per se stesso semafori, fari di automobili ha perso il suo colore "naturale", rimangono soltanto sfumature in blu. L'impressione che se ne ricava, e paragonabile all'esperienza che i Beatles hanno espresso in Yellow Submarine. In Silver City non ci sono più masse di lavoratori che ogni mattina si affrettano al lavoro senza sosta con gli occhi ancora insonnoliti. Si vedono solo lunghe file di macchine o meglio file di fari e semafori occhieggianti. Invano si cercheranno riferimenti di critica sociale. Il mondo diviene un campo: potremmo noi stessi sedere in una di quelle macchine, svoltare una volta a destra, un'altra a sinistra, usare il lampeggiatore, osservare gli stop delle macchine che ci precedono. Proprio perché questo film è tanto dissimile dalla chiacchiera quotidiana, si muove nella stessa orbita della musica pop e della droga. Se fosse stato realizzato in maniera più perfetta (cosa che non ci si può aspettare davvero da una produzione in 16mm), si sarebbe aperto uno squarcio in un mondo del tutto differente, totalmente artificiale, in grado di offrirci stimoli sensazionali: come è avvenuto in 2001 nei suoi totali all'inizio del film. Chi si droga può fare a meno di discutere sul realismo o sul documentarismo e allora perché un critico non potrebbe prendere la droga? Silver City si muove nella direzione in cui nasce la realt` cinematografica par excellence. Si d` qui per cenni l'utopia immaginata. Silver City, un mondo completamente funzionalizzato, un invito alla vita felice.
Tutto il contrario di quel che desidera il pubblico in base alle sue frustrate idee illuminate, da destra come da sinistra. Perciò reagisce così brutalmente di fronte a film come Silver City, irritato da quel che non può afferrare. Per esso è un orrore un film che manca di ogni voglia di razionalizzazione. Ciò è sempre accaduto con i piccolo borghesi: essi recalcitrano furiosamente di fronte a tutto ciò che non è livellato. In questo senso la sinistra agisce d'accordo con la destra e la merda liberale come ha ragione Handke! senza contrasti di fondo, quale rappresentante di una societ` che cerca di eliminare la naïveté allo stesso modo in cui punisce l'essere fanciulli. Peccato che proprio coloro che gridano più forte e osservano di meno, parlino continuamente di repressione; Silver City rappresenta il documento di una liberazione e chi non se ne accorge è semplicemente cieco. In quanto a Same Player Shoots Again, è il film di uno spettatore incapace di capire che al cinema il montaggio è sempre secondario rispetto al momento in cui si comincia a comprendere la bellezza di un'immagine o il fascino di un'inquadratura; è il film per chi non comprende che un'immagine in controcampo annulla l'intensit` della precedente e che tutto ciò avviene per tenere in piedi una concezione drammaturgica tradizionale nemica dell'immagine. Same Player riduce il cinema poliziesco a poche inquadrature: una stanza abbandonata in fretta (diversi uomini dal cappello a larghe tese e dai lunghi mantelli devono da poco aver giocato a Poker intorno a un tavolo rotondo); una cabina telefonica (la porta semiaperta, il ricevitore pende all'ingiù): scenari in bianco e nero dove qualcosa è appena accaduto. Dopo queste due brevi inquadrature, la lunga parte centrale: il gangster ferito che trascina con sé un mitra, camminando a fatica, visibile dai piedi sino alla cintola, ripreso un po' dall'alto da una macchina in corsa. È un'inquadratura molto lunga, di una precisione teatrale, che si beffa di qualunque descrizione. Viene ripetuta cinque volte, ogni volta virata in modo differente. L'inquadratura finale: il gangster, ripreso in piano americano, sul sedile posteriore di un'auto, semisdraiato, con la testa irrigidita appoggiata, gli occhi chiusi; esce sangue dal naso e dalla bocca; il paesaggio esterno scorre dinnanzi agli occhi. In Same Player non si parla, la colonna sonora consiste solo di due brevi brani di musica da film.
Un altro film in cui si verifica questo processo di radicale riduzione è Alabama/2000 Light Years, una produzione della Filmakademie di Monaco. Al contrario di Same Player, Alabama è più vivo, molto più fisico; un film di emozioni che invita all'identificazione. Anche qui appaiono solo frammenti di una storia; anche qui ci si concentra su una cosa. Chi ha visto L'Ainé des Fercheaux (Lo sciacallo), il meraviglioso film di Melville, sa che i lunghi viaggi in auto corrispondono al cinema come principio stilistico, in contrasto con tutta la comune tradizione drammaturgica. In Alabama si viaggia quasi unicamente in auto. Questi lunghi viaggi risultano da inquadrature pressoché identiche, l'occhio ha il tempo di regolarvisi. La macchina da presa sta sempre dietro, sul. retro dell'auto, e riprende attraverso il parabrezza; si vede talvolta il conducente in primo piano, talvolta non lo si vede affatto.
La fine di quest'ultimo che, ferito mortalmente, risale sull'auto, rappresenta anche la morte della macchina da presa: un uomo non muore di fronte a essa, piuttosto il morire viene evidenziato dalla perdita del senso della vista: l'obiettivo pìù volte si chiude sino al nero. Poi musiche di Bob Dylan, Jimi Hendrix, gli Stones che vengono quasi coperte dal rombo del motore. Soprattutto questo rumore mi ha molto coinvolto, tanto concreta è la sua presenza; direi assoluta. La musica e interrotta sporadicamente come quando si avvertono i disturbi radiofonici in auto. Alla fine, quando la dissolvenza a chiudere tende a diventare il nero non impressionato della pellicola, la musica ("2000 Light Years") si fa forte e assoluta. Un uomo al volante perde sangue lentamente: siamo al massimo! Sulla prima pagina della sceneggiatura c'era scritto: "Sceneggiatura per un film triste".
I cortometraggi di Wim Wenders non sono fatti "per riflettere" (così un critico di Monaco a proposito di Artisten di Kluge), non sono film che si possono tranquillamente giudicare dall'esterno. In essi bisogna penetrarci e sostarci a lungo. Ciò che nella realt` è degno di essere visto, qui lo si può vedere e godere. L'indugiare del regista su una stessa cosa, il suo insistere sui totali, la sua tendenza a che non è livellato. In questo senso la sinistra agisce d'accordo con la destra e permettono allo spettatore di parteciparvi. Liberi da quella costrizione che molti registi maniaci del montaggio impongono alle cose e perciò all'occhio, qui ci si può abbandonare alla fenomenologia delle cose. Il coitus interruptus che lascia frustrati quanti lo praticano, non è affatto il principio stilistico di questi cortometraggi. Qui si gode sino all'ultimo: la lunghezza dell'inquadratura è spesso identica alla lunghezza del caricatore. La presenza di tutto ciò che esiste, è qui trattenuta grazie all'amore per l'oggetto. È un amore che si traduce unicamente nel fatto di non poter smettere. Distogliere lo sguardo significherebbe annullare un contatto intimo.

Gerhard Theuring, da "Filmkritik", n. 5/1969


Meno allucinato, e senz'altro più consapevole e programmatico, è il successivo Alabama/2000 Light Years, girato nel novembre del '68 con 3000 marchi. La "purezza" dei film precedenti cede il posto a un impulso espressivo più concitato, a una smaniosa voglia di dire, di dichiarare le proprie ossessioni culturali: il rock, l'America, il cinema. La prima inquadratura è in questo senso rivelatrice: un P.P. di una radio accesa che trasmette un brano di Bob Dylan. Poi ancora il fascino, dell'ambientazione urbana, con la strada vista dall'alto e percorsa da automobili e passanti. Quindi la "storia", che si svolge in due ambienti ben definiti; il bar, cioè una grande sala con il jukebox e i tavolini ai quali siedono alcuni giovani esponenti, per dirla con Godard, della "civilt` di Marx e della Coca Cola" (giubbotti di pelle, jeans, capelli lunghi); e l'auto, nella quale il protagonista compie un lungo percorso attraverso campagne e boschi.
Ma, anche in questo caso, ciò che accade viene mostrato senza alcuna spiegazione e il personaggio rimane confinato nel limbo indefinito dell'occasionalit`. È ferito (cammina barcollando, al volante si tocca continuamente la spalla), ma non vi è nessun gusto del mistero, nessuna verit` da scoprire. La macchina da presa lo segue di spalle, instancabile e impietosa nel rivelarne la lenta agonia, sia che egli entri nel bar e passeggi meccanicamente da un tavolo all'altro scrutando i volti estranei, sia che da solo viaggi sull'autostrada, ma senza manipolare le azioni, senza distribuire funzioni né ruoli, senza fornire indizi o spiegazioni. "È più un film di dopo l'azione, di dopo la storia. Il soggetto è la morte. Questo è quanto si può dire della storia: che tratta della morte" (J. Dawson). E difatti, durante l'ultima corsa in auto attraverso un paesaggio ricoperto di neve che anticipa la "freddezza" ambientale di Summer in the City, una lentissima dissolvenza in nero sancisce, con la chiusura dell'obiettivo, la fine del protagonista. L'esaurirsi del film coincide con la morte del personaggio: Wenders sembra dire che nulla può esistere all'infuori del cinema.

Filippo D'Angelo, Wenders, La Nuova Italia Firenze 1982, pp. 2326

Biografia

regista

Wim Wenders

Wim Wenders (Düsseldorf, Germania, 1945) è considerato uno dei più importanti e innovativi registi viventi. Nella sua ormai decennale carriera si è confrontato con temi quali il viaggio e lo smarrimento (Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo, Fino alla fine del mondo), l’esplorazione dell’umanità (Il cielo sopra Berlino, Così lontano così vicino), la scoperta della bellezza (Buena Vista Social Club), il dolore e il malessere (L’amico americano, Paris, Texas, Million Dollar Hotel) e il cinema (Nick’s Movie - Lampi sull’acqua, Lo stato delle cose). Insignito dei più prestigiosi riconoscimenti (tra cui l’Orso d’oro alla carriera nel 2015), nel 2007 è stato protagonista di una retrospettiva al Torino Film Festival.

FILMOGRAFIA

Die Angst des Tormanns beim Elfmeter (Prima del calcio di rigore, 1971), Alice in den Städten (Alice nelle città, 1974), Falsche Bewegung (Falso movimento, 1975), Im Lauf der Zeit (Nel corso del tempo, 1976), Der Americkanische Freund (L’amico americano, 1977), Nick’s Movie - Lightning Over Water (Nick’s Movie - Lampi sull’acqua, doc., 1980), Der Stand der Dinge (Lo stato delle cose, 1982), Der Himmel über Berlin (Il cielo sopra Berlino, 1987), Bis ans Ende der Welt (Fino alla fine del mondo, 1991), Lisbon Story (id., 1994), The End of Violence (Crimini invisibili, 1997), Buena Vista Social Club (id., 1999), The Million Dollar Hotel (id., 1999), Land of Plenty (La terra dell’abbondanza, 2004), Pina (doc., 2011), The Salt of the Earth (Il sale della terra, doc., 2014), Submergence (id., 2017).

Cast

& Credits

Regia e sceneggiatura: Wim Wenders.
Fotografia (35mm, b/n): W. Wenders, Robbie Müller.
Montaggio: W. Wenders.
Musica: Rolling Stones, Jimi Hendrix, Bob Dylan, John Coltrane.
Suono: W. Wenders.
Interpreti: Paul Lys, Peter Kaiser, Werner Schroeter, Schrat, Muriel Werner, King Ampaw, Christian Friedel.
Produzione: Hochschule für Film und Fernsehen (Monaco).
Direttore di produzione: W. Wenders.
Riprese: Monaco e dintorni, novembre 1968.
Costo: 3.000 D.M.
Prima proiezione: il 18/5/1969 al Festival di Hof.

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