Nazione: RFT
Anno: 1970
Durata: 145âââ


Uscito dal carcere, Hanns si trova subito immischiato in vecchie storie. Non vorrebbe più saperne e cerea di sottrarsi al suo passato: incontra gli amici, gira in macchina per la citt`. Quando a Monaco la situazione si fa insostenibile va a Berlino. Ma anche qui tutto resta uguale. Più alla ricerca di un futuro che in fuga dal passato, Hanns decide di prendere un aereo per Amsterdam: esce dal film senza lasciare traccia di sé.

A me adesso Summer in the City fa assolutamente l'effetto di un documentario sulla fine degli anni Sessanta; è più vicino a un documentario di qualunque altro mio film. È si un film di fiction ma la durata, come pure la fotografia in bianco e nero, l'obiettivo grandangolare e i piani fissi lo accostano più a un documentario, sulle idee che la gente aveva nel 1969 e nel '70, su ciò che sentiva. (...)
Un'enorme delusione; è un senso, come un sogno, di totale impotenza; ecco cosa ci vedo ora nel film. E non solo l'impotenza, ma anche immobilit`, e insensibilit`. L'unico contatto a livello emotivo che il personaggio riesce a stabilire dopo il soggiorno in prigione è con la musica che ascolta. Il sottotitolo del film dice "dedicato ai Kienks". Ci sono infatti sei o sette delle loro canzoni, e si vedono anche per un momento, durante un'esibizione televisiva, mentre cantano "Days". Ebbene, sono i Kings il lato emotivo o "caldo" o che so io di tutto il film. C'è anche una canzone dei Lovin' Spoonful che d` il titolo al film, "Summer in the City". Tutte le canzoni parlano di estate e di caldo, e di roba del genere, mentre il film è stato girato in gennaio e faceva un freddo cane: dopo di ché ho deciso di non girare mai più un altro film in inverno. Ma questo doveva assolutamente essere girato in inverno. Tutto il film non era che un gran desiderio di tempi migliori, o dell'estate, o di emozioni. Lo abbiamo girato in una settimana. (...)
Summer in the City riflette ancora la paura di tagliare: la paura della precisione; e la paura di un'altra nozione del film come linguaggio. Die Angst era stato concepito per inquadratura: campi lunghi, e primi piani; mentre Summer in the City era stato concepito senza il benché minimo taglio. Ho fatto si alcuni tagli ma erano così timidi. Ho girato qualche primo piano ma era tanta la paura di introdurli nel film che ne ho eliminato la maggior parte, ci ho lasciato soltanto i piani fissi senza interruzioni. (…)
Trovo che Summer in the City rientra meglio tra i miei cortometraggi che tra i lungometraggi. Anche se originariamente durava tre ore (addirittura più di Im Lauf der Zeit) continuo a considerarlo come l'ultimo dei miei cortometraggi; così come ritengo Die Angst il primo film "narrativo".

(Intervista con Wim Wenders a cura di Jan Dawson, Toronto Film Festival 1976).


La mancanza di brutalit`, la minuziosit`, l'andamento disteso, la sicurezza, la gravit`, la tranquillit`, l'umanit` dei film di John Ford; l'espressione dei volti non viene mai forzata, non sono mai visti solo come puri sfondi; i sentimenti non appaiono mai fastidiosi o ridicoli, gli avvenimenti anche quando sono divertenti, non si burlano mai di qualcuno, gli attori variano sempre in modo convincente. Summer in the City (...) è forse in qualche modo la "storia postuma di un giallo"; il protagonista esce dal carcere e deve subito fuggire; le strade che passa per andare a Monaco, non sono più le stesse di prima ma qualcosa di doppio, di ineguale, fatto di realt` e sentimenti, uno sfondo mutabile e anche minaccioso; le frasi che dice sono una rete di balbettii e di echi; (...) un distributore di benzina dell'Amoco a Berlino di cui si parla, più tardi compare come uno schizzo di immagine per un'idea esattamente e terribilmente prossima all'amok (follia). Quando egli vuol partire per gli Stati Uniti con la Panam, è come fosse un sogno e senza avere il visto e i certificati necessari. Una foto di giornale sull'improvviso arrivo dell'inverno nelle citt` tedesche (...) è una storia sulle foto dei giornali, così come le immagini di Monaco sono immagini di Monaco e quelle di Berlino immagini di Berlino: sfondi da indizi non decifrati. La partenza del fuggitivo per Amsterdam è visibile da ciò che resta: dall'impressione di tristezza che riempie sempre più la sua abitazione vuota a Berlino mentre si incrociano la musica di una sinfonia di Mahler e i movimenti della ragazza in un'atmosfera incredibilmente indescrivibile di tranquillit`. Le storie di Summer in the City non sono le storie di immagini di Alabama che erano come storie di John Ford; esse nascono dal raddoppiamento di echi che ritornano dalle immagini.

Jorg Peter Feurich, da "Filmkritik", n. 12/1971



Alla fine del 1969 la "Hochschule für Fernsehen und Film" di Monaco mette a disposizione di Wenders la somma di 15.000 marchi per il filmdiploma. Sfidando le limitazioni imposte dal budget, il regista gira in cinque giorni il suo primo lungometraggio, Summer in the City.
Se è possibile includere il film nel periodo per così dire "documentaristico" non è solo per questa dichiarazione dell'autore: "A me, adesso, Summer in the City fa assolutamente l'effetto di un documentario sulla fine degli anni sessanta; è più vicino a un documentario di qualunque altro mio film" Ma, soprattutto, perché, dal punto di vista stilistico, il film "riflette ancora la paura di tagliare", l'astensione dall'intervenire sul profilmico, rimanendo fedele al rifiuto del découpage "classico" tipico dei cineasti formatisi alla Scuola di Monaco. Una pratica, questa, che, rifacendosi alla lezione di Straub e del New American Cinema, rispetta la realt` e le cose sottraendole allo spezzettamento e alla condensazione drammatica, per risolversi in una scrittura grezza e abitualmente definita "povera" (uso del bianco nero e del grandangolare, staticit` della cinepresa, lunghezza delle inquadrature, rarissimo ricorso al campo controcampo). Per esplicitare lo stile di Summer in the City è sufficiente un esempio, che da solo basterebbe a far accapponare la pelle ad un qualsiasi montatore americano. In una lunghissima sequenza contenuta nella prima parte del film, il protagonista si trova in un'auto guidata da un amico e guarda fuori dal finestrino; la macchina da presa inquadra "in soggettiva" il paesaggio urbano che scorre, i marciapiedi, le insegne, i negozi, i passanti; ad un certo punto l'auto entra in un tunnel, ma l'inquadratura rimane fissa a mostrare l'esterno, cioè il muro del tunnel rabbuiando l'immagine per circa trenta secondi, vale a dire per tutto il tempo impiegato dall'auto per ritornare alla luce.
Occorre dire, inoltre, che Wenders, affrontando per la prima volta il rischio di raccontare una "storia", rimane coerente a quello spirito trasgressivo manifestato nei cortometraggi. Infatti, il film comincia solo quando l'evento "significativo" è compiuto. Hanns, un uomo sulla trentina, uscito di prigione dopo aver scontato una pena, tenta di rifarsi una vita. Se ancora una volta è possibile trovare un riferimento al poliziesco, è anche vero che si tratta solo di un rimando esteriore, di un pretesto che serve a negare, a spiazzare il punto "forte" della drammaturgia hollywoodiana, il delitto. Il quale, quando la storia inizia, è gi` stato commesso, appartiene al passato, al non-detto del film.
Ma la presenza dell'antecedente narrativo è molto importante anche perché introduce un motivo che diverr` poi fondamentale nel futuro cinema di Wenders: il tema del passato. Un passato che, mai mostrato o richiamato esplicitamente, appare come una fitta trama di ricordi, di legami affettivi, di abitudini, dalla quale il protagonista, impegnato a cambiare la propria vita, vuole a tutti i costi separarsi ma che si impone come dato imprescindibile e ineliminabile dell'esistenza. Il disperato tentativo di Hanns (che con la detenzione ha solo apparentemente saldato il debito nei confronti dell'errore commesso) di riconquistarsi un ruolo e una identit`, di ristabilire un rapporto gratificante col mondo e con gli uomini, cozza continuamente con la coscienza del proprio passato.
La ricerca di un tranquillo e rinnovato sistema di vita fallisce miseramente perché Hanns ricade nelle vecchie abitudini: incontrare i soliti amici con i quali non si ha più nulla da dire, fare le stesse cose di un tempo che hanno ormai perduto l'antico significato (il cinema, il bar, il biliardo). II protagonista si trova così a vagare in una citt` divenutagli improvvisamente estranea e indecifrabile, contro la quale reagisce manifestando inquietudine, smania, incostanza, in ciò anticipando le "smanie" dei futuri personaggi wendersiani, dal Josef Bloch di Die Angst al Robert Lander di Im Lauf der Zeit (interpretato nervosamente dallo stesso Hanns Zischler). Hanns, che fuma continuamente, rivela la sua nevrosi iniziando azioni che immancabilmente non porta a termine: compra spesso dei giornali per sfogliarli distrattamente, entra in una cabina telefonica ma la abbandona bruscamente per salire su un tram, va al cinema ma fugge durante la proiezione. Rimasto solo a casa della ragazza che lo ospita a Monaco si aggira per le stanze accendendo la Tv o rovistando tra i dischi, e quando finalmente comincia a leggere un libro lo richiude subito per prenderne un altro. Il frenetico tentativo di instaurare un rapporto con la realt` attraverso il contatto occasionale con gli oggetti che la compongono è la logica conseguenza dell'impossibilit` di tornare a comunicare con le persone conosciute. La lunga sequenza d'apertura, che mostra il percorso in auto di Hanns e dell'amico venuto a prenderlo all'uscita della prigione, scorre pesantemente senza che i due si dicano una parola. Lo stesso avverr` negli incontri con la ragazza. I personaggi parlano poco e, quando lo fanno, sussurrano e sernbrano quasi non ascoltarsi. Su questa incapacit` comunicativa ha posto l'accento lo stesso Wenders: "La difficolt` sta più nel voler parlarsi. A loro invece manca la voglia di parlare (...), non ne sentono il bisogno, il che è molto diverso... È una cosa assai scoraggiante".

Filippo D'Angelo, Wenders, La Nuova Italia, Firenze 1982, pag. 2830

Biografia

regista

Wim Wenders

Wim Wenders (Düsseldorf, Germania, 1945) è considerato uno dei più importanti e innovativi registi viventi. Nella sua ormai decennale carriera si è confrontato con temi quali il viaggio e lo smarrimento (Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo, Fino alla fine del mondo), l’esplorazione dell’umanità (Il cielo sopra Berlino, Così lontano così vicino), la scoperta della bellezza (Buena Vista Social Club), il dolore e il malessere (L’amico americano, Paris, Texas, Million Dollar Hotel) e il cinema (Nick’s Movie - Lampi sull’acqua, Lo stato delle cose). Insignito dei più prestigiosi riconoscimenti (tra cui l’Orso d’oro alla carriera nel 2015), nel 2007 è stato protagonista di una retrospettiva al Torino Film Festival.

FILMOGRAFIA

Die Angst des Tormanns beim Elfmeter (Prima del calcio di rigore, 1971), Alice in den Städten (Alice nelle città, 1974), Falsche Bewegung (Falso movimento, 1975), Im Lauf der Zeit (Nel corso del tempo, 1976), Der Americkanische Freund (L’amico americano, 1977), Nick’s Movie - Lightning Over Water (Nick’s Movie - Lampi sull’acqua, doc., 1980), Der Stand der Dinge (Lo stato delle cose, 1982), Der Himmel über Berlin (Il cielo sopra Berlino, 1987), Bis ans Ende der Welt (Fino alla fine del mondo, 1991), Lisbon Story (id., 1994), The End of Violence (Crimini invisibili, 1997), Buena Vista Social Club (id., 1999), The Million Dollar Hotel (id., 1999), Land of Plenty (La terra dell’abbondanza, 2004), Pina (doc., 2011), The Salt of the Earth (Il sale della terra, doc., 2014), Submergence (id., 2017).

Cast

& Credits

Regia: Wim Wenders.
Soggetto e sceneggiatura: W. Wenders.
Fotografia (16mm, b/n): Robbie Müller.
Montaggio: Peter Przygodda.
Musica: Kinks, Lovin' Spoonful, Chuck Berry, Gene Vincent, Troggs, Gustav Mahler.
Suono: Gerd Conrad.
Interpreti: Hanns Zischler (Hanns), Libgart Schwartz (Libgart), Edda Köchl (Edda), Marie Bardischewski (Marie), Wim Wenders (l'uomo del biliardo), Gerd Stein (il gangster), Muriel Werner (altro gangster), Helmut Farber (se stesso), Schrat (Christian, il musicista rock).
Produzione: Hochsehule für Fernsehen und Film (Monaco).
Direttore di produzione: W. Wenders.
Riprese: a Monaco e Berlino, dicembre 1969 gennaio 1970.
Costo: 15.000 D.M.
Prima proiezione: il 2/6/1972 al Festival di Amburgo
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