Nazione: RFT, Francia
Anno: 1966
Durata: 87'


Inizio del secolo, in AustriaUngheria. Dopo la visita dei genitori di Törless, il collegiale Basini chiede ancora denaro al compagno Reiting per un debito di gioco. Al suo rifiuto, sottrae una somma a Beineberg, ma Reiting lo smaschera e ne informa Törless e Beineberg. Törless, preso com'è dai problemi sui numeri immaginari, che il professore gli lascia insoluti, assiste passivo all'annientamento psicologico di Basini, schiavizzato dai due compagni. Nel loro rifugio segreto i tre sperimentano su Basini torture e ipnosi, senza che questi reagisca. Törless dapprima ne è incuriosito, poi, disgustato, se ne disinteressa. Una sera cerca di avvertire Basini della sorte che lo attende, ma Reiting e Beineberg con tutti gli altri compagni in palestra puniscono Basini, finché non intervengono i professori. Deciso a lasciare il collegio, Törless spiega loro i motivi del suo comportamento, poi torna a casa accompagnato dalla madre.


Presumibilmente bisogna conoscere molto approfonditamente i collegi per capire con quale ammirevole sicurezza Schlöndorff racconti la sua storia. E bisogna aver letto il romanzo di Musil, che non d` nessuna informazione concreta, utilizzabile per le riprese, sul luogo in cui si svolge l'azione. Nel libro il convitto è nient'altro che uno sfondo vago, soltanto alluso. Un talento minore e meno esperto di quello di Schlöndorff avrebbe sicuramente sbagliato: è stato questo l'ostacolo più importante da superare.
Chi non lo sa non può neanche immaginare che la scuola che si vede nel film non esiste, e che Schlöndorff l'ha costruita al tavolo di montaggio. Soltanto così però è potuta diventare ciò che è: un distillato di singole immagini (la facciata per esempio è quella dell'Heimatmuseum di Graz), l'insieme delle immagini che ha Schlöndorff di un collegio. Il parco, le mura simili a quelle di un castello, i corridoi, le scale, le aule e i cortili interni sono astratti dal proprio ambiente naturale e sono accostati al villaggio e a quel paesaggio al confine tra Austria e Ungheria in cui Schlöndorff ha girato la maggior parte degli esterni. Lo scenario corrisponde in modo ideale alla storia narrata.
Con non meno scrupolo Schlöndorff, che d` l'impressione di essere un professionista piuttosto che un debuttante, ha lavorato con gli attori che impersonano gli studenti. Mathieu Carrière, che fa la parte di Törless, si muove come se avesse passato otto anni a Salem, sia che debba aprire una porta (senza mutare il ritmo dell'andatura), sia che debba lavarsi le mani (senza piegarsi): ogni gesto, per quanto insignificante, è perfetto. Non 6 dunque importante che Schlöndorff abbia dato la parte di Bozena a Barbara Steele (certo per simpatia, e nonostante la scelta non sia delle migliori), che naturalmente è troppo raffinata.
Der junge Törless è un film delicato e malinconico. Per questo sono ancora più terribili le parti violente del film, i momenti in cui il terrore e la violenza rivelano la vera natura di questo idillio adolescenziale: un primo piano mostra una mosca ferita, intorno alla quale la penna traccia un cerchio nero prima di schiacciarla; Reiting tortura un topolino bianco, facendolo ballare sulla sua pipa accesa e tenendolo per la coda; Törless lo prende e lo schiaccia contro una pietra; Beineberg infila a fondo un ago nell'avambraccio di Basini, di nuovo in un primo piano; Basini, appeso al soffitto per le gambe, vomita per il dolore e per la stanchezza.

Uwe Nettelbeck, da "DieZeit", 20 maggio 1966



Schlöndorff non voleva tanto filmare il romanzo di Musil, quanto piuttosto la materia che vi stava alla base: non i "turbamenti", ma. le esperienze del giovane Törless; egli ha trovato una metafora politica nei traffici del convitto, di cui Törless è testimone e complice. Per espungere questo nocciolo dal brillante studio psicologico di Musil, Schlöndorff ha. accorciato, ha esplicitato, ha spostato i nuclei tematici. Soltanto dai dialoghi del romanzo non si è voluto separare: essi vanno aldil` dell'adolescenza, e innestano nella loro crudelt` istintuale una coscienza adulta. Spostando il mondo del collegio, rappresentato da Schlöndorff con sensibilit` ma mai con debolezza, dalla sfera onirica di Jean Vigo, dal "fascismo" cui quel mondo vuole alludere, alla riflessione fredda e chiara di Musil.
Questi dialoghi si contrappongono ai giovani attori, a volte a loro favore hanno bisogno di insistenza, non possono essere enfatizzati , ma spingono anche a una recitazione artificiosa: molte frasi suonano come citazioni. Schlöndorff non voleva l'intonazione dialettale austriaca, preferendo mettere nel conto una certa enfasi teatrale, e ha fatto doppiare da una voce tipicamente berlinese proprio Mena, la prostituta slovacca, che comunque ha un aspetto piuttosto inverosimile (Barbara Steele). Forse la sensibilit` per le immagini esclude quella per i suoni. Questo fatto disturba, ma non distrugge l'uniformit`, il suo fluire sicuro, l'economia complessiva della messa in scena; quest'ultima non spreca i mezzi di cui dispone, risparmia il pathos di movimenti e di stacchi veloci per dedicarsi allo sviluppo lineare della vicenda, che cresce progressivamente fino al culmine: l'illustrazione intelligente del romanzo si è trasformata in una visione autonoma e convincente.
Schlöndorff racconta con grande chiarezza e decisione la storia dei cadetti Beineberg e Reiting, che in una soffitta tormentano, avviliscono e maltrattano il loro compagno di studi Basini. Non gli interessa Törless (che osserva le torture nel ruolo di un congiurato passivo), ma il sistema chiuso di potere, paura, ubbidienza al cui interno si scaricano il sadismo e la sessualit` dell'adolescenza. Ben diversamente Musil: a lui interessa soltanto ciò che accade in Törless, e la sua curiosit` psicologica alla fine vince la curiosit` "politica" di Schlöndorff. Con una svolta brusca e deludente il film, invece di portare a compimento la propria impostazione di fondo, fugge nel romanzo e fa raccontare a Törless (Mathieu Carrière) i propri "turbamenti" con un discorso perfettamente musiliano, benché Schlöndorff finora abbia evitato di parlare di tali turbamenti o tutt'al più li abbia affidati alla musica febbricitante di Hans Werner Henze, perché gli stavano a cuore altre cose.

Urs Jenny, da "Süddeutsche Zeitung", 20 giugno 1966


Soltanto debolmente il film di Schlöndorff contiene il punto di vista filosofico di Musil. Il bravo attore che impersona Törless è bello come un efebo, altezzoso, nobile, abile, ma gli manca quella passione dello spirito che anima l'originale. Ci sono in lui troppo atteggiamenti studiati, troppi sussulti agli angoli della bocca, troppa altezzosit` esteriore, troppo evidente fastidio. Per questo il film corre il pericolo di non essere inteso correttamente. Non tutte le idee di regia sono realizzate con l'intelligenza e l'eleganza delle riprese in esterni e di alcuni dei dialoghi che intercorrono tra i ragazzi. Alcune cose sono esagerate, c'è del Kitsch austriaco o del naturalismo sentimentale, soprattutto nelle scene con Mena e nelle immagini di genere degli amanti solitari. Ma l'insieme è diretto in modo audace e teso, è brillantemente e intellettualmente abietto, così che questa prima prova di un nuovo regista merita l'attenzione che gi` ampiamente gli è stata tributata.

Karl Korn, da "Frankfurter Allgemeine Zeitung", 23 maggio 1966


Salutiamo il miracolo tedesco: quel miracolo che fa nascere dalla volgarit` abituale le opere così personali e così toccanti come il Törless di Volker Schlöndorff. Il solido bagaglio culturale di questo appassionato frequentatore della "Cinémathèque" e ex assistente di Louis Malle, le sue ambizioni registiche, e la scelta, tutt'altro che facile, degli attori e della musica, segnalano una volont` e una maestria che non arretrano di fronte al compito di ridurre per lo schermo un romanzo di Robert Musil apparso nel 1906, la prima volta del futuro autore dell'Uomo senza qualit`.
Il film di Schlöndorff si articola, ancor più del racconto di Musil, attorno a uno studio clinico straordinario per la precisione visiva e la coerenza dimostrativa. Questo film porta al livello delle esperienze abituali i meccanismi della tirannide e della distruzione dell'individuo, e mostra la curiosa solidariet` tra la vittima e l'aguzzino in un mondo privo di valori, in cui il bene e il male non sempre sono concetti definiti. La predica forse troppo ostinata che il giovane Törless tiene davanti a un consiglio di disciplina esterrefatto è un atto d'accusa contro questa caduta (così incomprensibile e così naturale) negli abissi della crudelt` e della vigliaccheria. Ma questa "morale", prima della scena finale, era stata resa percepibile a tutti da una mistura di lacerante violenza e di sottile raffinatezza nella rappresentazione dei personaggi.

Michel Flacon, da "Cinéma", n. 107, 1966


Ogni romanzo che si vuole trasformare in un film è un "caso". Forse l'opera di Musil avrebbe dovuto essere elaborata di più, (si veda l'elaborazione di Böll da parte di Straub e quella di Delvaux da parte di Daisne, per citare due capolavori a loro modo "fedeli"); sicuramente era necessario trovare qualcosa di analogo nello stile, un'invenzione capace di sviluppare le capacit` opposte alla sapienza artigianale che Schlöndorff ha dimostrato di possedere, e che lo ha ostacolato al punto da non fargli più neppure vedere il testo. Accanto all'azione romanzesca il regista avrebbe dovuto trovare degli elementi visivi che si accostassero amichevolmente all'azione, ciò che ne fossero distinti e corrispondenti. Il testo e le immagini si annullano a vicenda e si sovrappongono inutilmente, senza dar vita a una parola o a un'immagine vera, perché Schlöndorff non ha saputo o non ha potuto conservare la giusta distanza.
Siamo onesti: all'inizio abbiamo visto alcune sequenze veloci, forti e dense della "piccola citt`", e l` abbiamo creduto al Junge Törless di Schlöndorff; ma non è durato a lungo, e presto i "dialoghi" di Musil e una fotografia divenuta artificiosa ci hanno strappati dal mondo musiliano senza che il regista si assumesse la parte dello scrittore. A partire dall'entrata di Törless nella scuola, abbiamo visto soltanto delle marionette che mimavano una storia ormai pressoché priva di sen so; abbiamo visto Schlöndorff imboccare una strada che in nessun luogo incontra quell'altra strada sulla quale Musil si era talmente inoltrato da dover ammettere "non posso continuare". Questa strada conduce a regioni che non possono essere troppo lontane: nei pressi di Das Irrlicht. C'è un nuovo cinema tedesco che cerca di venire alla luce come può. Si dice che un film come questo possa aiutarlo nell'impresa. Non credo davvero che questo film, rispetto a ciò che di importante è prodotto in Germania, sia qualcosa di molto diverso da ciò che per la nouvelle vague sono stati, per esempio, i film di Louis Malle.

Jacques Bontemps, da "Cahiers du Cinéma", n. 179, giugno 1966

Biografia

regista

Volker Schlöndorff

Volker Schlöndorff (Wiesbaden, Germania, 1939), trasferitosi in Francia nel 1965, ha lavorato come assistente alla regia di Malle, Melville e Resnais, prima di esordire nel 1965 con I turbamenti del giovane Torless, premio Fipresci a Cannes e tra i film pionieri del Nuovo cinema tedesco. Nel 1979 ha poi vinto la Palma d’oro a Cannes e un Oscar per il miglior film straniero con Il tamburo di latta, tratto dall’omonimo romanzo di Günter Grass. Tra i suoi numerosi film presentati nei maggiori festival internazionali, L’orco è stato in concorso a Venezia nel 1996, dove ha ricevuto il premio Unicef. Nella sua carriera ha lavorato anche per il teatro e l’opera, dirigendo, fra i vari lavori, quelli di Janácek e Henze.

FILMOGRAFIA

Der junge Törless (I turbamenti del giovane Torless, 1965), Mord und Todschlag (Vivi ma non uccidere, 1966), Michael Kohlhaas - Der Rebell (La spietata legge del ribelle, 1969), Baal (id., tv, 1970), Die Moral der Ruth Halbfass (La morale di Ruth Halbfass, 1972) Strohfeuer (Fuoco di paglia, 1975), Die Blechtrommel (Il tamburo di latta, 1980), Die Fälschung (L’inganno, 1982), The Handmaid’s Tale (Il racconto dell’ancella, 1990), Der Unhold (L’orco, 1996), Die Stille nach dem Schuss (Il silenzio dopo lo sparo, 2000), Ten Minutes Older: The Cello (ep. The Enlightenment, id., cm, 2004), Ulzhan (2007), La mer à l’aube (2011), Diplomatie (2014).


Jean-Daniel Pollet, Volker Schlöndorff:
Méditerranée (mm, 1963).

Cast

& Credits

Regia: Volker Schlöndorff.
Soggetto: dal romanzo "Die Verwirrungen des Zöglings Törless" di Robert Musil (1906).
Sceneggiatura: Volker Schlöndorff (collaborazione: Herbert Asmodi).
Assistente alla regia: Herbert Rimbach, Klaus MüllerLaue.
Fotografia (35 mm, b/n): Franz Rath.
Montaggio: Claus von Boro.
Musica: Hans Werner Henze.
Suono: Klaus Eckelt.
Scenografia: Marleen Pacha.
Costumi: Hanna Axmann.
Interpreti: Mathieu Carrière (Törless), Marian Seidovsky (Basini), Bernd Tischer (Beineberg), Alfred Diez (Reiting), Barbara Steele (Bozena), Lotte Ledl (ostessa), Fritz Geffien (rettore), Jean Launay (prof. di matematica), Hanna Haxmann von Rezzori (signora Törless).
Produzione: Franz Seitz Film (Monaco), Louis Malle N.E.F. (Parigi).
Direttore di produzione: Franz Achter.
Riprese: Burgenland, Kloster, Schaftearn, Monaco, dall'8 novembre 1965 al 31 gennaio 1966.
Costo: 900.000 marchi (circa).
Prima proiezione: 9 maggio 1966 al Festival di Cannes.
Premio Fipresci a Cannes; 2 Bundesfilmpreise.
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