Nazione: Libano, Francia, Canada
Anno: 1984
Durata: 100'


Samar è nata nella guerra. Nomade per forza, è cresciuta in mezzo ai combattenti. Da loro ha imparato la storia del suo paese. A loro contatto ha assunto un atteggiamento di sfida, che contrasta con il suo gusto per i film egiziani che la televisione continuamente trasmette, col loro romanticismo "mieloso" e la loro magniloquenza infantile. In una citt` rosa, misteriosa come un palazzo allo sguardo di Samar, Karim, artista dalla doppia appartenenza culturale, si consacra alla pittura d'arabeschi e di aleph, sperando di trovare nello studio infinitamente insistito delle forme, un rifugio contro il crollo della sua religione. Quando il film inizia, lui è gi` perduto, sfinito: ha forse perso il gusto stesso alla vita. Non gli resta che la citt`, di cui ha molto amato la Generositi` e lo Spirito. Poco a poco si rinchiude nell'immobilit`. L'incontro di Samar e Karim è reso possibile dalla guerra. Nella citt`, che mantiene qui e l` qualcosa del suo passato splendore, l'incontro si tinge di mistero e di scoperta amorosa per Samar, e d'un senso d'attesa e di ricerca iniziatica per Karim. Il loro rapporto muta qualcosa in entrambi.

Questo film rappresenta quattro anni di lavoro ma anche una dura battaglia contro la guerra. Sia in Francia che in Libano, nessuno che si occupasse di produzione cinematografica, credeva in questo progetto. Prima di tutto era necessario che io avessi fiducia nella mia capacit` di convincere qualcuno della legittimit` di fare del cinema in un paese in guerra, di sfidare le accuse di anacronismo tanto a Parigi quanto a Beirut. Erano ormai gi` due anni che io pensavo a questo film. Poi a un certo punto mi sono detta che bisognava presentare questa idea al più grosso produttore: quando si è vista la guerra da vicino non si ha più paura di niente, non era certo un produttore che poteva intimidirmi. Ero gi` stata reporter di guerra, così sono filata dritta alla Gaumont, dopo aver letto su "Le Monde" un'intervista a Toscan du Plantier, il quale diceva che bisognava incoraggiare i giovani cineasti, anche assumendosi dei rischi.
Eravamo nel 1982: ho raccontato la mia storia senza presentare nessuna sceneggiatura. (…) la Gaumont ha visto che c'era una buona idea in questo soggetto e nella visione del problema ma io ero cosciente di non avere una sceneggiatura solida. Così ho chiesto se era possibile avere uno sceneggiatore, per dare forma alle mie idee. Essi hanno accettato la cosa ed io ho detto che volevo Gérard Brach. Non era tanto il Brach di Antonioni o quello di Polanski che mi ha spinto a fare questa scelta, quanto piuttosto una sorta d'intuizione del mito Brach. (…) Quel che è affascinante in lui è che egli non solamente vuole conoscere la tua cultura, ma anche quello che è dentro di te; ci sono dei film in cui tu metti completamente te stesso, dove le cose vengono fuori come da un vulcano, è questo che lui ama catturare. Inoltre io uscivo da dieci anni di guerra: lui ha capito subito e ciò lo ha attirato, perché anche lui in gioventù ha conosciuto la guerra. Rapidamente ho capito che non dovevo nascondermi o barare con lui; bisognava che mi dessi così come ero (…).
Il film è costruito su due linee parallele, la storia di due esseri e la storia di una citt`. In una citt` normale queste due linee parallele non si congiungerebbero mai; in una citt` in guerra ciò avviene. Il film prende spunto da un personaggio reale: un adolescente di una bidonville di Beirut che era finito in un appartamento vicino al mio. L'ho visto crescere per tre anni. Ma io volevo raccontare due storie. Quella di questo adolescente la cui intrusione in un mondo diverso dal suo mi aveva affascinato e quella di un personaggio che rappresenta la mia generazione d'intellettuale e d'artista fra due culture, torturato dalla tragedia della guerra. Quella generazione che attraversa lo stesso processo di disillusione vissuto in Europa e altrove, con una guerra però in più al suo attivo. La disincantata generazione europea non ha vissuto la guerra del Vietnam, del Cile, della Cambogia, che come spettatore.

Io arrivo dal documentario e avevo la tendenza a seguire troppo da vicino la realt`. Grazie a Gérard Brach si è veramente riusciti a compiere il salto che porta dal cinema documentario a quello di finzione. Eravamo d'accordo nel dirci "Noi raccontiamo una storia d'amore, di passione e d'incomprensione; questa storia potrebbe succedere ovunque ma a Beirut essa non pub che prendere una piega diversa a causa della guerra, la violenza spinge le cose verso la loro natura più estrema".
È una storia d'amore dopo dieci anni di guerra. Si ha la tendenza a credere che ogni film girato a Beirut sia un film di guerra. Questo è però un film. che racconta una storia d'amore in una citt` in guerra. È diverso. Brach, come me, rifiutava le immaginiclichés della guerra.
Samar viene dal Sud, ha 14 anni. Tutti gli altri personaggi del film ruotano intorno a questa adolescente, perché, loro, sono nati una o due generazioni prima della guerra. Lei è il vero prodotto della guerra: vi nata dentro; non ha conosciuto altro. completamente sconvolta dalla violenza (a un certo punto si scopre che è dislessica) ma come tutti i bambini, si è creata un linguaggio, un comportamento che le permette di muoversi, di sopravvivere. Vive a 14 anni ciò che generalmente viene vissuto molto più tardi. Non è sempre possibile decifrare il modo in cui esprime la sua sensibilit` alle cose e agli altri: a volte d` l'impressione di scivolare su tutto, di essere insensibile. In rapporto alla morte, per esempio, sembra indifferente. Per lei è divenuta qualcosa di banale. Il padre dice: "La morte ha perso ogni valore". Può dire questo perché ha conosciuto un "prima", un periodo precedente alla guerra in cui la morte era vissuta molto intensamente. Samar non l'ha conosciuta. Lei non paria più lo stesso linguaggio del padre. La sua cultura viene in gran parte dai film egiziani che ha visto: c'è una scena di un vecchio film egiziano, Fiore d'Henné, in riferimento a ciò. Per sedurre, muove le spalle come ha visto fare in quei film. La sua sensualit` si esprime nella sua lingua, lei conosce la sensualit` della sua lingua. Fa ricorso ad espressioni considerate in Occidente "sdolcinate", "all'acqua di rose". Chiama Karim "Pasci`, maestro, signore". Brach ha compreso ciò. In arabo una bella donna è "chiaro di luna", "latte di gazzella". Scritte queste espressioni possono sembrare assurde.
Ho avuto dei problemi con la commissione per gli aiuti alla produzione. Questo modo di parlare d'amore è il segreto degli Orientali per reagire contro l'integralismo che proibisce le immagini d'amore. Ciò che in francese potrebbe sembrare "sovraccarico" è possibile in arabo, perché la musicalit` di tale lingua giustifica ogni eccesso. È una lingua che si ascolta parlare.
Karim, il calligrafo, è in crisi; vive nelle sue tele, nell'appartamento in disordine che è tutto il suo passato. Vive fra due culture: Oriente e Occidente. Ciò che è essenziale della sua opera ruota intorno a due terni: l'aleph e l'arabesco. L'aleph è la lettera A che contiene tutto l'alfabeto l'aleph da cui tutto comincia, in cui tutto si riflette. È qualcosa che viene dalla lingua e dalla letteratura araba, ma anche da una tradizione latina. Borges ha parlato del "Tempio dell'Aleph". Karim disegna lo stesso aleph sotto delle forme ogni volta differenti. Traccia anche degli arabeschi: sono delle linee che si congiungono all'infinito. È una storia di contemplazione, di meditazione sull'universo. Ma tutto ciò che fa è eresia. È stato coinvolto dalla vita, anche dalla vita politica. Poi se ne è ritirato; egli dice: "Io non esisto in nessun luogo". Improvvisamente Samar porta una risposta ai suoi interrogativi, uno spiraglio nell'impasse in cui si trova. Qualcosa a cui neanche la sua ricerca artistica lo aveva condotto. Quest'adolescente gli insegna che si può vivere nella guerra. Lei è "la guerra in vita", se l'espressione avesse un senso; lei è nella guerra come un pesce nell'acqua. A causa di tutto ciò lei lo affascina, indipendentemente dalla sua giovinezza e dalla sua belt`. Lei gli fa riscoprire il piacere della citt` e della vita.

Biografia

regista

Jocelyn Saab

Jocelyne Saab è nata a Beirut il 30 aprile 1948. Si è laureata a Parigi in Scienze Economiche. Ha lavorato per le televisioni francese, italiana, tedesca, giapponese svizzera e svedese. Nel 1981 è stata assistente di Schlondorff per Die Fälschung. (L'inganno).

FILMOGRAFIA

Documentari:
Servizi dal Medio Oriente per FR 3 - Magazine 52 con i seguenti film: Portrait: Khadafi la guerre d'octobre, La Syrie: "Le grain de sable", Le Kurdistan, Les palestiniens continuent (1973), Les femmes palestiniennes (1974), Le Liban dans la tourmente (1975), Portrait d'un mercenaire français (1975), Les enfants de la guerre (1976), Beyrouth jamais plus (1976), Sud-Liban: histoire d' un village assiégé (1976), Pour Quelques vies (1976), Le Sahara n'est pas à vendre (1977), Egypte: la cité des morts (1978), Lettre de Beyrouth (1979), Iran: l'utopie en marche (1980), Beyrouth, ma ville (1982).
Film: Gazl el Banat (1984-'85).

Cast

& Credits

Regia e soggetto: Jocelyn Saab.
Sceneggiatura: Gérard Brach.
Fotografia (colore): Claude La Rue.
Musica: Sigfried Kessler.
Suono: Pierre Lorrain.
Scenografia: Marc Julien, Hala houcair, Pascal Kellerman.
Montaggio: Philippe Gosselet.
Interpreti e personaggi: Jacques Weber (Karim), Hala Bassam (Samar), Juliet Berto, (Juliette), Youssef Housni (Donatien), Denise Filiatrault (la madre), Ali Diab (il padre), Khaled El Sayed (il guercio), Claude Prefontaine (Efie), Souheir Salhani (Leila).
Produzione: Sygmarc (Francia) Ciné-Vidéo (Canada) Aleph (Libano), 3 rue des Ecoles, 75005 Paris. Tel.: 3293321.
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