Nazione: RFT
Anno: 1969
Durata: 97'


L'orafo Cardillac si esclude dal mondo e si dedica interamente al proprio lavoro. Le uniche persone con cui ha rapporti sono l'aiutante Olivier e la figlia Madelon, nata da un matrimonio fallito con una sudamericana. La bella Madelon deve indossare davanti al padre i gioielli da lui stesso creati, in una stanza preparata allo scopo. Cardillac ama talmente le proprie opere, che le vende malvolentieri. Se le circostanze lo obbligano a vendere una delle sue opere d'arte, egli in seguito uccide il cliente e si riprende il gioiello. Sempre più perduto nella propria pazzia, alla fine si toglie la vita con una sedia elettrica da lui stesso costruita.


Il film Cardillac è stilisticamente, la continuazione del primo film di Reitz, Mahlzeiten. Anche in questo film i comportamenti umani sfiorano l'assurdit`. Lo stile di Cardillac ricorda anche i film di Alexander Kluge. Emblematici a questo proposito sono l'uso alternato del bianco e nero e del colore, o quelle scene in cui gli attori, secondo il metodo del cinéma vérité, commentano i propri ruoli, come si collocassero al di fuori del film. In questo modo l'oggetto della narrazione viene distanziato dallo spettatore ancora più coerentemente di quanto accadesse in Mahlzeiten. (...)
Tra i critici presenti a Venezia erano diffuse due interpretazioni del film. La prima considerava il film un'opera riuscita, e era pronta a intenderlo come un'allegoria. A questo proposito si sussurrava che il protagonista rappresentasse Hitler, Heichmann o "il" tedesco. La somiglianza dell'attore Hans Christian Blech con il dottor Mabuse di Fritz Lang è un argomento a favore di questa interpretazione, che per altro non si richiama soltanto al libro di Siegfried Kracauer Da Caligari a Hitler, ma anche all'affermazione di Lang secondo cui Das Testament des Doktor Mabuse sarebbe un'allegoria del nazismo. Altri critici si mostravano affascinati da aJcune sequenze assurde che si trovano nella seconda met` del film. Per esempio dal grottesco tentativo di suicidio del protagonista, con una sedia elettrica costruita da sé; dal tentativo di un aristocratico di realizzare il "socialismo del cavallo", trasformando un cavallo da tiro in un cavallo da corsa; dalla morte di questo aristocratico che, adempiendo a una promessa occasionale (bere del latte prima di morire), si trascina verso il frigorifero, ormai colpito a morte da più coltellate. Effettivamente si tratta di scene assurde.

Wilfried Wiegang, da "Frankfurter Allgemeine Zeitung", 1 settembre 1969


Per Reitz Cardillac rappresenta l'artista egocentrico, l'artista costretto al comando eppure disgustato proprio dal comando, che parla della libert` dell'arte ma è condannato alla nonlibert`, perché è prigioniero del proprio essere. Egli brutalizza chi gli sta intorno e mantiene la figlia in un perenne stato di minorit` con tutte le sue attenzioni paterne. A questo punto però la vicenda, ambientata nella Berlino di oggi, non sembra coerente, risulta artificiosa per eccesso di razionalit`. Anche Reitz, che attacca l'esoterismo degli artisti, si dimostra un esoterico. Così alcune scene che dovrebbero servire a caratterizzare Cardillac, diventato puri esercizi formali. Alludiamo per esempio alla scena in cui l'orafo, per dimostrare la propria abilit`, posa il gioiello sulla pelle scura della figlia; Reitz, per di più, passa qui dal bianco e nero al colore. L'arte è costretta a diventare ornamento.
A Reitz però non importava soltanto girare un nuovo film quanto trovare metodi nuovi per il suo film. Gli attori hanno sempre discusso, prima e durante le riprese; hanno cercato di chiarirsi i caratteri dei personaggi; si sono sforzati di portare il proprio contributo autonomo. Questo metodo ha funzionato finché non è sorta una discussione, peraltro violenta, tra la troupe e l'autoreregista (che da parte sua non voleva essere né un autore né un regista in senso tradizionale). Ci si è dovuti separare, e Reitz ha portato a termine da solo il suo lavoro. È un merito di Reitz il fatto che il film sia sopravvissuto a questa rottura. Egli del resto non rende la vita facile né al pubblico né a se stesso. (...)
Reitz, che subisce in prima persona le difficolt` dell'artista nell'epoca contemporanea, ha inserito nel film ogni sorta di episodi non direttamente legati al tema (si tratta piuttosto di variazioni). A comunque divertente l'incontro di Cardillac con la coppia di grafici Katinka Niedersträsser e Ali Schindenhütte. Essi decorano la gente con la schiuma; non vogliono trasformare il concetto di ornamento, ma gli uomini che scelgono di ornarsi. È simpatica anche se un po' esagerata la storia di quell'aristocratico che vuol trasformare i goffi cavalli da tiro in eleganti cavalli da corsa. Ovunque si guardi si vede sempre il tentativo di uscire dal ghetto, assegnando all'artista un compito nuovo e una nuova responsabilit`. Reitz segue la via del settarismo, come il suo Cardillac, o quella delle riforme? Il film lascia aperta la questione.

Volker Baer, da "Der Tagesspiegel", 8 gennaio 1971


Il tema di Die Artisten di Alexander Kluge è ripreso in questo film, mescolato a episodi ironici che prendono di mira l'esasperata produttivit` della societ` borghese. Nei colloqui con Oliver, che di solito diventano monologhi, Cardillac spiega la propria concezione dell'arte: egli vede Parte come un fine in sé, e si sforza di complicare la forma per creare qualcosa di assolutamente unico. Cardillac si rivela essere un artista egomaniaco e antisociale, una persona da tempo inattuale nella mostruosit` del mondo contemporaneo. I suoi clienti (un'interprete di Schönberg, un aristocratico che raccoglie pietre preziose e l'esteta Gunter Sachs, la cui massima è "circondarsi di cose belle") considerano l'arte il coronamento di una vita dominata dal lusso, una forma di autoincensamento.
Il film propone due alternative cieche: il narcisismo e l'isolamento dell'arte, oppure la prostituzione dell'adeguamento alle leggi del mercato. L'artista, perplesso, deve scegliere. Non c'è bisogno di sottolineare che questa situazione è esattamente quella in cui si trovano i registi tedeschi. (...) L'abilit` dei direttori della fotografia, Dieter Lohmann e Jorg Schmidt-Reitwein, d` al film quel pregio a cui forse teneva di meno. È ammirevole il gioco con la luce e con le ombre, negli interni; la fredda bellezza dei paesaggi, privi di ogni ornamento; l'effetto di contrasto che scaturisce dalla giustapposizione della stamberga e della. natura. Ma la qualit` di questo film è data soprattutto dal fatto che la macchina da presa ha inventato uno stile narrativo autonomo.

Ekkehard Pluta, da "Fernsehen und Film", n. 2/1971 1967

Biografia

regista

Edgard Reitz

Cast

& Credits

Regia: Edgard Reitz.
Soggetto: dal racconto Das Fräulein von Scudêri (La signorina di Schudêri) di E.T.A. Hoffmann.
Sceneggiatura: E. Reitz.
Assistente alla regia: Uwe Gluntr, Antje Ellermann.
Fotografia (35mm, colore con parti b/n) : Dietrich Lohmann.
Assistente alla fotografia: Jörg SchmidtReitwein.
Montaggio: Maximiliane Mainka, Jessy [Hannelore] von Sternberg.
Musica: Johann Sebastian Bach.
Suono: Peter Beil.
Interpreti: Hans Christian Blech (Cardillac), Catana Cayetano (Madelon), Rolf Becker (Olivier), Liane Hielscher, Werner Leschhorn, Gunter Sachs, Heidi Stroh.
Narratore: Urs Jenny.
Produzione: E. Reitz Film produktion (Monaco).
Produttore: E. Reitz.
Direttore di produzione: Ille Schwarzwald.
Ispettore di produzione: Bernd Hoeltz.
Riprese: dal 26 giugno al 16 novembre 1968.
Costo: 670.000 marchi.
Prima proiezione: 28/8/1969 al festival di Venezia
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