Nazione: RFT
Anno: 1967
Durata: 103'


Manfred Peickert è un artista. Ha dei progetti. Un giorno sale sulla sbarra più alta, la malinconia si impossessa di lui, non afferra la mano del partner e cade rompendosi l'osso del collo. Leni è l'erede di Manfred: vuole fondare un circo per sé. Leni vuol mostrare le bestie così come sono. Gli artisti non devono soltanto esibirsi, ma devono anche spiegare le leggi fisiche del loro spettacolo. Leni si rende conto che non può rimanere un artista se vuol essere un imprenditore. Compra un elefante, assume come rappresentante Luptow. La milionaria Chitti Boremann, arnica di Leni, muore e le lascia una fortuna. Leni può finalmente riformare il circo. Ma il progetto fallisce, il circo nuovo resta "astratto". Leni e Luptow vanno alla televisione. Il prof. Gerloff aspetta che il quarto canale trasmetta i suoi programmi. Il procuratore Korti aspetta di cogliere in fallo chi offende il buoncostume. Leni è destinata a scontrarsi con Korti. Egli soffocher` ogni idea di rinnovamento...


Questa brutale immagine della civilt`, esagerata per diventare chiara a tutti, risuona a lungo, resta lo sfondo degli episodi banali, fantastici e folli di questo "collage" cinematografico di elementi interscambiabili. Ognuno di essi racconta una storia sulla tragedia di ogni artista: l'incapacit` di comunicare tra teoria e pratica, tra analisi e sentimento, tra realt` e utopia.
Non sono soltanto gli artisti del circo, gli acrobati del trapezio, o gli aviatori e gli altri spericolati del cielo a essersi "preparati fino a questo punto" e a non sapere altro che fare. Ci sono anche gli scalatori dello spirito, che si preparano a conquistare vette incredibili e che migliorano continuamente dal. punto di vista intellettuale, per raggiungere con il vertice della capacit` analitica anche il vertice della perplessit`. Non è soltanto un cavillo sofistico, se una riunione del Gruppo 47 sembra un congresso di direttori di circo, in cui, secondo Kluge, con gesti rumorosi si organizza un difficile funerale: "Vorrei vedere chi vuole impedirci di andare a Auschwitz…"
Leni Peickert dovr` infine trovare un accomodamento tra il compimento della prassi e il compimento della teoria, ed è obbligata a fallire non soltanto davanti alle leggi del capitalismo (alle quali essa, in quanto riformatrice interna al sistema, si sottopone coscientemente), ma anche davanti al vuoto dei rapporti interumani, alla pigrizia, all'incapacit` e all'impossibilit` di creare una situazione di lotta. Alla fine Leni si adatter` alla tranquilla sicurezza che contraddistingue il signor Korti o il signor consigliere Gerloff, presentati aneddoticamente dal regista alla fine del film.

Alf Brustellin, da "Süddeutsche Zeitung", 30 ottobre 1968


La struttura e il montaggio danno al film una calcolata estraneit` che resiste continuamente alla catena causale dell'attesa e dell'adempimento: è un'estraneit` che disturba e distrugge rigorosamente ogni accordo, grazie all'illogicit` e a un'incoerenza intenzionalmente perseguita. Eppure non si può dire che la "storia" del film, la favola di Leni Peickert, sia discontinua, complessa e complicata: al contrario, questa favola è il nocciolo duro, e non si capisce soltanto a partire dalla fine. L'estraneit` risulta piuttosto dal trattamento del materiale sonoro, della parola e della musica, e dal trattamento delle componenti drammaturgiche e del materiale visivo. Le scene da film, che non possono più essere definite in questo modo, cozzano contro affermazioni, interviste, discussioni, riprese documentarie, citazioni di film apparentemente arbitrarie, che tutte insieme, di nuovo senza una causalit` o una categorialit` riconoscibili, contribuiscono alla favola, per così dire nutrendola e arrotondandola. Oppure si sistemano lungo un centro di gravit` e restano in movimento (anche in movimento autonomo) al nucleo dell'atomo. Il principio strutturale è intricato e imprevedibile, continuamente teso alla trasformazione e alla ridefinizione, come quello di una molecola proteica. E tuttavia lo unisce la logica interna, un ritmo che è la premessa della sua percettibilit`. Quest'ultima tuttavia, dopo che il ritmo per la prima volta si è comunicato, consiste in un di più, in un controllare, in un consillabare che può in ogni istante riversarsi sullo spettatore: per questo l'opposizione fa parte dell'estraneit`. Qui non c'è il cinema, qui avviene il cinema come arte di ciò che accade, come medium.
Ciò naturalmente non può impedire che singole immagini siano immediate e dirette. E anche questo sembra essere calcolato. Allora le particelle, disparate e disparatamenteasincronicamente convergenti, si presentano tutte insieme senza essere presentate dal montaggio: immagine, parola, musica. Non ci sono sovrapposizioni e disturbi, slittamenti degli stimoli, offerte di trasformazione, segnali di controllo. Così sono le due scene di nudo, e le tre inquadrature all'aperto. Leni Peickert sdraiata nella vasca da bagno; il suo amico dottor Busch che sale nella vasca: nel contesto di un film, che emette ininterrottamente impulsi stimolanti, qui la triste assenza di stimoli è evidente. Un viaggio in un paesaggio coperto di neve, la superficie di un laghetto mossa e scintillante per le raffiche di vento, la demolizione del tendone del circo (le due ultime inquadrature sono fisse e grigie): qui di colpo e improvvisamente compare la fiducia, qui, solitamente e quasi di passaggio e irrilevante, c'è la sicurezza di sé, della poesia. Ma ogni volta, in tutte e cinque le inquadrature, essa partecipa allo stesso funerale. Paesaggio invernale senza sole, grigia superficie d'acqua, smontaggio di una dimora: l'emozione suscitata da questi simboli, l'inquietudine: è questa Punica disperata sicurezza dell'utopia, la sua via d'uscita e la sua fine: la malinconia.

Peter W. Jansen, da "Filmkritik", n. 11, 1968



Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos un film di riconoscimento.
L'agio, il disagio, la curiosit`, la gioia maligna, la rabbia che si provano vedendo questo film nascono dal fatto che si riconosce qualcosa: nomi, volti, personaggi, personalit`, drammaturgie, frasi, ma soprattutto inquadrature. Le inquadrature con cui il film si rapporta alle cose e alle persone che ci fa vedere. Soltanto queste inquadrature danno un significato alle persone e alle cose. Il cinema diventa un unico spazio di significati.
Ritorniamo ad esempio alla scena del penultimo film di Kluge, Abschied von gestern, in cui sentiamo un giudice seduto e un testo giuridico. Ma com'è l'inquadratura? Vediamo il giudice? Lo vediamo da dietro, vediamo la sua "nuca grassa e carnosa", direbbe la letteratura, mentre farfuglia il suo testo giuridico. Soltanto questa inquadratura rende significativo il giudice che legge. Egli significa qualcosa di conosciuto. Non vediamo il giudice, ma un significato. Lo conosciamo? Lo indoviniamo? Lo capiamo? Capiamo il giudice? No, noi riconosciamo il significato; non capiamo il giudice, ma il significato dell'inquadratura. Questa immagine ha una storia, perché gi` prima abbiamo visto immagini simili. La storia delle immagini che vediamo d` un significato a queste immagini. Nella scena con il giudice non conosciamo il giudice, ma riconosciamo un'altra scena con lo stesso significato, senza che in quest'altra scena debba necessariamente comparire un giudice. (...)Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos è un film di frasi. Le immagini sembrano essere una sorta di analogia, o per lo meno hanno questa funzione perché queste frasi sono enunciate in modo univoco in rapporto alle immagini: non sono citazioni scherzose. Esse obbligano lo spettatore a cercare questo rapporto, e così facendo lo rendono meno libero. Per di più invece di lasciare che le immagini siano immagini, le trasformano in enigmi. Invece di guardare qualcosa e poi vedere qualcosa, si dovrebbe porre le immagini in rapporto alle frasi! (...)
Kluge fa dire ai suoi personaggi delle frasi che esprimono qualcosa che va oltre le frasi stesse. Gli spettatori ridono di ciò che pare andare oltre le frasi, sorridono compiaciuti di ciò che le frasi sembrano esprimere, riconoscono vecchie frecciate e vecchie trovate. Invece dovrebbero ridere del fatto che queste frasi esprimono qualcosa secondo l'opinione di chi le formula, dovrebbero deridere una frase ridicola come "L'amore è un impulso conservatore". Lo ripetiamo: gli spettatori e gli ascoltatori riconoscono le frasi e ridono, invece di scoprire il ridicolo di queste frasi. (...) L'illibert` di questo film: Kluge ha fatto un film di tutto ciò che ha visto e ha ascoltato con interesse durante la lavorazione del film: bello!
E avrebbe continuato a essere bello se non avesse cercato di porre verbalmente in rapporto reciproco tutto ciò che gli capitava sotto mano, alla rinfusa. Egli ha annesso alla storia di Leni Peickert tutto ciò che gli piaceva o che gli dispiaceva: lo ha riferito alla storia di questa donna.
Durante la lavorazione del film (ammesso che sia davvero capitato così) c'è a Stoccarda il ballo dell'opera: bene, possiamo andarci e filmare il ballo dell'opera.
Ma Kluge, invece di lasciare le immagini libere, invece di limitarsi a utilizzarle, le pone in rapporto (soltanto dichiarato) con la storia del circo. Leni Peickert va al ballo dell'opera perché ha intenzione di "incontrare amici e finanziatori delle sue varie iniziative…". Quando un regista vorrebbe porre ogni immagine in un dichiarato rapporto con le altre immagini, io parlo di illibert`, di schiavitù alle vecchie concezioni drammatiche.

Peter Handke, da "Film", n. 1/1969

Biografia

regista

Alexander Kluge

Alexander Kluge (Halberstadt, Germania, 1932), regista, scrittore e filosofo, è stato allievo di Adorno e della Scuola di Francoforte, assistente di Fritz Lang per La tigre di Eschnapur (1959) e tra i firmatari del Manifesto di Oberhausen che nel 1962 sancì la nascita del nuovo cinema tedesco. Ha esordito nel 1966 con La ragazza senza storia, Leone d’Argento alla Mostra di Venezia, seguito due anni dopo da Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, vincitore del Leone d’oro. Nel 2008 la Berlinale gli ha assegnato l’Orso d’oro alla carriera. Come scrittore ha influenzato autori come Enzensberger e Sebald. Nel 2017 L’orma editore ha pubblicato il suo Antico come la luce - Storie del cinema.

FILMOGRAFIA

Abschied von Gestern (La ragazza senza storia / Yesterday Girl, 1966), Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos (Artisti sotto la tenda del circo: perplessi / Artists under the Big Top: Perplexed, 1968), Gelegenheitsarbeit einer Sklavin (Le occupazioni occasionali di una schiava / Part-Time Work of a Domestic Slave, 1973), In Gefahr und größter Not bringt der Mittelweg den Tod (Quando un grave pericolo è alle porte le vie di mezzo portano alla morte / In Danger and Dire Distress the Middle of the Road Leads to Death, 1974), Der starke Ferdinand (Ferdinando il duro / Strongman Ferdinand, 1976), Die Patriotin (The Patriotic Woman, 1979), Der Kandidat (The Candidate, doc., 1980), Der Angriff der Gegenwart auf die übrige Zeit (The Assault of the Present on the Rest of Time, 1985), Vermischte Nachrichten (Notizie varie / Miscellaneous News, 1986), Happy Lamento (2018).

Cast

& Credits

Regia, soggetto e sceneggiatura: Alexander Kluge.
Fotografia (35 mm, b/n con parti a colori): Gunter Hörmann, Thomas Mauch.
Assistente alla fotografia: Dietrich Lohmann, Frank Briffine.
Montaggio: Beate MainkaJellinghaus.
Suono: Bernd Hoeltz.
Interpreti: Hannelore Hoger (Leni Peickert), Siegfied Graue (Manfred Peickert, il padre), Alfred Edel (dr. Busch, un amico), Bernd Hoeltz (il suo piè stretto collaboratore, signor von Uptow), Eva Oertel (Gitti Bornemann, una ricca ereditiera), Kurt Jürgens (domatore Mackensen), Gilbert Houcke (domatore Houcke), Wanda Bronska-Pampuch (signora Saizewa), Herr Jobst (impresario), HansLudger Schneider (assessore Korti), Klaus Schwarzkopf (filologo Gerloff), Nils von der Heyde (signor Arbogast, capo dell'ufficio stampa), Marie Luise Dutoit (artista svizzera), Peter Steimer (Perry Woodcock), Theodor Hoffa (uomo con monocolo), Maximiliane Mainka, Ingebor Pressler (due clown), Wolfang Mai (Joe Wilkins, drammaturgo), Tilde Trommler (Lotte Losemeyer, Buchalterin), Ingo Binder (Fadil Sojokowski, contorsionista), Kurt Tharandt (signor Bohme, creditore), Ina Giehrt (giornalista).
Commento-off: A. Kluge, Hannelore Hoger, il sig. Hollenbeck.
Produzione: KairosFilm (Monaco).
Produttore: A. Kluge.
Ispettore di produzione: Bernd Hoeltz, Ingeborg Pressler.
Riprese: a Monaco, Norimberga, Stoccarda, Francoforte sul Reno, giugnosettembre 1967.
Prima proiezione: 30/8/1968 alla Biennale di Venezia.
Leone d'oro alla Biennale di Venezia 1968.
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